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lunedì 14 maggio 2012
sabato 12 maggio 2012
Friday May 11 at the Kavarna social centre will present Pestifera la mia vita by Claudio Lavazza. – Cremona, Italy
Translated from informa-azione. by b.porco dio!!!!!!!!!!!!!!!!!1

(Via Maffi 2, Cremona, Italy)
8pm: “pestifera” vegan dinner.
9:30pm: comrade Michela Zucca will present Pestifera la mia vita by Claudio Lavazza. A self-produced publication by: Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali, Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria (Latina), El Paso squat, Porfido. All proceedings will go to the solidarity anti-prison funds.
“I realized almost all the dreams I had, and I often compare my life with that I’d have had if I had been a worker in my hometown. For sure now I’d be married and have children, like my schoolmates, and have to work ten hours a day in order to provide for my family. In the evening, tired after work, I’d be sitting there with my sleepers on, and fixing that idiotic box, and later I’d go to bed exhausted. Maybe I wouldn’t be in prison now… But even if it were possible to go back in time I wouldn’t change anything of the trajectory I chose. What would have been of me if the light of the struggle hadn’t illuminated my path?”
(Claudio Lavazza)
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Translated by act for freedom now/B.pd
Claudio Lavazza
No English title yet
Original title: Autobiografia de un irreductible, Ediciones autonomas, Madrid, 2010.
Italian title: Pestifera la mia vita, Biblioteca popolare Rebeldies, Cuneo, 2011.
Translated from Italian by me in 2012.
3am, a cold day in October… I can’t get any sleep because of a fixation I can’t get rid of; so I begin to write this book, I made up my mind in the end, I won’t go back.
Since I entered the prison of Jaen II, ten years ago, I’ve been having the desire to leave a mark of my passage because I’m convinced of the importance of books as historical memory so that one doesn’t forget… but this book would be useless if one limited oneself to a simple and pleasant reading in order to escape from boredom; it wouldn’t be of much help to collective and individual growth if one didn’t pick a constructive teaching from this writing, in order not to repeat the same mistakes… but not only with mistakes is my experience of struggle filled, there are and there were also thrilling moments, and it is toward these ones that I’d like to address the reader’s interest.
Prison of Albolote, Grenada, October 2006.
:: Claudio Lavazza
C.P. Albolote (Mod. 2)
Carretera Colomera Km. 6500
18220 Albolote
Granada
C.P. Albolote (Mod. 2)
Carretera Colomera Km. 6500
18220 Albolote
Granada
:: Claudio Lavazza
C.P. Albolote (Mod. 2)
Carretera Colomera Km. 6500--
18220 Albolote
Granada---
C.P. Albolote (Mod. 2)
Carretera Colomera Km. 6500--
18220 Albolote
Granada---
mercoledì 9 maggio 2012
Presentazione di "Pestifera la mia vita" [C.Lavazza] Cagliari it
Sabato 12 maggio 2012 - dalle ore 19.00
Via S. Giacomo 38 - Cagliari
Via S. Giacomo 38 - Cagliari

lunedì 7 maggio 2012
venerdì 4 maggio 2012
sabato 24 marzo 2012
HUYE HOMBRE HUYE

HUYE HOMBRE HUYE
Diario Di Un Prigioniero F.I.E.S.
Edizioni La Caffettiera –prima edizione italiana settembre 2000
Introduzione di Claudio Lavazza.
Ho conosiuto Xose Tarrio agli inizi del ’97 nel supercarcere di Topas, Salamanca. Mi avevano mandato li per un ‘’careo’’, cioe’ un confrono con una serie di testimoni di quattro rapine avvenute in quella citta’ anni prima.
Di Xose’ mi avevano parlato molti compagni che lo conoscevano personalmente, ed altri che ne avevano solo sentito parlare: tutti concordavano sulla sua fede anarchica e sulla sua volonta’ di lottare contro il sistema penitenziario.
Mi parlarono di lui pochi giorni dopo il mio arrivo in un altro carcere di massima sicurezza, quello in cui attualmente mi trovo: Jaen, mudulo FIES.
Quando arrivai a Topas, verso le 12 di un lunedi’, due compagni che non conoscevo vennero a bussare alla porta metallica della cella in cui mi trovavo, l’ultima del corridoio, l’ultima di quel braccio FIES.
Aprirono lo sportello dove si passa il vitto, e da quel buo iniziammo a comunicare. In una scomoda posizione parlammo del piu’ e del meno: chi ero, da dove venivo, se avevo fame, se vevo dei vestiti pesanti per sopportare il freddo intenso di quella regione.
Uno dei due compagni era Santiago Izquierdo Trancho, un protagonista di questo libro.
Dopo un paio di minuti apparve Xose’, ci guardammo negli occhi: non l’avevo mai visto prima, ma sapevo che era ‘’lui’’ sentivo che era lui.
Gli dissi: ‘’Tu sei anarchico, il tuo sguardo non lascia dubbi’’
Era vero era proprio lui.
Parlammo a lungo di noi, dei nostri ideali, del libro che stava scrivendo, dell’importanza di comunicare al mondo libero gli orrori del sistema penitenziario, creato appositamente per i ribelli che non vogliono adattarsi all’umiliante esistenza nella societa’; ribelli che, spinti da una chiara convinzione ‘’politica’’ o in quanto refrattari, sono decisi a conservare la propria dignita’ contro un sistema che li obbliga alla schiavitu’ a all’umiliazione di un lavoro.
Nel libro il lettore trovera’ una vera esperienza di vita al nostro presente, trovera’ (come vi ho trovato io) il coraggio per continuare con piu’ forza nelle nostre idee, capira’ l’importanza del carcere quale terreno di lotta, conoscera’ la qualita’ degli individui disposti a non sottomettersi.
Oggi il carcere e’ quello che e’, e’ quello di sempre, dove si commettono le piu’ grandi ingiustizie, le piu’ raffinate torture fisiche e psicologiche che la perversa mente umana possa immaginare. Il carcere e’ il castigo per chi non accetta le regole del gioco dei ricchi e dei potenti.
In quella ‘’dittatura democratica’’ la pena di morte fisica e’ stata abolita, ma subito rimpiazzata da quella psicologica.
Con l’isolamento e l’inevitabile angoscia che produce vogliono toglierci la nostra personalita’, vogliono ridurci a degli esseri senza identita’.
In Xose’ ho trovato qualcosa che mi appartiene e che appartiene a tutti coloro che hanno gia’ trovato una risposta ai sesuenti interrogativi: ‘’Si puo’ vivere tranquilli senza lottare per la liberta’?; ‘’Possono coesistere liberta’ ed oppressione?’’
Domande, queste, valide sia per chi e’ libero, sia per chi nella liberta’ e prigioniero di se stesso.
Il carcere fa paura perche’ non lo si conosce a sufficienza, piu’ un nemico e’ sconosciuto, piu’ e’ difficile a combatterlo.
Quando ti chiudono la porta alle spalle, tutto il peso della solitudine ti cade addosso; loro lo sanno bene e per questo ci lasciano soli per mesi in celle fredde e umide.
Come avrei voluto che queste parolo i compagni Baleno e Soledad le avessero ascoltate in tempi, che avessero capito in tempo che quando ti rinchiudono in isolamento non bisogna pensare al presente, perche’ tale situazione non durera’ in eterno; al contrario, da quella solitudine si puo’ trovare la forza di sopravvivere.
Xose’, con la sua esperienza, ci insegna l’aspetto piu’ importante: non perdere mai la speranza.
Noi detenuti, in determinate condizioni, non abbiamo niente da perdere, mentre chi ci tortura puo’ perdere tutto, anche la vita.
Dalle sue parole capiremmo che l’uscita dall’isolamento cui siamo sottoposti potete determinarla voi persone libere, con la vostra solidarieta’, le vostre lettere, il vostro ricordo e il vostro amore.
Jaen, estate 1999
C. Lavazza
martedì 21 febbraio 2012
ELLOS ESTÁN EN GUERRA ¿Y NOSOTROS?
domenica 19 febbraio 2012
sabato 28 gennaio 2012
Da Claudio Lavazza, Giugno 2000

