martedì 3 aprile 2012

INTERNAZIONALISMO



Il capitale, nelle sue molteplici espressioni, sia a livello di progettualita’ repressiva e di controllo, si estende su tutta la superficie del globo, nessun piccolo recesso geografico escuso. Cio’ comporta, com’e’ ormai comunemente accettato, un processo relazionale costante, nel senso che non c’e’ azione, qui, in questa parte del mondo, che non si possa porre, e di fatto non si ponga, in relazione con le situazioni di tutte le altri parti del mondo. Cio’ determia conseguenze, spesso non visibili a livello immediato, ma che si insinuano nei rapporti del capitale e ne modificano i processi.
Ora, a causare queste conseguenze, non sono soltanto i progetti repressivi e di controllo, i quali stanno ripassando i confini Stato-capitale, per fare la strada inversa a quella che avevamo percorso agli inizi degli anni ’80, ma sono anche le azioni di resistenza e di attacco che vengono poste in essere dai movimenti rivoluzionari, dalle organizzazioni specifiche che combattono contro il nemico di classe, dai movimenti insurrezionali di massa che si vanno formando un po’ dappertutto, ecc.
Tutte le manifestazioni che, dichiaratamente, si pongono nell’ottica dell’internazionalismo rivoluzionario, cioe’ nell’ottica di lottare a fianco dei popoli oppressi, in tutte le parti del globo, a partire dal posto dove ci si trova o, comunque, a partire da un momento particolarmente significativo, in cui il capitale, a livello internazionale, celebra i suoi programmi, assumono un atteggiamento politicamente corretto.
Questo modo di porsi nei riguardi delle lotte riscuote consensi dappertutto ed anche noi ci siamo posti in senso favorevole, per cui le brevi note critiche che qui appaiono vogliono soltanto essere un momento di riflessione piu’ generale sulle possibilita’ e, perche’ o, sui limiti della lotta internazionalista rivoluzionaria.
Per prima cosa, la ‘’scadenza’’. A fissarla, quasi sempre, a ben riflettere, e il potere. Il movimento gli va dietro come un cane dietro una salsiccia fumante. Cio’ comporta tutta una serie di rischi. Non e’ detto, infatti, che la scadenza fissata sia veramente importante. Puo esserlo a livello di propaganda, cioe’ nel senso che in certi momenti il potere internazionale del capitale si programma incontri, conferenze, congressi, o altre diavolerie del genere, per camuffare i processi decisionali piu’ significativi che vengono presi altrove. Spesso, ancora, in certi momenti, proprio perche’ diretti alla platea, si fanno discorsi che sono ‘’accettabili’’, progetti umanitari, sbandieramenti di disponibilita’ che lasciano stupefatta la gente, la quale non e’ preparata per capire i motivi di un dissenso, proprio nel momento in cui tutti si dimostrano disponibili a risolvere il problema. E tutto cio’ mentre altrove,nel chiuso dei consigli di amministrazione, nelle sale ristrette dove si riuniscono i gruppi di sotto-potere, nei dialoghi a due o tre, si prendono le decisioni traumatiche che condizionano milioni di vite, che causano milioni di morti.
In secondo luogo, il mit della ‘’massa’’, nel senso che si pensa sia indispensabile convogliare, in queste grandi occasioni, il maggior numero di compagni, o di persone, per far vedere quanta e quale sia la forza del movimento. In sostanza, questo secondo punto, limitante se ben si riflette, e’ strettamente connesso col primo. S e si sceglie la starda di manifestare – in un modo o nell’altro, qua non si sta facendo questione di metodo – nel corso dei grandi momenti celebrativi del potere del capitale internazionale, non si puo’ fare diversamente, se non altro per non sembrare troppo pochi per impensierire chicchessia. E qui casca un’altra riflessione, connessa a queste scelte, la pretesa di potere ‘’pubblicizzare’’ l’intervento facendo ricorso ai grandi mezzi di informazione, i quali non possono tacere di fronte ad azioni del genere. Qest’ultimo punto non merita di essere affrontato, sia perche’ ne abbiamo parlato molte volte, sia perche’ pensiamo ormai sia chiara la possibilita’ che hanno questi mezzi d’informazione di recuperare e rimacinare tutto quello che accade ad uso e consumo del potere. Scadenza estrema, massa e pubblicizzazione sono quindi tre elementi che dovrebbero essere sottoposti ad un serio dibattito critico da parte del movimento, nell’ottica dell’internazionalismo rivoluzionario.
