venerdì 20 aprile 2012

Stirner sulla giustizia di James L. Walker


Articolo apparso su Liberty del 26 Marzo del 1887

A pagina 79 (1) del suo libro, intitolato "L'unico e la sua proprietà" Stirner parla della rinascita insidiosa delle idee sacre e della loro dominazione, che gli uomini sono tenuti a considerare se stessi come devoti, a rinunciare ai loro propri desideri a favore , per esempio, della famiglia, della patria, della scienza, ecc, e di essere fedeli servitori della stessa.

"E qui", dice Stirner, "ci abbattiamo alla falsa credenza, antica quanto il mondo (il quale non ha ancora appreso a fare di meno dei preti): che, cioè, vivere e creare in favore d'un'idea sia il vero fine dell'uomo e che il valore di lui debba commisurarsi alla riguardosa esattezza con cui adempie a quell'intento. E questo il dominio dell'idea o, se meglio vi piace la parola, il pretismo. Robespierre, ad esempio. St. Just ed altri, erano preti nell'anima, entusiasti, strumenti obbedienti dell'idea, uomini ideali. St Just esclama in una delle sue orazioni:
"Vi è qualcosa di terribile nell'amor di patria; esso è così imperioso da sacrificar tutto senza misericordia, senza tema, senza riguardi umani alla salute pubblica. Esso precipita Manlio nell'abisso, sacrifica gli affetti privati, guida Regolo a Cartagine, spinge un Romano a gettarsi nella voragine e colloca Marat, vittima della sua devozione, nel Pantheon".
A tali rappresentanti di interessi ideali o sacri si oppone una folla d'innumerevoli interessi "personali" e profani. Ma nessuna idea, nessun sistema, nessuna causa santa è così grande che essa non debba essere soverchiata dagli interessi personali. Se questi tacciono a tratti nella età di sconvolgimenti e di fanatismo, riprendono in breve il loro predominio in virtù "del buon senso del popolo". Quelle idee non riescono vittoriose se non allorquando cessano dall'essere avverse all'interesse personale e soddisfanno l'egoismo.

Il mercante d'acciughe che offre la sua mercé, gridando sotto la mia finestra, ha un interesse personale a venderla in gran quantità, e se sua moglie o gli amici gli augurano che ciò avvenga, ciò è pur sempre per l'interesse puramente personale di lui. Se invece un ladro gli rubasse il canestro che contiene la sua mercanzia, si ridesterebbe l'interesse di molti, di tutta la città, di tutto il paese o — a dirla in breve — l'interesse di tutti coloro che hanno in orrore il furto: a questo interesse sarebbe del tutto estranea la persona del merciaiuolo, e gli sottentrerebbe la classe dei «derubati». Ma anche in questo caso tutto si risolverebbe alla fin fine in un interesse personale giacché ognuno penserebbe esser suo dovere di concorrere alla punizione del ladro, per impedire che il furto si estenda e ne possa diventar vittima egli stesso. E per quanto sia difficile ammettere un tale ragionamento conscio presso molte persone, si udrà tuttavia proclamare generalmente che "il ladro è un delinquente". Ecco che ci troviamo di fronte a un giudizio dacché l'azione del ladro è dichiarata un "delitto".
Ora le cose stanno in questo modo: quand'anche il delitto non recasse il più lieve danno né a me né ad altri, malgrado ciò io imprecherei sempre contro esso. Perchè? Perché io sono entusiasta della moralità, sono compreso dell'idea della moralità; e per ciò combatto ciò che le è contrario. Appunto perchè crede degno di biasimo il rubare, Proudhon può ritenere d'aver abbastanza vilipesa la proprietà definendola un furto. Agli occhi dei preti esso è senz'altro e in tutti i casi un delitto o per lo meno una contravvenzione.

E quì finisce l'interesse personale. Quella persona che ha rubato il canestro mi è del tutto indifferente: io mi interesso unicamente, al furto per sé stesso — al concetto, cioè, che nel ladro è rappresentato. Ladro e Uomo son nel mio spirito termini inconciliabili, poiché non si è veramente uomo essendo ladro; si disonora l'uomo o la umanità quando si ruba. E dimenticato il lato personale della cosa si cade per tal modo nel filantropismo, nell'amore per tutti gli uomini, che non è già amore per ogni uomo singolo, sì invece amore dell' uomo in astratto, d'un concetto irreale cioè, d'un fantasma; poi che non è già gli uomini, bensì l'uomo, quel che il filantropo accoglie nel suo cuore. Vero è che egli si occupa anche dei singoli, ma unicamente perchè spera di veder da per tutto attuato il suo prediletto ideale. Dunque non si tratta d'aver cura di me stesso, di te, di noi: ciò sarebbe interesse personale e apparterrebbe al capitolo dell' "amore del mondo"; si tratta invece d'un amore celeste, spirituale, pretino; ché tale è il filantropismo. L' uomo deve esser edificato in noi, anche se noi, che lo rappresentiamo, dovessimo perire tutti quanti. È una massima clericale al pari di quella che dice: fiat justilia pereat mundus; l'uomo, la giustizia, sono idee, fantasmi ai quali tutto s'immola: per questo gli spiriti pretini sono quelli che si "sacrificano". Chi è entusiasta dell'uomo, non considera le persone, ma l'ideale. L'uomo, per lui non è già una persona, bensì è un ideale, un fantasma.

Le cose più diverse possono esser considerate come attributi dell'uomo. Se l'attributo è la pietà, abbiamo il pretismo religioso; se è la moralità, abbiamo il pretismo morale. Perciò i chierici della nostra età vorrebbero trasformare ogni cosa in "religione"; nella religione della libertà, in quella dell'uguaglianza, ecc. Tutte le idee per loro diventano "cause sante", persino l’appartenenza ad uno Stato, la politica, la pubblicità, la libertà di stampa, la istituzione delle giurie, ecc.

Che cosa significa allora, presa in questo senso, la parola "altruismo"? L'avere soltanto un interesse ideale senza considerazioni della persona!

Contro questo modo di considerar le cose si ribella il duro cervello dell'uomo mondano, ma per secoli e secoli egli ha dovuto sempre soccombere, e curvare il collo caparbio, e "adorare la potenza superiore". Il pretismo lo seppe conculcare. Se l'egoista mondano era riuscito a respingere lontano da sé una "potenza superiore" (per esempio, la legge dell'antico testamento, il papa romano, ecc.); una nuova potenza dieci volte superiore sorgeva ad avvincerlo (per esempio, in luogo della legge la fede, in luogo del clero limitato il mutarsi di tutti i laici in sacerdoti e cosi via). Così succedeva all'ossesso nel quale entravano sette diavoli quando egli credeva d'averne cacciato uno.
"

Nel precedente estratto, si vedrà che l'autore mette al posto dell'uomo medio nel punto dove il generalizzato "crimine" diventa una trappola per la moltitudine. Offro questo frammento come un contributo egoistico di quella giustizia che dice di essere costituita.

Nota
(1) Si parla della versione inglese del libro, di cui Walker ha personalmente tradotto dal tedesco.


http://ienaridensnexus.blogspot.com/2012/04/stirner-sulla-giustizia-di-james-l.html

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