Ai miei compagni/e
Questa lettera la inviamo ad alcuni compagni che, a loro volta, la diffonderanno a tutti i gruppi e organizzazioni libertarie.
Abbiamo deciso, data la mia traiettoria di lotta, che sia io a rivolgermi al movimento. È mia opinione, che sia o un altro è lo stesso, comunque, questa lettera la scrivo dopo aver lungamente discusso con alcuni compagni/e.
Vorrei spiegare un po la mia traiettoria di lotta come rivoluzionario, poiché, da quando sono stato arrestato, in Spagna, ho letto ed ascoltato molte sciocchezze provenienti sia dai mezzi di disinformazione dello Stato, sia da alcuni settori del movimento. Vorrei farlo perché non ho mai voluto chiarire niente, però, credo che oggi sia arrivato il momento.
Sono nato nel seno di una famiglia umile e a 13 anni, dovetti inserirmi nel mondo del lavoro. A 15 anni, iniziai la mia militanza nella fabbrica e per le strade.
Dopo essere passato da Autonomia Operaia, un movimento con una forte presenza nelle fabbriche e nelle università, nel 78, con alcuni compagni dellautonomia e altri di sensibilità acrata, fondammo i Proletari Armati per il Comunismo. Era un gruppo, principalmente, marxista-leninista benché, molto presto, ci avvicinammo ad alcuni principi libertari.
Non saprei spiegare perché, forse, fu dovuto al fatto che, fin dal primo momento, vari componenti del gruppo appartenessero a coloro che, oggi, chiamiamo ribelli sociali e che la nostra lotta si focalizzasse nel tessuto carcerario.
Per me non fu nessuna scoperta. Credo che tutti i rivoluzionari possano raccontare un fatto o un aneddoto che risvegliò la nostra coscienza, nel mio caso fu la vita e la morte di Sacco e Vanzetti.
Lobiettivo prioritario del mio gruppo era la distruzione del carcere e la solidarietà con i compagni reclusi. Una solidarietà che si tradusse nellassalto al carcere di Frosinone, per liberare due compagni e di numerose altre azioni contro lIstituzione Penitenziaria e i suoi boia, sempre responsabili diretti delle più immonde torture.
Alla fine degli anni 80, il gruppo fu decimato dalle forze repressive.
Allinizio dell81, passai la frontiera e mi stabilì nello stato francese. A partire da quel momento la mia attività si circoscrisse in azioni di esproprio per provvedere alle spese dei miei compagni detenuti e per finanziare la pubblicazione di riviste e bollettini di controinformazione anarchica.
Nell89 passai nello stato spagnolo, dove continuai le mie attività in appoggio ai miei compagni italiani, fino alla mia detenzione nel dicembre del 96. A Cordoba si conclusero 16 anni di vita in clandestinità e iniziò la mia permanenza nei centri di sterminio dello Stato.
Credo di aver colmato, con questo breve riassunto, la curiosità di tanti compagni e che altri abbiano la decenza di tacere.
Da alcuni mesi, insieme, abbiamo aperto uno spazio di lotta contro il carcere, in primo luogo e innanzitutto, vogliamo ringraziare di cuore tutti i compagni/e che ci appoggiano.
In questa lotta e, molto più in là delle rivendicazioni, molti di coloro che hanno aderito e fin dallinizio, cerchiamo di raggiungere lespansione del movimento rispetto un obiettivo concreto e immediato. Lo vediamo come una necessità comune per neutralizzare il crescente fortificamento dello Stato, che sotto i principi dello sviluppo delleconomia globale e del benessere delle imprese, reprimono i rivoluzionari, la gente che lotta, gli immigranti ed esclude i poveri dal diritto di poter vivere come essere liberi e degni.
Non possiamo dimenticare, in questo contesto, che tre lavoratori muoiono ogni giorno per ingrossare i conti bancari dei padroni.
Senza entrare nel dibattito sulla convenienza o meno del lavoro salariato, sono cifre che non possono lasciare nessuno insensibile.
Lo è, anche, la spaventosa campagna contro gli immigranti, orchestrata dai mezzi di comunicazione, come lo è la criminalizzazione di qualsiasi tipo di dissidenza.
È triste vedere che non è cambiato niente, abbiamo lottato con tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare tutto questo, però, le cose continuano come prima, ugualmente a prima. È agli anarchici e ai ribelli, agli occupanti, a tutti gli esclusi e a chi lotta contro larrogante realtà capitalista che vorrei rivolgermi.
Il carcere non è, semplicemente, la conseguenza di un sistema ingiusto ma, anzi, uno dei pilastri sul quale si regge lo Stato. Su piccola scala, è la rappresentazione più crudele di tutta la società, una società che lo Stato ha imprigionato per controllarci. Si respira carcere da tutti i lati, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle strade, financo nel nostro stesso pensiero.
È per questo che la lotta contro listituzione penitenziaria è una lotta che ci riguarda tutti e il punto di partenza di unattività permanente contro il sistema nella sua totalità.
Questo è lobiettivo comune che abbiamo, dato che essere detenuti vuol dire non essersi adattati alle regole del gioco, che una falsa democrazia ci impone. Credere nella rivoluzione forse è passato di moda, comunque, io continuo credendo in essa, nel presente e nella nostra capacità di rispondere al potere, qui e ora.
È difficile per me esporre tutto ciò che penso, sarebbe troppo lungo e non so, veramente, se sarei capace di farlo. Comunque, non voglio diventare pesante e vado al sodo.
Abbiamo proposto uno sciopero dellaria di una settimana, in tutte le carceri, dal 1 luglio fino al 7, qualcosa di simile al digiuno che abbiamo organizzato in marzo.
Da tutte le parti i compagni stanno preparando delle mobilitazioni per appoggiarci.
I compagni della C.N.A di Madrid, ha proposto una gran manifestazione e un campeggio, lidea va bene. Il problema, come sempre, sarà quello di trovare la giusta coordinazione affinché, nessun gruppo o collettivo rimanga al margine dal poterci partecipare attivamente, sia a livello autorganizzativo che a livello dazione.
Ci sono alcuni disaccordi e divergenze tra le diverse dinamiche libertarie.
Non è un segreto per nessuno, se ne discute nelle assemblee, nei centri sociali e perché non discuterlo per iscritto. È un peso che ci portiamo dietro da troppo tempo e, con molta probabilità, non possiamo risolvere con facilità, però possiamo provarlo. La proposta di una grande manifestazione a Madrid è una buona opportunità per stare insieme, almeno per un giorno, per alcune ore.
Queste differenze esistono anche nel carcere e non sono poche, però tutto si fa più facile tra noi, quando pensiamo che lunità si crea sulla base di considerazioni umanamente semplici e su azioni puntuali.
In tutti i modi, pensiamo che la piattaforma antifascista, attraverso la CNA/Madrid, per questa determinata protesta, è la maggiormente capace di organizzare un evento di tale dimensioni. Cè da supporre che vi siano delle richieste di autorizzazione, al posto di altre e sciocchezze simili ma, nemmeno, richiede molto lavoro e discussioni ma, semplicemente, fissare una data concreta, affinché chi lo desidera possa partecipare.
È quanto, dal carcere, necessitiamo e chiediamo a tutti i gruppi e ai compagni dello stato. Questo, in nessun modo, vuol dire che chiediamo ai nostri compagni di dimenticare le loro proprie dinamiche, però, una manifestazione ha senso, solo per la ripercussione sociale che può avere e, quindi, per il suo numero di partecipanti.
Cè da segnalare che le istituzioni penitenziarie hanno iniziato una campagna di smantellamento, silenziosa e progressiva, del regime F.I.E.S., facendo uscire alcuni compagni dai bunker. Tutto questo non ci fa dimenticare che le torture non sono finite e che continuano a morire i compagni infermi.
Come avete ben detto, cari compagni, lobiettivo comune è lamnistia per tutti i detenuti e la distruzione di tutte le carceri.
Senzaltro da aggiungere, vi lascio con un fortissimo Abbraccio Ribelle e Anarchico.
Claudio Lavazza
Fonte: Comunicati Fies, Picassent III - 3/5/00, diffuso il 5 luglio 2000 da armando esteban quito, cavallialati@hotmail.com, tramite A-infos, http://www.ainfos.ca/00/jul/ainfos00064.html
http://www.ecn.org/filiarmonici/lavazza.html
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mercoledì 25 gennaio 2012
Da Gilbert Ghislain. Claudio Lavazza e Llarbi Chauni, 3 Maggio 2000