Manifestazioni di massa potrebbero altrettatnto bene essere organizzate contro centri reali del potere, risultando non meno (se non di piu’) efficaci. Solo che questi centri reali dovrebbero essere individuati e cio’ riporta il discorso alle effettive possibilita’ del movimento rivoluzionario di avere le necessarie informazioni. Ma queste informazioni non vengono regolate da nessuno, devono essere espropriate, cioe’ sottratte, rubate, violentemente prese a quegli a quegli organismi che le tutelano e le difendono con ferocia proprio perche’ consci della loro grande importanza. Quanto e’ invece piu’ facile leggere semplicemente il giornale e apprendere che il giorno tale, nel tale paese, c’e’ la tale manifestazione. Si fa prima, si corre allora all’appuntamento, qualcosa a meta’ tra gita in campagna ed esercitazione sado-masochista per ragazzi muscolosi, incerti tra l’essere boy’scout o hooligan. In alcuni paesi, come l’Inghilterra, ad esempio, queste occasioni sono momenti molto ricercati per dare sfogo a quello che potrebbe essere definito lo sport nazionale piu’ recente e praticato: fare a botte con la polizi. Questa mentalita’ e’ equamente condivisa anche dai cop inglesi (armati quasi sempre solo di pesanti randelli di cauciu’), i quali reagiscono con furiosi ma, in fondo, abbastanza corretti, corpo a corpo agli assalti condotti dal movimento inglese con spirito sportivo tipicamente anglosassone.
Ecco, non diciamo che non si verificano anche altre cose, o che non esiste anche un’altra mentalita’ e cio’ sia altrove che nella stessa Gran Bretagna, diciamo che la prima mentalita’ e’ decisamente prevalente.
Comunque, qualora queste manifestazioni di massa dovessero risultare poco appetibili se condotte nei confronti dei centri effettivi delle decisioni di potere, ed e metodi molto brutali ed immediati di quanto non accada nelle assise del potere, od essere considerate troppo pericolose (quei centri sono sempre protetti e con sistemi e metodi molto piu’ brutali ed immediati di quanto non accada nelle assise del potere dove la protezione e’ in massima parte fatta per colpire l’immaginazione delle grandi masse), allora si puo’ ripiegare sulle azioni minoritarie, propedeutiche o meno ad eventuali future azioni di massa. Considerare questa decisione uno sganciamento dalle masse, una classica fuga in avanti, ci pare veramente eccessivo. La realta’ sta’ davanti al naso di tutti, occorre saperla cogliere attraverso le opportune documentazioni, questo e’ certamente difficile, ma non impossibile. Dal momento in cui queste documentazioni si possiedono sorge il problema se decidersi per un coinvolgimento di massa nell’azione di disturbo, o di attacco, o distruttiva, o semplicemente di denuncia – qui non facciamo questioni di questo senso – in caso contario resta sempre la possibilita’ di un’azione minoritaria.
Una volta si affrontava il problema del vecchio rapporto – tipico anni ’70 –tra la situazione dei paesi piu’ diseredati, sottosviluppati e in miseria, e le grandi metropoli dove si intendeva scatenare una lotta di sostegno ad opera del movimento e del (possibile) proletariato metropolitano. Allora si pensava di ‘’trasportare’’ il ‘’terzo mondo’’ bella metropoli. Non e’ questo il luogo per accennare alle lunghe e tragiche conseguenze di questo ‘’guavarismo’’ di rimessa che per fortuna e’ cessato. Solo che, messo in cantina, a chiare lettere – nel senso di affermare apertamente, anche da parte dei sostenitori di ieri, che non lo si vuole – non si e’ sentito il bisogno di proporre qualcosa di diverso. In sostanza si e’ detto: quello che si faceva una volta era praticamente un’illusione, non e’ andato avanti, anzi e’ stato una delle cause del fallimento delle grandi organizzazioni chiuse di carattere armato, come ad esempio la RAF o BR, non bisogna piu’ fare in questo modo. Ma qual’e’ l’alternativa che viene indicata? Nessuna in senso specifico. Non e’ stato seriamente approfondito il problema del rapporto tra lotte nelle metropoli, o comunque nei paese avanzaqti, e situazioni dei paesi piu’ poveri, sottosviluppati, terzomondisti, ecc.
