Visita dei giornalisti al Cie di Bari. E gli immigrati raccontano: "Ci danno medicine per tenerci buoni"
Lo ha detto
anche il segretario dell'Associazione nazionale funzionari di polizia,
Enzo Marco Letizia: «Continuare con il trattenimento nei Centri di
identificazione per 18 mesi degli immigrati non ha senso. Se non riesci a
identificare una persona entro quattro mesi non lo farai mai».
Risultato? I centri di identificazione - ammesso che siano mai serviti a
qualcosa - al momento sono soltanto delle gabbie dentro cui vengono
abbandonate persone in carne e ossa.
Il nostro
immenso tappeto sotto cui stipare la «polvere» che nessuno vuole vedere.
E dentro cui si trovano casi di gente che neanche secondo la legge
Bossi-Fini avrebbe dovuto finirci, come i ragazzi nati in Italia ma che
non sono riusciti ad ottenere la cittadinanza. Oppure persone vittime
della legge che secondo tutti andrebbe cambiata e che però intanto non
si cambia: ad esempio gente licenziata che ovviamente, oggi come oggi, è
un po' difficile ritrovi un posto di lavoro con tutti i crismi entro
sei mesi. E così tutti dietro le sbarre dei Cie per un anno e mezzo. I
posti nelle strutture però diventano di meno. E allora si costruiscono
nuovi centri, come le due di Castelvolturno e Palazzo San Gervasio per
le quali lo Stato ha stanziato a inizio anno 18 milioni di euro.
Viene da
riflettere anche su questi evidenti paradossi mentre grazie alla
campagna LasciateCie entrare, sostenuta tra gli altri dalla Federazione
naizonale della Stampa, si ricomincia a parlare di centri di detenzione.
Proprio mentre dalla Banca centrale europea arrivano gli ammonimenti di
Mario Draghi sulla necessità di controllare la spesa pubblica invece di
aumentare a dimisura le tasse, viene da chiedersi perché il governo
Monti non decida di mettere mano alla spesa spropositati, del tutto
fuori controllo, e immotivata dei Centri di detenzione, almeno riducendo
il tempo di permanenza. Il ministro dell'Interno leghista Roberto
Maroni pensava fosse un deterrente ulteriore alla clandestinità, e
oltretutto un ottimo modo per fare campagna elettorale al suo partito.
Forse il secondo scopo è stato raggiunto. Il primo, è fallito in pieno.
Ieri la
campagna LasciateCie entrare ha dato conto delle condizioni rinvenute
all'interno della struttura di Bari, in cui hanno fatto ingresso alcuni
giornalisti. I racconto sono univoci e raccapriccianti: nell'infermeria
un solo lettino, bagni insufficienti, sporchi e arruginiti. «Ci trattano
peggio degli animali», hanno detto ai visitatori i detenuti del centro.
Strutture per cui lo Stato, come riportava qualche giorno fa in un
articolo l'agenzia Redattore Sociale, spende in media 20 milioni di euro
l'anno solo per la gestione. Ai giornalisti i responsabili del Cie di
Bari hanno assicurato che sono stati stanziati 532 mila euro per
ristrutturare due moduli chiusi. Soldi in più da calcolare per cercare
di mettere le toppe a strutture che vengono continuamente danneggiate. E
non perché chi viene rinchiuso nei Cie sia folle: le rivolte sono
aumentate in modo esponenziale proprio con l'aumento dei tempi di
detenzione. Un altro successo dell'ex ministro Maroni.
Una rivolta si
era verificata qualche giorno fa a Bologna, proprio il giorno prima
del'ingresso nel Cie della campagna LasciateCie entrare, che oltre alle
condizioni pessime del centro aveva sollevato un altro problema: quello
delle nuove gare d'appalto. I tagli lineari dei ministeri, infatti,
impongono una base d'asta bassissima, e a Bologna la cooperativa
siciliana Oasi ha vinto per il prezzo di 28 euro a persona, laddove oggi
la Misericordia ne spende 70. Aste al massimo ribasso che aveva già
provato ad attuare nel 2008 il governo dicentro sinistra. Dovette
tornare indietro di corsa, perché massimo ribasso significa anche
ingestibilità dei servizi. Purtroppo però l'esperienza sembra contare
pochissimo quando si tratta della vita dei cittadini stranieri,
soprattutto quando stanno chiusi dietro le sbarre e non possono dire
nulla. Finora tutte le visite hanno evidenziato situazioni molto
degradanti, come anche al Cie di Milo, in provincia di Trapani, dove
l'Arci ha denunciato, oltre allo stato fatiscente della struttura, la
carenza di cure mediche per persone con fratture e cardiopatici.
Probabilmente
una maggiore trasparenza dei centri permetterebbe una minore possibilità
di infrazioni. Per questo si batte la campagna LasciateCie entrare che
proprio oggi alle 10,30 ha programmato un presidio davanti al Cie di
Ponte Galeria a Roma. Perché, anche stavolta, sono moltissimi i dinieghi
all'ingresso opposti dalle Prefetture. Il ministro dell'Interno
Annamria Cancellieri ha detto che «è giusto che i giornalisti possano
entrare nei Cie». Ma come la storia dimostra, ciò non avviene se tale
diritto rimane a discrezione dei prefetti. A quando un regolamento
nazionale?
Cinzia Gubbini da il manifesto
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