Stimati compagni/e
Siamo qui in tre, riuniti a discutere intorno al tavolo. Ieri ci è arrivato un articolo, uscito martedì 2.5.00 su ABC (quotidiano di destra con tiratura nazionale), il bollettino dell’AAPPEL (assemblea in appoggio ai prigionieri in lotta, di Barcellona), e diverse lettere con informazioni su quanto sta succedendo fuori. L’articolo di ABC è grave, di una durezza e provocazione senza limite, però è sempre il solito. Da ABC, un quotidiano dove la gran maggioranza dei suoi ammiratori e lettori sono dei nostalgici del franchismo, non è sorprendente la violenza dell’attacco diretto, principalmente, contro l’associazione Salhaketa, alle lotte dei detenuti e contro i compagni/e coinvolti in queste.
È uscito anche un nuovo articolo su “La Razon”, che ancora non abbiamo letto, però ci è stato detto che, un’altra volta, criminalizzava una figura importante dell’appoggio, un uomo distaccato sia per il suo lavoro alla ricerca di dignità e giustizia, sia per le sue convinzioni e la sua militanza contro la violenza, venga da dove venga.
Il 17 aprile è stata censurata la pagina web dell’Associazione Contro la Tortura, per aver diffuso i casi di tortura e maltrattamenti e, nella stessa campagna di repressione, vari collettivi d’appoggio ai detenuti hanno ricevuto la visita della polizia (c’è da far presente che questi collettivi non denunciano solo gli abusi commessi contro i detenuti/e, ma anche i problemi che l’emarginazione e la povertà generano). Sembra che, alla maggioranza assoluta degli uomini dello stato spagnolo, tutto questo gli sia andato alla testa.
È curiosa la quantità d’informazione che l’“articolista”, Pablo Munoz, possiede nelle sue mani, frutto evidente della consegna, da parte della DGIP (direzione generale delle istituzioni penitenziarie), dei fascicoli personali dei compagni criminalizzati. Gli stessi di ABC lo confermano nella loro linea: ricevono le informazioni dalla stessa DGIP.
Quello che qui è interessante analizzare è il perché di questi attacchi violenti della stessa natura di quella che scrisse l’“articolista”, David Jimenez, tre anni fa sul “Mondo”: “I dieci detenuti FIES più pericolosi”, nel quale figuravano i compagni anarchici di Cordoba (uno di essi vi sta scrivendo tutto ciò).
Un fatto evidente, che salta all’occhio oggi, è lo stesso interesse di bloccare, con la tipica criminalizzazione, un movimento che sta prendendo corpo tanto dentro come fuori, senza riproporre la metedura de pata di tre anni fa, la quale, indirettamente, ha provocato un dibattito nel movimento anarchico.
È sorprendente che nel suo articolo, ABC ci relazioni con il MLVN (Movimento di Liberazione Nazionale Basco), senza nemmeno formulare la parola anarchia. Lo è, ancora di più, oggi, che è stato reso pubblico che un gruppo anarchico ha assunto la responsabilità dell’invio di un pacchetto bomba al signor Zuloaga, portavoce dei settori retrogradi del potere, il cui articolo, sull’esempio de “La Razon” del 6.3.00, criminalizzava la lotta dei detenuti sociali e anarchici, associandola, già a marzo, alle lotte dei militanti dell’ETA (uomini e donne che, oltre a lottare contro lo stato spagnolo, lo fanno con la speranza di una società più giusta).
Nello stesso modo, si sono criminalizzati i collettivi apolitici che lottano contro l’esclusione sociale e denunciano, nel marco costituzionale, i crimini dello stato e, in particolare, la mancata applicazione delle leggi da parte dell’apparato giuridico/poliziesco/penitenziario.
Infine, che nessuno si sorprenda che, se qualcuno decide di scontrarsi col potere, lo faccia utilizzando metodi che non a tutti piacciono.
È facile, per il magnate della disinformazione, attuare con una volontà che arriva dall’alto, spaventando, con false e tendenziose informazioni, tutti coloro che si avvicinano alla nostra realtà e ci appoggiano nelle nostre rivendicazioni.
Esigono la libertà d’espressione ma, quello che più vogliono, è diffondere un messaggio di guerra. Prestare attenzione a quanto dice il nemico è importante, evitando però di ingrandire la loro forza, è imprescindibile conoscere l’avversario, studiare le possibilità e i mezzi che impiega per sviluppare le sue strategie, senza, però, trasformarle in una macchina onnipotente e indistruttibile.
È una classe di gente abituata all’impunità e che spingono gli altri a chiedere un’informazione manipolata in anticipo. In tanti sappiamo che gli strumenti informativi - la televisione e i grandi mezzi - sono i responsabili di una realtà imposta e prefabbricata. Non soltanto sono strumenti di distorsione ma, bensì, anche strumenti accumulativi, nel senso che accumulano tale quantità d’informazioni che affogano l’informazione stessa. Il sapere tutto, senza sapere niente, per rapidamente dimenticare, crea nella gran maggioranza della popolazione, una realtà che si sostenta su niente.
Per finire, pensiamo che la campagna di criminalizzazione che si scatenò intorno a questa lotta, non denota una paura rispetto le nostre rivendicazioni, dato che hanno già reso pubblico un progetto di riforme della giustizia e ciò non vuol dire che vadano ad umanizzare il sistema carcerario. Il carcere non si umanizza e nessuna riforma proveniente da un governo, che propone all’ideologo del FIES, o la dispersione come il “Difensore del popolo”, può apportare qualcosa di positivo, però crediamo che si apprestino a sanare l’istituzione di fronte alla società. Non sono le rivendicazioni in se stesse che li intimoriscono ma, bensì, la nascita di un movimento sovversivo e diffuso che non possono addomesticare.
Nella nostra volontà di ribelli e anarchici, o come vogliano chiamarci, continueremo insieme alla gente che ci vuole, agli anarchici che ci conoscono come esseri liberi, degni ed incorruttibili, a coloro che sono solidali con le nostre lotte e ancora credono nella possibilità di un cambiamento.
Esistono due realtà distinte e due verità: la loro e la nostra. Ciò che è certo è che, questi mercenari del potere, contribuiscono a dare più valore alle lotte perché alle menzogne, quando sono troppe, alla fine nessuno ci crede.
Un forte abbraccio pieno di amore e di rabbia a tutti gli spiriti liberi.
Gilbert Ghislain
Claudio Lavazza
Llarbi Chauni
Fonte: Comunicati Fies, Picassent III - 3/5/00, diffuso il 5 luglio 2000 da Armando Esteban Quito, cavallialati@hotmail.com, tramite A-infos, http://www.ainfos.ca/00/jul/ainfos00064.html
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sabato 14 gennaio 2012
CONTRIBUCIÓN AL DEBATE [Claudio Lavazza]

Much@s de nosotr@s vivimos esta realidad de dominio capitalista sin darle la debida importancia. Much@s piensan en el fondo que el asunto les interesa hasta un cierto punto, piensan que es suficiente hacer unos cuantos panfletos, escribir algún artículo en revistas del movimiento, luego distribuirlas y así ponerse en paz consigo mism@ ycon l@s demás. Lo que en la realidad está pasando respecto a la represión social en general, no se cuant@s de veras están al tanto.
Más grave es aún la situación Cárcel y su realidad.
¿Cómo es posible que el Sistema siempre consiga aislar este mundo a los ojos de l@s que viven afuera?. En estos últimos 20 años hemos asistido a impresionantes cambios, sobre todo en el Aparato de Control y sus sistemas con sus espantosas estructuras Penitenciarias edificadas fuera de los cascos urbanos, para acentuar aún más el aislamiento y el olvido de sus huéspedes, nacen como hongos por todas partes, construcciones carísimas de 7 a 8000 millones de pesetas y por 1200/1500 plazas, a más de 4 millones de pesetas por cada pres@. ¿Cuántas habitaciones decentes se podrían construir para quien no las tiene, con esta suma de dinero?. Pero la preocupación del Sistema no es por l@s sin techo. Su problema es como contener la rabia de l@s excluid@s cada vez más crecientes y al mismo tiempo hacer negocio sobre su piel. Un doble negocio que responde de una manera perfecta y lineal a las exigencias de las leyes de mercado; sólo se trata de crear las condiciones en la sociedad: explotación, marginación, drogas, son muchas de las muchas armas utilizadas con inteligencia y que provocan tres caminos posibles. Quienes aceptan y entran de lleno en su funcionalidad, quienes no lo aceptan poniéndose al margen e intentando luchar para cambiar las cosas y las víctimas. Tres realidades muy distintas las unas de las otras.
Quien agacha la cabeza y decide por toda su miserable existencia servir al sistema, tendrá todo lo que quiere (o casi), siempre que sepa humillarse lo suficiente, en el mundo laboral asalariado podrá un día (quizás) subir de rango y pasar a su vez de explotad@ a explotador/a, será parte de los bien pensantes, enfermos de histeria de la seguridad, tarde o temprano tendrán bienes que proteger y entrarán en el colectivo de l@s que "cambiarán el valor universal de la justicia por el valor de la seguridad", para el/ella la seguridad será más importante que la justicia y su forma de pensar y sentir se transformará en la única forma posible, pensar , aislad@ por un eficiente Sistema de Desinformación, que si hay delitos es porque hay una parte de la población que debe ser encerrada y si las circunstancias lo permiten, exterminada. Para el/ella la cárcel es necesaria, justa e indiscutible.
Por otro lado están quienes son víctimas de la situación creada por el Sistema, l@s que deslumbrad@s por esta sociedad de consumo no han comprendido a tiempo la dictadura que se ejerce a través de la pequeña y gran pantalla, que impone sus órdenes, sus éticas, inculcando desde niñ@s que si no tienes coche o tal marca de ropa, eres una mierda de tí@ o no mereces existir, son esas verdades/órdenes, invitaciones al delito, que tarde o temprano y a razón, empujarán al excluid@ a desafiar las leyes de l@s ric@s para darse el/ella también una oportunidad. Si en el intento falla, allí estará la cárcel y las durezas de sus leyes. A esa clase de excluid@s no les esta permitido entrar en el mundo de las Bellezas Artificiales sin agachar la cabeza, todo el peso de la injusticia se abalanzará sobre el/ella, condenándolas a larguísimas penas por cosas menores y de paso alimentará el negocio del Sistema Penitenciario y a todo el entramado que lo sostiene; bancos, grupos empresariales y bursátiles... etc. y estos a su vez financiarán a los Partidos Políticos, principales promotores de esta particular forma de inversión de dinero público.
Por último hay l@s que se han formado una conciencia de clase y han tenido el tiempo suficiente para realizarla a través del recorrido de su existencia, l@s que han comprendido la necesidad y urgencia de reaccionar a un estado de cosas determinada, tanto l@s llamad@s rebeldes sociales, cuanto l@s que con una conciencia de clase, viven la misma realidad con un fin establecido de antemano por l@s poderos@s, tanto l@s un@s como l@s otr@s son enemig@s de sus intereses e ideologías, al no haberse adaptado a las exigencias de las circunstancias, así que ambos son merecedor@s del mismo tratamiento... la cárcel. Para quien cae en la red vuelve a presentarse la misma oportunidad (en pequeña escala esta vez) que la vivida en la sociedad "libre". O sea, el adaptarse y agachar la cabeza, o rechazar el todo y luchar para no permitirlo. Vuelve a repetirse el mismo juego con las mismas alternativas que se
presentaban afuera. Aquí hace falta comprender una cosa que es fundamental para tener entre tod@s una clara visión de un objetivo común que sepa contrarrestar con eficacia el funcionamiento del sistema, la cárcel es el lugar ideal en donde la lucha de clase de l@s excluid@s, tiene la oportunidad más grande de desarrollarse, al ser un sitio en donde las injusticias abundan, facilitando así esa unión tan indispensable entre pres@s. Claro que para llegar allí, hay que crear las condiciones para que nuestra unión se concretice, como por ejemplo la aportación de la solidaridad y presencia de l@s de afuera es indispensable para conseguir algo en la cárcel. Hay que darse las oportunidades para no vivir como grupos tribale acostumbrados a afrontar los problemas que se presentan, mano a mano, sin coordinación alguna, cada un@ a su rollo, cada un@ con sus propias enemistades, más propensas al desacuerdo que a la unión.
Necesitamos de esta unión. Necesitamos triunfar en esa lucha para demostrarnos a nosotr@s mism@s que es posible ganar el partido al Sistema, trabajar unid@s para una sociedad sin cárceles.
Salud y Libertad.
http://www.sindominio.net/desdedentro/comunicados_archivos/Lavazza.htm
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sabato 7 gennaio 2012
12-01-2012: PRESENTAZIONE DEL LIBRO "PESTIFERA LA MIA VITA"