Internazionalismo va bene. Ma quale? Quello delle vecchie ‘’brigate’’ che prendevano armi e bagagli e si trasferivano nei paesi dove era in corso una lotta piu’ avanzata fra le classi, per dare il loro contributo in senso rivoluzionario? Oppure quello del guvarismo di rimessa? Oppure quello del sostegno platonico fondato sulla denuncia e sul dissenso? Oppure il boicottaggio, il sabotaggio, l’attacco diretto contro gli interessi periferici del capitale internazionale nelle sue forme piu’ coinvolte in questa zona del mondo che si pone alla nostra attenzione? Una risposta non e’ facile. Se non altro sul piano dei possibili effetti.
Prendiamo il caso del Sudafrica (1988), di Israele, del dominio inglese un Irlanda del Nord o di quello spagnolo nei paesi Baschi. Prendiamo il caso della Francia in Corsica o in Nuova Caledonia, dell’URRS nei vari paesi satelliti e cosi’ via. Il capitale internazionale e’ interessato a queste situazioni. Non solo la Shell in Sudafrica, ma gli interessi ebraici negli USA o quelli dei grandi paesi industriali nelle recenti prospettive gorbacioviane in URSS (1988). Attaccare e’ sempre possibile, ma come evitare che l’attacco medesimo si trasformi in platonico dissenso, per cui si finisce per non vedere differenza tra l’effettiva distruzione di certi interessi, sia pure periferici, e la manifestazione di un’opinione discordante? Il problema non e’ affatto semplice.
Dobbiamo qui dare per scontata la capacita’ di tanti compagni di capire che la starda delle grandi manifestazioni di massa, a livello piu’ o meno d’opinione, e’ ormai bloccata. Montalto di Castro e Comiso, sono finiti, perche’ e’ finita un’era del capitale e delle sue capacita’ di risistemare il dominio. Cio’ comporta la necassita’ di rivedere le strategie di una crescita quantitativa che se era accettabile, se non altro in termini di illusione ideologica, per gli schieramenti che si richiamavano al pensiero marxista (piu’ o meno rivisitato), era certo contradditorio per gli anarchici. Si possono ripresentare ‘’occasioni’’ di lotta di massa, occasioni che occorrera’ sfruttare per condurle verso uno sbocco piu’ o meno coscientemente insurrezionale, ma non possiamo pensare ancora di impostare, a priori, un lavoro nella sola ottica di uno sbocco del genere. Su questo si presentera, forse, lo sapremo sfruttare, ma la realta’ sta’ andando verso altre forme di ristrutturazione e quindi ‘’pretende’’ altre forme di intervento rivoluzionario.
Pensiamo che queste forme non siano tanto ‘’nuove’’ nella faccispecie esteriore, quanto lo sono nella prospettiva in cui vogliamo usarale. Ad esempio, la condanna a priori di interventi minoritari, ritenuti troppo ‘’avanguardistici’’ ci sembra un luogo comune della piu’ tarda retorica del rivoluzionarismo di massa. Andava bene, impostata in questi termini, in epoche in cui ci si illudeva di potere smuovere, in tempi brevi, le grandi masse, sul modello in base al quale queste venivano mosse dai partiti della sinistra e dai sindacati in vista di obiettivi diversi. Ci si illuse, in un’epoca non remota ma che adesso pare mille anni lontana, che bastava modificare le motivazioni perche’ la gente si muovesse come fatto ineluttabile, quasi deter5ministicamente necessario. Oggi bisogna intendersi. Dobbiamo muoverci, ora, non domani, quando saranno cambiate le prospettive del movimento, e anche il capitale avra’ aggiustato i termini della sua azione. E muoversi oggi significa attaccare. Quello che manca non sono tanto le ‘’masse’’, quanto le documentazioni. In questo senso, riteniamo, si debba lavorare ancora molto.

Alfredo M. Bonanno

(testo pubblicato su ‘’Anarchismo’’ n. 62, dicembre 1988 col titolo ‘’Internazionalismo Pratico. Alcuni Tesi’’
Ri-pubblicato su ‘’Dissonanze III, Edizioni Anarchismo, prima edizione dicembre 1999)

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