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI CLAUDIO LAVAZZA, "PESTIFERA LA MIA VITA" A CURA DEI COMPAGNI DELLA CASSA ANARCHICA DI SOLIDARIETA' ANTICARCERARIA.
APERITIVO BENEFIT DI SOSTEGNO ALLA CASSA ANARCHICA.
DISCUSSIONE COLLETTIVA ED ORIZZONTALE SULLA LOTTA CONTRO IL CARCERE
GIOVEDI 12 GENNAIO ORE 20,00
@ REBEL STORE SAN LORENZO
VIA DEI VOLSCI 41, ROMA
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martedì 27 dicembre 2011
Claudio Lavazza, "Pestifera la mia vita" (NOVITA' - novembre 2011)

Chi è Claudio Lavazza lo si intuisce fin dalla prima pagina di questo libro: le azioni di cui è accusato parlano chiaro. Un ribelle, un guerriero, che ha partecipato, insieme a tanti giovani della sua generazione, al tentativo di cambiare la società e il mondo, assumendosi tutta la responsabilità di farlo con gli strumenti che riteneva adeguati.
La sua biografia non è soltanto una testimonianza in più sulla lotta armata di fine anni Settanta inizio anni Ottanta, ma è anche il ritratto di un uomo che, caso piuttosto raro, nella stagione di spietata repressione dell’insorgenza armata in Italia, non si rifugia all’estero per accomodarsi tra le promesse di governi più o meno garantisti, non accetta la condizione di rifugiato politico, ma prosegue la sua lotta Oltralpe, mettendo in pratica con lucida coerenza i princìpi dell’internazionalismo proletario e dimostrando che, proprio come l’ingiustizia e la disuguaglianza, anche l’urgenza di combatterle non conosce frontiere.
Con una ferrea disciplina e una cosciente determinazione, non pensa ad arricchirsi e a sistemarsi, nonostante gli espropri per i quali è stato condannato abbiano fruttato bottini più che allettanti. Prosegue la sua lotta affrontando le difficoltà di ogni esiliato e di ogni perseguitato. Claudio pretende non venga tirata una riga sulla sua esperienza, che mai considera conclusa, nemmeno quando, nel dicembre del 1996, a Córdoba, viene ferito in un conflitto a fuoco e poi arrestato: la sua battaglia prosegue anche in carcere. In quel “carcere dentro il carcere” che è il regime Fies dello Stato spagnolo, al quale è sottoposto per un lunghissimo periodo.
Un’esperienza ultratrentennale, che unisce senza ripensamenti le lotte di ieri a quelle di oggi, con una visione concretamente internazionalista e ostinatamente radicale. Radicale come quei valori e quei desideri che, malgrado paura e rassegnazione sembrino regnare sovrani nel nostro angolo di mondo, restano a tutt’oggi imprescindibili e ogni giorno più urgenti da realizzare. Attraverso i suoi racconti, ancora una volta, Claudio ci trasmette la forza che ha animato le sue battaglie, messe a dura prova dall’esilio prima e dal carcere fino ai giorni nostri, senza perdere l’entusiasmo che gli ha permesso di affrontare, giorno dopo giorno, l’isolamento e la tortura della reclusione.
Un bambino pestifero, Claudio. Un ribelle, anarchico, guerriero, espropriatore, che nell’ardore di una battaglia senza tregua ha saputo coniugare le sue virtù ai difficili tempi che corrono.
«Ho realizzato quasi tutti i sogni che avevo, e spesso faccio il confronto tra la mia esistenza e l’operaio che sarei stato se fossi rimasto al paese. Sicuramente ora, come i miei vecchi compagni di scuola, sarei sposato e con figli, con l’obbligo di lavorare dieci ore al giorno per mantenere la famiglia. Stanco, la sera dopo il lavoro, starei lì a fissare quella scatola idiota, comodamente seduto in pantofole, per poi andarmene a letto morto di sonno e distrutto… probabilmente adesso non sarei in carcere… però, anche se fosse possibile tornare indietro, non cambierei di un millimetro la rotta che scelsi. Che ne sarebbe stato di me se la luce della lotta non mi avesse illuminato il cammino?»
Claudio Lavazza, "PESTIFERA La mia vita" - novembre 2011 - pp. 240, 10 euro
Edizione autoprodotta da: "Cassa antirepressione delle Alpi occidentali", "Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria" di Latina, "El Paso" occupato, Centro di documentazione "Porfido" - Il ricavato dalla vendita del libro andrà alle casse di solidarietà anticarceraria - Per i distributori sconto del 50%
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giovedì 22 dicembre 2011
[Roma] Presentazione dell'autobiografia di C.Lavazza "Pestifera la mia vita"

BIBLIOTECA L'IDEA
GIOVEDI’ 22 DICEMBRE 2011 ore 18,00
PESTIFERA LA MIA VITA, autobiografia di Claudio Lavazza
Presentazione del libro a cura dalla Cassa Anarchica di Solidarietà Anticarceraria.
“Ho realizzato quasi tutti i sogni che avevo, e spesso faccio il confronto tra la mia esistenza
e l’operaio che sarei stato se fossi rimasto al paese.
Sicuramente ora, come quasi tutti i miei compagni di scuola, sarei sposato e con figli, con
l’obbligo di lavorare dieci ore al giorno per mantenere la famiglia.
Stanco, la sera dopo il lavoro, starei lì a fissare quella scatola idiota, comodamente seduto in pantofole,
per poi andarmene a letto morto di sonno e distrutto…
Probabilmente adesso non sarei in carcere…
Però, anche se fosse possibile tornare indietro, non cambierei di un millimetro la rotta che scelsi.
Che ne sarebbe stato di me se la luce della lotta non mi avesse illuminato il cammino?”
Serata benefit per la Cassa, cena vegan,
contorno musicale di Psychocircus!!! Selecta rock’n’roll surf&bestshaker
Allo Spigolo della Biblioteca Anarchica L’Idea
tra Via Braccio da Montone e Via Fanfulla da Lodi al Pigneto-Roma
http://www.informa-azione.info/roma_presentazione_di_quotpestifera_la_mia_vitaquot
http://www.inventati.org/biblidea/
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domenica 18 dicembre 2011
Correspondencia de Claudio Lavazza con compañeros presos de Turquía!! (jueves, julio 13, 2006)

Carta de Claudio Lavazza y Sedar Demirel
http://cnt.superforos.com/viewtopic.php?t=339
Salut compas os escribo estas líneas desde la comisión pro-pres@s de la CNT-AIT Cornellá y comarca, el motivo de este escrito es para tratar de difundir un par de cartas de dos presos, la primera del compañero Claudio Lavazza y la segunda carta del preso turco Sedar Demirel, la primera carta corresponde a una carta enviada por Claudio a su amigo y compañero Sedar y la segunda es la respuesta que obtuvo Claudio de su compañero. En la última carta que recibimos de Claudio nos pidió que tratásemos de difundir al máximo posible estas dos cartas ya que Sedar murió durante una terrible huelga de hambre el 7 de enero del 2006. Como bien nos explica Claudio en Turquía los pres@s llevan una dura lucha dentro de los talegos turcos contra las celdas de tipo F y el aislamiento a través de diferentes iniciativas, la mas dura de ellas la “death fast” (ayuno a muerte), Sedar es el mártir por ayuno a muerte número 121 desde que los compañeros presos turcos empezaron este camino. Antes de iniciar su último camino Sedar Demirel se había prendido fuego el 18 de diciembre del 2005 como protesta contra el aislamiento, en el hospital fue alimentado por la fuerza y después llevó a cabo su lucha hasta el final. Por todas estas luchas de tantos y tantas revolucionari@s dentro y fuera de esos centros de exterminio llamados cárceles no podemos permitir que caigan en el olvido y es por esto que os pedimos siempre y cuando podáis, claro esta, que publiquéis estas dos cartas.
Libertad pres.o.s. para siempre!!! Un saludo libertario
Albolote 23 de agosto 2005, martes Queridísimos Fotua y Sedar y a todos los otros que lucháis contra el aislamiento carcelario. No sé realmente por donde comenzar, quizá estas sean para mí la carta más difícil de mi vida. Conozco vuestra situación desde siempre... sin embargo, sólo es posible conocerla a fondo cuando se vive el horror del aislamiento carcelario... yo lo he vivido durante ocho años (y he salido hace pocos meses), en los módulos FIES aquí en España (que no son ciertamente comparables con las prisiones de tipo F en Turquía). La vida estáis dando, las vidas que se han perdido, son y serán un ejemplo en la historia de las luchas por el derecho de una vida digna, cada uno de nosotros puede escoger el mejor modo de luchar, esto depende de las circunstancias que el enemigo nos impone.. los límites los imponemos nosotros mismos... y es un derecho que nadie puede quitarnos. La vida pertenece al individuo, él y sólo él puede decidir que hacer con ella... morir en una terrible huelga de hambre es una elección, e incluso si personalmente no estoy de acuerdo, no puedo sino inclinarme ante vuestra situación. No tengo consejos que daros sobre el cómo se pueda luchar, es algo vuestro, sólo os puedo decir que una vida vuestra vale más que 100 vidas de vuestros carceleros. Cuando estaba en aislamiento pensaba que si un día el sistema de Dominio me obligaba a vivir en el horror yo le restituiría todo el horror del que fuera capaz. Somos nosotros los presos los que podemos cambiar la cárcel, si nos hacen vivir en el infierno no nos olvidemos de los carceleros que viven y trabajan, y al final del turno de guardia quieren volver a casa a abrazar a su mujer y a sus hijos... nosostr@s no tenemos este espacio de felicidad, nosotr@s no tenemos ya nada que perder, por lo que el infierno lo pueden vivir también ellos y esto es un lujo que podemos permitirnos sólo únicamente con nuestra presencia en vida... si nos vamos, será para ellos una alegría... no habrá ya nadie que les perturbará la existencia y podrán continuar con tranquilidad su sucio trabajo torturando al próximo compañero que caiga entre sus manos. Esto que os digo no son sólo palabras, sino experiencias de vida, vividas por mí y por algún compañero que conozco y conocí. También aquí en España bajo la dictadura fascista del general Franco, la vida de un prisionero no valía nada... torturas... asesinatos... aislamiento, estaban al orden del día y la respuesta tanto dentro como fuera de las cárceles fue muy dura contra los torturadores, hasta el punto de que en algunas prisiones los carceleros tenían un verdadero terror a entrar. Disculpadme el tono, pero es lo único que me viene para deciros en una situación tan dramática, es lo que siento dentro con la rabia que no puedo esconder, con la impotencia para combatir la indiferencia de la gente... Cómo vendría que estas palabras cambiasen la realidad estratégica del presente y luchásemos todos unidos por la abolición del aislamiento y por la vida.
Con amor, Claudio
Merhaba querido Claudio Saludos... Recibí tu carta y te la agradezco. Creo que la escribiste de un modo honesto y de corazón con las mejores intenciones. Por ello tengo el más profundo respeto por tus pensamientos. Tú conoces la respuesta a preguntas como la de las condiciones de aislamiento desde tu propia experiencia. Los detalles pueden ser un poco diferentes, pero es más o menos lo mismo en todas partes. Así que no hay necesidad de escribir sobre ello. Pero quiero compartir contigo mis pensamientos sobre lo que es el aislamiento, que pretende. Dado que hablas de una “terrible huelga de hambre” responderé a esa cuestión. El aislamiento es una de las armas usadas hoy por el enemigo. Los imperialistas de EEUU o de la UE, además de otros Estados, usan el aislamiento contra todo aquel (país, grupo, organización, personas individuales) que se les opone, con el fin de aislar el oponente. En esto no dudan en usar la violencia. De hecho, el uso de la violencia es una de las estrategias básicas. El aislamiento es una forma de violencia. No quiero remarcar esta cuestión, ya que los métodos y objetivos de los imperialistas y sus colaboradores para crear su infierno para los oprimidos son bien conocidos. Querido Claudio, como dijiste es el enemigo quien determina las condiciones para la forma de luchas contra estos ataques. Por tanto la respuesta a la cuestión del modo de luchar se encuentra aquí. El individuo o la organización solo tiene una elección contra estas agresiones. Hoy, en nuestro país, tratan de individualizar a la gente, de evitar que se organicen en cualquier ámbito, económico, político y social. Para ello lo usan todo, desde leyes, prohibiciones por encima de la ley hasta la degeneración cultural. Se acabará con la solidaridad, con ayudarse unos a otros, compartir unos con otros, organizarse y luchar juntos; en lugar de estar organizados cada uno será un “individuo”. Llega hasta el punto de que no pueden tolerar la solidaridad que otros trabajadores – ya ni siquiera estudiantes o parados sino trabajadores del mismo ramo en una empresa distinta- muestren a trabajadores en huelga. “Preocúpate de ti mismo”, les dicen y les amenazan. Esto es valido para todos. En el contexto de esta política el imperialismo empezó en el año 2000 a cambiar las prisiones a prisiones de tipo F. Y hoy somos nosotros quienes experimentamos esta política del modo más obvio. El objetivo es destruir todo tipo de organización, e incluso pensar de un modo organizado. Ese es el objetivo de toda política. En nuestra vida aquí todo está orientado a individualizarnos. Aunque pueden tratar de compensar la desesperación producida por dejar de ver a gente mediante el uso de “habitaciones comunes” (la llaman “habitaciones sociales”), y aunque están basadas en la arbitrariedad logran que se acepten por razones arquitectónicas sin un conocimiento real sobre ello y sin pensar en las consecuencias a largo plazo. Pero no es una cuestión técnica sino de sus políticas. Somos gente organizada. Tenemos ideales, esperanzas, realidades y objetivos. Queremos superar la opresión y la explotación en nuestro país y en el mundo, queremos que la gente sea libre y usamos los métodos acordes a las condiciones en nuestro país para obtener estos objetivos. Como tu mismo escribiste, los poderosos usan todo tipo de opresión para obstaculizar esto y mantener su sistema de dominio. Contra esto, hoy no tenemos ninguna elección sino la de usar la fuerza revolucionaria. No somos nosotros quienes determinamos la forma de lucha; es una necesidad bajo las condiciones de nuestro país y para ser capaces de alcanzar nuestros objetivos. El aislamiento es también una cuestión que tiene que verse bajo el aspecto de una estrategia general, dado que es una política que no solo afecta a las cárceles, sino a toda nuestra gente. Somos prisioneros pero no estamos desorganizados. Lo que nos mantiene unidos son nuestros pensamientos, nuestros ideales. Esto es lo que las prisiones de tipo F tratan de hacer añicos. En otras palabras; no estarás organizado sino individualizado. Olvidarás tus ideales y tus pensamientos y vivirás solo como “individuo”. Esta es la esencia de esto. Toda orden, ley, prohibición, castigo, etc. Están buscando eso. Esto es contra lo que resistimos, eso es contra lo que luchamos. Nosotros decidimos; o viviremos con nuestros pensamientos o moriremos. Por que políticamente convertirse en un individuo significa la muerte en cualquier caso, significa abandonar tus ideales. Si habrá una revolución en nuestro país no se llevará a cabo con “individuos” sino organizadamente... Querido amigo, en resumen la “terrible huelga de hambre” como tu la llamas no es una elección que podamos hacer sino una necesidad. No vemos nuestra lucha contra el aislamiento como una cuestión limitada a modificar las condiciones de encarcelamiento. Respecto la cuestión personal solo quiero decir esto: tenemos un proverbio que dice, “miras a los árboles pero no ves el bosque”. Aunque los carceleros son los que ejecutan las políticas, luchar contra ellos no daría resultado. Por el contrario debilitaría el objetivo. Seguramente, los que tienen elevados ideales no mantienen una política que valora lo pequeño frente a lo grande, pero esta es una cuestión relacionada con tu estrategia general y no puede, ni debería, verse de forma aislada. Querido Claudio, todo revolucionario libra una lucha para alcanzar sus ideales y está ansioso por obtener sus objetivos. Tiene sentimientos como todo “ser humano normal”; nadie quiere morir prematuramente. En otras palabras, nadie empieza porque quiera morir. Pero como toda tarea necesita algunos esfuerzos y en ocasiones tiene su prueba, también hay un precio que tiene que pagar por ser revolucionario. Si eliges, tienes que estar preparado para pagar el más alto precio, para alcanzar tus ideales y objetivos. Significa no abandonar la lucha, no abandonar tus ideales. Esto podría sonar como un discurso radical. Pero bajo las condiciones de la opresión y represión en curso en nuestro país nuestra resistencia tiene un papel importante y es una declaración y una realidad en el lugar adecuado. Llegados a ese punto es erróneo hablar de dudas personales. Por supuesto, toda persona que lucha por la liberación de nuestra gente es un tesoro. Quien quiera que de su vida, que se sacrifique, no puede llamarse una “muerte inútil”. Es una luz para los otros que deja detrás. Abre su camino. Querido amigo, el asunto podría discutirse incluso más ampliamente. Pero pensando en la necesidad de traducir y tomando en consideración que la carta tiene que llegarte terminaré aquí, pensando que te he dicho la esencia de mis pensamientos sobre el asunto. Por último quiero decirte lo siguiente: hasta hoy, en cinco años, 120 amigos han perdido sus vidas, cientos sufren de daños irreparables, habrá otros que perderán sus vidas pero nuestra resistencia tendrá éxito. No es una creencia teórica. Es la visión de alguien que sabe acerca de la realidad, de su país y del mundo, que es capaz de hacer análisis. Por que de eso no me queda ninguna duda y mi corazón está lleno de felicidad y paz de ser una pequeña parte de grandes ideales. Un día, más pronta más tarde, la opresión y la explotación serán borradas del mundo... Con esta creencia y mis sentimientos revolucionarios te saludo y te deseo todo lo mejor. Mantiene tus esperanzas y tu resistencia.
Con amor, Sedar Demirel
compas nunca nos olvidemos de nuestros hermanxs hechos prisioneros del capitalismo, no seamos cómplices del silencio...presxs politikxs mapuche y proletarios presxs del mundo a la kalle!!!
http://rojoscuro.blogspot.com/2006/07/correspondencia-de-claudio-lavazza-con.html
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sabato 17 dicembre 2011
Pestifera la mia vita - Intervista a Claudio Lavazza

Questa è la registrazione di un'intervista telefonica che Guido, un compagno della Cassa Antirep delle Alpi Occidentali (attualmente agli arresti domiciliari per gli scontri contro CasaPound a Cuneo), ha fatto a Claudio Lavazza lo scorso anno. La rendiamo pubblica adesso in concomitanza con la pubblicazione, in versione italiana, della sua autobiografia, “PESTIFERA la mia vita”.
Chi è Claudio Lavazza lo si intuisce fin dalla prima pagina del suo libro: le azioni di cui è accusato parlano chiaro. Un ribelle, un guerriero, che ha partecipato, insieme a tanti giovani della sua generazione, al tentativo di cambiare la società e il mondo, assumendosi tutta la responsabilità di farlo con gli strumenti che riteneva adeguati. La sua biografia non è soltanto una testimonianza in più sulla lotta armata di fine anni Settanta inizio anni Ottanta, ma è anche il ritratto di un uomo che, caso piuttosto raro, nella stagione di spietata repressione dell'insorgenza armata in Italia, non si rifugia all'estero per accomodarsi tra le promesse di governi più o meno garantisti, non accetta la condizione di rifugiato politico, ma prosegue la sua lotta Oltralpe, mettendo in pratica con lucida coerenza i principi dell'internazionalismo proletario e dimostrando che, proprio come l'ingiustizia e la diseguaglianza, anche l'urgenza di combatterle, non conosce frontiere.
Claudio, dopo 16 anni di latitanza, viene arrestato ferito in seguito ad un conflitto a fuoco che lui, e altri due compagni, avevano ingaggiato contro i birri dopo una rapina ad una banca di Cordoba. La sua biografia è costantemente contestualizzata con una ricca cronaca dei fatti più importanti di quegli anni, che hanno contribuito in un primo momento alla sua formazione di ribelle e, in seguito, a cui lui stesso ha contribuito. Un libro da leggere non come un romanzo di avventure, ma come contributo teorico/pratico da discutere tra compagni/e perchè i tempi di una nuova stagione rivoluzionaria si stanno materializzando in tutto il mondo. Un libro che, al contrario di molti altri che affrontano le lotte degli anni '70 e '80, non ha l'odore della resa, ma il profumo della rivolta permanente contro l'esistente.
--ASCOLTA INTERVISTA A Claudio Lavazza da Parte di Guido Radio Cane
http://www.radiocane.info/
--Scarica il file audio (tasto destro e salva con nome)
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mercoledì 7 dicembre 2011
Radiocane - Intervista con Claudio Lavazza

Questa è la registrazione di un'intervista telefonica che Guido, un compagno della Cassa Antirep delle Alpi Occidentali (attualmente agli arresti domiciliari per gli scontri contro CasaPound a Cuneo), ha fatto a Claudio Lavazza lo scorso anno. La rendiamo pubblica adesso in concomitanza con la pubblicazione, in versione italiana, della sua autobiografia, “PESTIFERA la mia vita
Chi è Claudio Lavazza lo si intuisce fin dalla prima pagina del suo libro: le azioni di cui è accusato parlano chiaro. Un ribelle, un guerriero, che ha partecipato, insieme a tanti giovani della sua generazione, al tentativo di cambiare la società e il mondo, assumendosi tutta la responsabilità di farlo con gli strumenti che riteneva adeguati. La sua biografia non è soltanto una testimonianza in più sulla lotta armata di fine anni Settanta inizio anni Ottanta, ma è anche il ritratto di un uomo che, caso piuttosto raro, nella stagione di spietata repressione dell'insorgenza armata in Italia, non si rifugia all'estero per accomodarsi tra le promesse di governi più o meno garantisti, non accetta la condizione di rifugiato politico, ma prosegue la sua lotta Oltralpe, mettendo in pratica con lucida coerenza i principi dell'internazionalismo proletario e dimostrando che, proprio come l'ingiustizia e la diseguaglianza, anche l'urgenza di combatterle, non conosce frontiere.>>.
Claudio, dopo 16 anni di latitanza, viene arrestato ferito in seguito ad un conflitto a fuoco che lui, e altri due compagni, avevano ingaggiato contro i birri dopo una rapina ad una banca di Cordoba. La sua biografia è costantemente contestualizzata con una ricca cronaca dei fatti più importanti di quegli anni, che hanno contribuito in un primo momento alla sua formazione di ribelle e, in seguito, a cui lui stesso ha contribuito. Un libro da leggere non come un romanzo di avventure, ma come contributo teorico/pratico da discutere tra compagni/e perchè i tempi di una nuova stagione rivoluzionaria si stanno materializzando in tutto il mondo. Un libro che, al contrario di molti altri che affrontano le lotte degli anni '70 e '80, non ha l'odore della resa, ma il profumo della rivolta permanente contro l'esistente.
ascolta l'intervista:
http://www.radiocane.info/cronache-dal-fronte/1179-pestifera-la-mia-vita-intervista-a-claudio-lavazza.html
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domenica 4 dicembre 2011
L’attaque de la prison de Frosinone (1981)

L’attaque de la prison de Frosinone (1981)
L’ample mouvement de luttes sociales né dans les années 60 en Italie, se répandit à l’intérieur des usines et des écoles. A la fin de 1969, la répression augmenta avec la stratégie de la tension, des attentats perpétrés par les services secrets italiens (bombe de la place Fontana, le train Italicus, etc.) dans une vaine tentative de provoquer un coup d’état pour restaurer le fascisme. Ce contexte poussa quelques formations extraparlementaires et des secteurs compromis dans la lutte à se questionner sur l’opportunité d’utiliser la lutte armée et à se questionner sur la violence comme moyen d’autodéfense. De ce débat naquirent, de 1969 à 1989, plus de cent organisations armées, pour être plus exact, cent-quatorze. Fin 1977, sous l’impulsion d’un fort mouvement autonome qui s’était développé cette année-là à travers le pays, et face à la nouvelle réalité des prisons spéciales, se formèrent les P.A.C. (Prolétaires Armés pour le Communisme) soutenus par la revue Senza Galeres (Sans Prisons). Je fus l’un de ses fondateurs. Parmi les membres de ce groupe il y avait Cesare, compagnon issu du monde de la pègre qui s’était conscientisé chaque fois plus, jusqu’à prendre une des positions les plus avancées de cette époque, parce qu’il avait développé une forte composante anarchiste au cours de sa trajectoire. Cesare était mon ami. Sa sympathie débordante, sa spontanéité, son implication totale dans la lutte et ses points de folie m’en faisaient le plus cher des compagn(e/on)s.
Au cours des années suivantes, les P.A.C. augmentèrent en nombre tout comme les actions contre le monde carcéral, avec entre autre l’exécution, le 6 juin 1978, d’un adepte connu de la torture (Antonio Santoro), chef de sécurité de la prison d’Udine au nord de l’Italie, d’Andrea Campana, agent de la DIGOS (police politique), et quelques autres visites à des personnages du monde carcéral.
Au début du printemps 1979, un bon nombre de compagn(e/on)s, Cesare et moi, sommes prisonnier(e)s... Les PA.C. se dissolvent. Six mois après mon incarcération, j’eus la chance de sortir pour fautes de preuves, tandis que les autres restaient enfermé(e)s, dont Cesare, avec la perspective de beaucoup d’années de prison, trente étant le minimum. Ma libération ne fut pas si joyeuse qu’on peut l’imaginer, du fait que beaucoup de mes compagn(e/on)s restaient en taule dans cette angoissante prison de San Vittore à Milan. Je me souviens que lorsque j’ai vu l’avocat m’annoncer ma remise en liberté, j’eus une expression de tristesse qu’il ne comprit pas. Il n’avait jamais vu pareille réaction durant toutes ses années d’avocat défenseur. Quand je descendis dans la cour de promenade et annonçai ma libération, j’exprimai aux autres qu’avec eux je laissais mes meilleurs compagnons de lutte, leur promettant, les larmes aux yeux, que je reviendrais sortir de là ou de quelque autre lieu toutes les personnes qu’il serait humainement possible.
Je sortis de la prison début 1980. C’était l’hiver et il faisait très froid dans les rues de Milan. Cependant, le froid qui se répandait en moi du fait de cette solitude imprévue était bien supérieur.
En 1981, un groupe de militant(e)s provenant de diverses organisations combattantes formèrent la C. O. L. P. (Communistes Organisés pour la Libération Prolétaire), avec la proposition de réaliser un réseau d’aide aux militant(e)s clandestin(e)s et pour la libération des prisonnier(e)s. Le point de départ furent quelques réflexions communes, comme le partage d’opinions qui amplifiait le champ de vision, vu que le système menaçait chaque jour avec la prison toute forme de dissidence. Une autre raison à partir de laquelle est née la volonté de renforcer notre pratique d’attaque, où primait la libération des prisonnier(e)s comme point crucial de la confrontation, fut le fait qu’ils isolaient les prisonnier(e)s les plus combati(f/ve)s dans des modalités de régime “ spécial ” qui à la longue signifient anéantissement, pour retrouver le contrôle sur les prisons, qui avaient été une authentique poudrière de révoltes et de protestations.
De cette façon, avec les compagn(e/on)s qui formaient ce groupe particulier, on décida que la première libération qui serait menée à bien serait celle de Cesare.
Cesare se trouvait dans une prison du sud. La prison de Frosinone était située quasi dans le centre de la ville. Vue de dehors elle présentait un aspect lugubre accentué par ses quatre guérites, dans lesquelles surveillaient des fonctionnaires armés. Les hauts murs qui l’entouraient cachaient la souffrance des prisonnier(e)s et rendaient difficile à deviner quoi que ce soit de l’extérieur. Le lieu ne permettait pas de rester beaucoup de temps stationné(e)s, car le risque d’être contrôlé(e)s par les forces de sécurité était constant On faisait le tour continuellement pour recueillir des informations sur les mouvements autour de la prison.
Au bout de six mois de longue préparation, on mis au point le plan d’attaque. Nous nous répartîmes le travail. Il me revenait celui de la couverture depuis l’extérieur, qui consistait à la protection de mes ami(e)s. Ce rôle me revenait car j’étais celui qui avait le plus d’expérience dans l’usage et le maniement des armes à feu, en cette occasion là un fusil d’assaut.
Le temps passa et arriva le moment où on ne pouvait pas attendre plus longtemps. Le compagnero prisonnier courrait le risque d’être transféré d’un moment à l’autre à cause de la politique de dispersion instaurée par les institutions pénitentiaires dans le but de compliquer toute tentative d’évasion. Ce qui était sûr, c’est qu’il ne manquait pas de prisons de sécurité où on pouvait les transférer, ce qui rendait quasiment impossible une quelconque libération. De plus, l’action prévue n’était pas facile. Il s’agissait de passer par la porte de communication et, de là, à travers une petite porte qui se trouvait dans la salle où les familles remettaient les paquets de fringues et de nourriture, accéder aux dépendances intérieures. Le salle d’attente serait probablement pleine de gens : hommes, femmes et enfants, les familles et ami(e)s des prisonnier(e)s. Quatre hommes et une femme se présenteront fortement armé(e)s sous les murs de la prison. Je resterai dehors, près de la voiture volée, pour assurer la sortie une fois l’opération finie. Le principal danger pouvait se présenter sous la forme d’une patrouille en voiture qui, normalement, stationnait très près de l’entrée. Nous avions aussi localisé trois individus en civil, avec des gueules de flic, tranquillement assis dans une alfa roméo de grosse cylindrée, utilisée habituellement dans ce genre de surveillance. Ils vivaient des temps difficiles dus aux vagues d’attaques armées envers les structures et individus de l’appareil politique et pénitentiaire, pour lesquelles les mercenaires de l’état étaient entraînés pour tuer et étaient armés de mitraillettes M. 12, de pistolets et de gilets pare-balles. La possibilité d’un affrontement avec eux nous angoissait, supposant un danger mortel La chose se présentait sous un aspect lugubre.
Enfin arriva le moment de l’action.
Le quatre décembre le jour s’était levé froid Le soleil se leva au cours de la matinée, atténuant un peu notre état d’âme perturbé. C’était une sensation étrange. On pourrait difficilement décrire le monde intérieur de mes compagn(e/on)s, bien que je ne crois pas qu’il fut très différent du mien. Je me demandais plusieurs fois... Et si le maton n’ouvre pas la porte ? On aura à utiliser des explosifs pour la faire sauter et alors, avec le bruit fait, aurons-nous assez de temps pour rentrer et sortir le compagnon prisonnier ? Une infinité de questions se bousculaient dans mon esprit, provocant des peurs insignifiantes qui n’avaient pas de raison d’être et amplifiaient celles qui étaient très réelles.
Nous arrivâmes autour de neuf heures du matin, dans une voiture soustraite une semaine avant. Nous nous sommes approchés de la prison, je descendis du véhicule pour continuer à m’approcher à pied, tandis que mes compagn(e/on)s se dirigeaient vers le parking qui était situé face à l’entrée de la prison avec de nombreuses voitures parquées. Les visites avaient commencé et les familles qui n’étaient pas encore entrées et ceux qui accompagnaient les visiteu(r/se)s se trouvaient dans ou hors des voitures, tuant le temps comme ils/elles pouvaient En apparence, tout était tranquille. Le mouvement des gens et des autos rendait très difficile la localisation de la flicaille, qui avait l’habitude de se mélanger avec le reste des passants. Cependant, nous pûmes identifier la voiture des carabiniers, arrêtée dans un coin de la prison, à la hauteur de la guérite. Là et comme on l’avait prévu, il y avait trois civils. Pendant que mes compagn(e/on)s se garaient, je me plaçai à un endroit préalablement choisi d’où on pouvait avoir une vision globale de la scène où allaient se dérouler les faits. Je portais à la ceinture un revolver et, pendu à l’épaule, un sac dans lequel était caché le fusil.
La peur finissait par disparaître et tout était un peu irréel. Sans efforts, les sens s’aiguisaient devant l’imminence de l’action.
Mes quatre compagn(e/on)s sortirent de la voiture. Traversèrent la rue et se dirigèrent jusqu’à l’entrée. Tout se déroula très vite. On ne pouvait se permettre aucune hésitation par peur d’être identifié(e)s. La compagne et un compagnon se rapprochèrent du responsable et lui remirent un paquet avec un faux nom de prisonnier. Attentant, les autres deux se mélangèrent avec les visiteu(r/se)s... L’action avait commencé.
Profitant d’une négligence momentanée du responsable des paquets, la compagne sortit rapidement une mitraillette et la pointa à travers les barreaux. Stupéfait, le maton n’arrivait pas à croire ce qui était entrain de se passer. “ Ouvrez la porte ou vous allez tous mourir ”, cria un de mes compagnons aux autres gardiens. Débordés par la situation, il ne leur restait pas d’autre choix que d’ouvrir la porte d’accès à l’intérieur. Une fois ouverte, et sans nécessité de le leur ordonner, les matons se jetèrent au sol avec les mains sur la tête. Comme les gens des familles étaient pantois, un autre compagnon se chargea de les tranquilliser et, après ces instants un peu tumultueux, les autres pénétrèrent à l’intérieur même de la prison, où nous avions décidé de nous frayer un chemin avec les fonctionnaires, lesquels, au début, refusèrent d’avancer et reçurent chacun quelques coups.
Dans la rue, les minutes s’écoulaient. Je ne perdais pas de vue les guérites ni la voiture des carabiniers. Stationnée sur le parking, à une vingtaine de mètres, je détectai la présence d’une voiture avec un conducteur qui me regardait plus ou moins. Je m’inquiétai, et après avoir réfléchi quelques secondes, je décidai d’aller m’assurer qu’il ne s’agissait pas d’un policier. Si c’était le cas, il me serait impossible de les contrôler tous à la fois. Dès que je l’eu rejoint, je sortis le revolver et une carte en plastique, feignant d’être moi-même un flic et faisant attention à ce que personne ne voit ce qui se passait. Je lui dis “police ! on ne bouge pas ! ”. L’homme fut surpris. L’interrogé était timide. Il se trouvait être l’un de ceux/celles des familles qui attendent leur tour de visite. Bien que je fus convaincu je m’assurai qu’il ne portait pas d’armes et lui pris les clefs de la voiture. Entre-temps, les compagn(e/on)s avançaient dans les couloirs, prenant chaque fois plus d’otages parmi les matons qui, effrayés et surpris, ouvraient les portillons sans problèmes. Un empâté, chef de service, à la vue des armes se jeta si vite par terre que son énorme barrique ondula pendant un bon moment, ce qui plus tard provoqua de fréquents éclats de rire parmi nous. En moins de deux minutes, une grande partie de la prison était entre nos mains et une trentaine de matons s’étaient convertis en otages, expérimentant pour la première fois le sans-défense du prisonnier. Les compagn(e/on)s avançaient, réduisant chaque fois plus de matons, jusqu’à atteindre la cour où se trouvait Cesare.
Cesare ne nous attendait pas. L’évasion avait été retardée plusieurs fois et, bien que mon ami connaissait la possibilité de nous voir arriver, il ne pouvait pas s’imaginer que d’ici peu il serait libre.
La surprise fut énorme.
Quand la porte s’ouvrit, Cesare était entrain de fumer une sèche. Il fut sur pied en un bond et la première chose qu’il demanda fût s’il y avait de la place pour une amitié qu’il s’était forgée dans ce trou... Evidement, il y avait de la place pour tous. Les portes étaient ouvertes et la liberté à la portée de tous. Il y avait d’autres prisonniers dans la cour. C’étaient des gens en second et troisième degré. Ils étaient pétrifiés par la peur et, étant peu condamnés, refusèrent de s’enfuir. Personne ne se bougea. Tous rejetèrent la proposition en restant dans le fond de la cour. Les plus “ dangereux ” qui étaient à ce moment dans la cour étaient Cesare et notre nouvel ami.
On réunit tous les matons dans la cour. C’était curieux et, en même temps, impressionnant, de les voir obéir sans sourciller. Tant d’hommes qui passent leur vie à donner des ordres et, des fois, torturent des personnes, de soudain affronter une situation dans laquelle leur uniforme et leur profession ne servent à rien. A un moment déterminé, on demanda verbalement aux prisonniers lequel ou lesquels les torturaient ouvertement. Notre présence à l’intérieur des murs nous permettait de prendre une certaine liberté. Personne ne contesta.
Au moment de sortir, il ne restait seulement qu’à faire le chemin inverse, mais cette fois accompagné(e)s de Cesare et d’un nouveau compagnero.
Entre temps, je continuai dans la rue à quelques mètres de la voiture que j’avais abordée quelques instants avant. Les carabiniers restaient dans leur coin. Les mouvements dans le parking étaient normaux et tout paraissait se dérouler comme prevu.
Subitement les compagner@s apparurent. Toute l’action n’avait pas duré plus de cinq minutes, cinq minutes qui passèrent à bon train ou, au moins, c’était l’impression que j’en eu. Les compagner@s étaient ensemble, Cesare au milieu du groupe, à côté d’une personne que je ne connaissais pas. Je supposai qu’il s’agissait d’un nouveau compagnero.
Ils traversèrent la rue à un pas accéléré, se dirigeant vers la voiture. Je fis de même. Bien que le danger n’était pas passé, dès ce moment nous sûmes que l’opération était un succès.
Les trois carabiniers postés dans le coin de la prison ne s’étaient pas encore rendus compte de ce qui se passait Dans la rue, tout continuait apparement tranquillement, pareil qu’à notre arrivée. Nous montâmes rapidement dans la voiture et démarrâmes à toute vitesse, prenant la retraite préalablement étudiée. Avec sept personnes, le véhicule était chargé à fond. Nous n’avions pas prévu la fuite d’un septième compagnero et il ne nous était pas venu à l’esprit d’emprunter la voiture dont j’avais pris la clef à son conducteur. Derrière, ils étaient si serrés que, en cas de fusillade, nous n’avions pas la moindre possiblité de nous défendre. Par chance, il ne se passa rien et nous continuâmes à nous éloigner de la zone. Plus de trois mille carabiniers, appuyés par deux hélicoptères, essaieront de nous donner la chasse dans les heures et les jours qui suivirent, mais ils ne parvinrent pas à nous attraper.
La nouvelle se répandit, ce souffle de liberté, dans toutes les prisons de l’état provocant des cris de joie, d’authentiques fêtes et, dans quelques cas, de véritables mutineries. Il y eu des pétitions au parlement italien pour que démissionne le ministre de la justice et le responsable des institutions pénitentiaires, puis le scandale fut énorme et les forces de l’ordre de l’état restèrent humiliées. Nous autres, dans un lieu sûr, nous nous offrions de la bière, savourant la liberté et la chaleur d’être entre compagner@s en laissant échapper des éclats de joie.
Claudio
Il y avait en Italie des organisations armées communistes, et quelques unes d’orientation anarchiste, qui prendront à cette époque, comme référence, l’élaboration culturelle du situationisme provenant de la R.A.F (Fraction Année Rouge, Allemagne) ?.
[Texte tiré de “résistance(s) au carcéral / pour en finir avec toutes les prisons”, mai 2002, 92 p. Nous avons un peu amélioré la traduction]
Publié dans "Cette Semaine" #85, août/septembre 2002, pp. 24-25
http://apa.online.free.fr/article.php3?id_article=203
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venerdì 2 dicembre 2011
Sentenza d'appello per Giovanni Barcia, Claudio Lavazza e Michele Pontolillo

Sentenza d'appello per Giovanni Barcia, Claudio Lavazza e Michele Pontolillo
Nessuna sorpresa per la sentenza d'appello del tribunale supremo di Madrid.
Le condanne emesse a Malaga, nell'ottobre 1999, contro i tre compagni anarchici Giovanni Barcia, Claudio Lavazza e Michele Pontolillo (gli ultimi due in sciopero della fame a tempo indefinito da, rispettivamente, 12 e 6 giorni), sono state tutte confermate, 11 anni per ognuno di loro.
Come qualcuno ricorderà, i tre compagni furono accusati d'essere gli autori di un "raid" al consolato italiano a Malaga, commesso nel dicembre 1996, quando tre individui mascherati vi fecero irruzione, legarono alle loro sedie il vice console Pietro Lano Torchio e il suo figliastro Jorge Mata Pavon, costrinsero il vice console a leggere, davanti ad un registratore, un comunicato contro la giustizia italiana. Quindi, dopo essersi appropriati di poche centinaia di migliaia di lire e di qualche passaporto, si diedero alla fuga.
Poco prima del processo, circolò, in italia e spagna, un comunicato a firma "corazones libres", in cui gli autori si addossavano la responsabilità dell'azione, scagionando i tre imputati.
A tale comunicato, seguirono tre pacchi bomba in diversi consolati italiani in spagna, a ribadire l'estraneità ai fatti di Malaga dei tre imputati.
Durante il processo, il vice console Pietro Lano Torchio, "riconobbe" nei tre imputati, gli individui mascherati che tre anni prima irruppero nel suo ufficio e, grazie ad un'illuminazione divina, conosceva anche i loro rispettivi nomi. La stessa illuminazione, più che divina, sbirresca, colpì, Jorge Mata Pavon: anch'egli sapeva di chi erano i volti che si nascondevano dietro le maschere e quali fossero i loro nomi: Giovanni, Claudio e Michele.
Così, mentre, i due "illuminati" fecero ritorno alla loro abitazione a Malaga in Avenida Carlos Haya, 204 bloque C-4°, i nostri amici furono riaccompagnati in carcere, appesantiti d'altri 11 anni d'inferno.
Con la sentenza di Madrid, si chiude ogni possibilità per i nostri tre amici di ottenere, per lo meno, una riduzione della pena. Il potere non dimentica i suoi nemici.
Fuoco ai tribunali e alle carceri.
Solidarietà attiva ai prigionieri in lotta .
Fonte: Sentenza d'appello per i tre compagni in Spagna , diffuso da crocenera anarchica croceneraanarchica@hotmail.com il 12 Dicembre 2000.
http://www.ecn.org/filiarmonici/appelloblp.html
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giovedì 1 dicembre 2011
Claudio Lavazza, PESTIFERA La mia vita

Claudio Lavazza, ”PESTIFERA La mia vita“ - novembre 2011 – pp. 240, 10 euro
Edizione autoprodotta da: ”Cassa antirepressione delle Alpi occidentali”, ”Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria” di Latina, “El Paso” occupato, Centro di documentazione “Porfido” - Il ricavato dalla vendita del libro andrà alle casse di solidarietà anticarceraria – Per i distributori sconto 50%.
Per richiesta copie: agitazione(at)hotmail.com
Chi è Claudio Lavazza lo si intuisce fin dalla prima pagina di questo libro: le azioni di cui è accusato parlano chiaro. Un ribelle, un guerriero, che ha partecipato, insieme a tanti giovani della sua generazione, al tentativo di cambiare la società e il mondo, assumendosi tutta la responsabilità di farlo con gli strumenti che riteneva adeguati.
La sua biografia non è soltanto una testimonianza in più sulla lotta armata di fine anni Settanta inizio anni Ottanta, ma è anche il ritratto di un uomo che, caso piuttosto raro, nella stagione di spietata repressione dell’insorgenza armata in Italia, non si rifugia all’estero per accomodarsi tra le promesse di governi più o meno garantisti, non accetta la condizione di rifugiato politico, ma prosegue la sua lotta Oltralpe, mettendo in pratica con lucida coerenza i princìpi dell’internazionalismo proletario e dimostrando che, proprio come l’ingiustizia e la disuguaglianza, anche l’urgenza di combatterle non conosce frontiere.
Con una ferrea disciplina e una cosciente determinazione, non pensa ad arricchirsi e a sistemarsi, nonostante gli espropri per i quali è stato condannato abbiano fruttato bottini più che allettanti. Prosegue la sua lotta affrontando le difficoltà di ogni esiliato e di ogni perseguitato. Claudio pretende non venga tirata una riga sulla sua esperienza, che mai considera conclusa, nemmeno quando, nel dicembre del 1996, a Córdoba, viene ferito in un conflitto a fuoco e poi arrestato: la sua battaglia prosegue anche in carcere. In quel “carcere dentro il carcere” che è il regime Fies dello Stato spagnolo, al quale è sottoposto per un lunghissimo periodo.
Un’esperienza ultratrentennale, che unisce senza ripensamenti le lotte di ieri a quelle di oggi, con una visione concretamente internazionalista e ostinatamente radicale. Radicale come quei valori e quei desideri che, malgrado paura e rassegnazione sembrino regnare sovrani nel nostro angolo di mondo, restano a tutt’oggi imprescindibili e ogni giorno più urgenti da realizzare. Attraverso i suoi racconti, ancora una volta, Claudio ci trasmette la forza che ha animato le sue battaglie, messe a dura prova dall’esilio prima e dal carcere fino ai giorni nostri, senza perdere l’entusiasmo che gli ha permesso di affrontare, giorno dopo giorno, l’isolamento e la tortura della reclusione.
Un bambino pestifero, Claudio. Un ribelle, anarchico, guerriero, espropriatore, che nell’ardore di una battaglia senza tregua ha saputo coniugare le sue virtù ai difficili tempi che corrono.
«Ho realizzato quasi tutti i sogni che avevo, e spesso faccio il confronto tra la mia esistenza e l’operaio che sarei stato se fossi rimasto al paese. Sicuramente ora, come i miei vecchi compagni di scuola, sarei sposato e con figli, con l’obbligo di lavorare dieci ore al giorno per mantenere la famiglia. Stanco, la sera dopo il lavoro, starei lì a fissare quella scatola idiota, comodamente seduto in pantofole, per poi andarmene a letto morto di sonno e distrutto… probabilmente adesso non sarei in carcere… però, anche se fosse possibile tornare indietro, non cambierei di un millimetro la rotta che scelsi. Che ne sarebbe stato di me se la luce della lotta non mi avesse illuminato il cammino?»
http://culmine.noblogs.org/?p=11982#more-11982
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