Carlo Baffi
dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura di Trieste, è
indagato per omicidio colposo e sequestro di persona a riguardo il
"suicidio" in una cella del Commissariato di Villa Opicina di Alina Bonar Diachuk .
Nella perquisizione in casa e in ufficio del Dirigente di Polizia
trovati busti e poster di Mussolini ed altro materiale neofascista
Il pm Massimo
De Bortoli con una decina di finanzieri e due poliziotti della Procura,
hanno perquisito le stanze del settore immigrazione e l’ufficio di Carlo
Baffi, il funzionario responsabile per le pratiche relative agli
stranieri che ha gestito la tragica vicenda di Alina Bonar Diachuk.
Si tratta dell’ucraina di 32 anni morta suicida il mattino del 16
aprile in una stanza del commissariato di Opicina, dove era stata
rinchiusa illegalmente in attesa dell’espulsione. Baffi è ora indagato
per sequestro di persona e omicidio colposo.
Le ipotesi di
reato per Baffi riguardano a oggi il caso di Alina, ma nel corso del
blitz in Questura sono stati sequestrati 49 fascicoli in originale
relativi ad altrettanti cittadini extracomunitari anch’essi, in attesa
dell’espulsione, detenuti secondo la Procura illegalmente al
commissariato di Opicina. Le stesse stanze dove è morta la giovane
donna. Gli investigatori infatti al loro ingresso in Questura avevano
già una lista con i nomi dei 49 stranieri evidenziati dall’agosto del
2011 fino allo scorso aprile, nomi acquisiti grazie alla documentazione
sequestrata nei giorni scorsi sia negli uffici del Giudice di pace che
al commissariato di Opicina.
Alina Bonar
Diachiuk era stata scarcerata in forza di un provvedimento del giudice
Laura Barresi il 14 aprile dopo una sentenza di patteggiamento per
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per la legge, risultava
libera. Eppure era stata “prelevata” come fosse un’arrestata da una
pattuglia della squadra volante che, su disposizione dell’ufficio
immigrazione diretto da Carlo Baffi, l’aveva portata dal Coroneo
direttamente al commissariato di Opicina. Lì era stata “reclusa” nella
stanza di controllo - che in realtà è un’altra prigione - in attesa del
provvedimento del questore e dell’udienza davanti al giudice di pace che
peraltro non era stata né fissata né richiesta. Lì, su una panca,
davanti all’obiettivo di una telecamera a circuito chiuso, si è
impiccata legando una cordicella al termosifone.
La sua agonia -
hanno accertato gli investigatori - è durata quaranta minuti. In tutto
questo tempo l’agente che era in servizio di piantone al commissariato
di Opicina, non è riuscito a dare “un’occhiata” al monitor posizionato a
pochi centimetri da lui. Non si è accorto di quello che stava
succedendo.
Ma gli
investigatori della Guardia di Finanza e della polizia che stavano
perquisendo l’abitazione di Carlo Baffi, hanno trovato anche un poster
ed un busto del duce ed altro materiale neofascista e sei colpi di
pistola in più di quelli che Carlo Baffi avrebbe potuto detenere;
c’erano anche una vecchia sciabola, un fermacarte con impresso il fascio
littorio e un piccolo cartello su cui, accanto all’indicazione “Ufficio
epurazione”, era stampata la faccia di Benito Mussolini. Un gioco di
parole: immigrazione - epurazione, anche se in quell’ufficio approdano
storie terribili di uomini e donne costrette a rientrare in Paesi da cui
erano fuggiti alla ricerca disperata di un futuro nell’Europa che a
loro appariva scintillante.
La notizia del
ritrovamento ha suscitato lo sdegno di molti a Trieste e tra le
istituzioni ebraiche nazionali e cittadine. “La presenza dei volumi
antisemiti nella casa del vicequestore – afferma il consigliere
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega per il Nord Est
Andrea Mariani – ci rimanda a una dimensione ideologica che avremmo
sperato di non dover più affrontare. Una dimensione confermata con
preoccupante regolarità dalle periodiche indagini che mostrano una
costante escalation dell’antisemitismo in Europa. Quei volumi ci
ricordano che il germe dell’intolleranza è ancora fra noi e che è giunto
il momento di sradicarlo con decisione in un impegno pubblico volto a
svelare quelle ombre che ancora impediscono una reale giustizia sulle
tante ombre della nostra città”. “È interesse della Comunità ebraica –
spiega in una nota il leader comunitario Alessandro Salonichio – che
venga fatta piena luce su questo episodio e abbiamo assoluta fiducia che
le indagini in corso faranno emergere la verità. Tuttavia non possiamo
nascondere la nostra preoccupazione per il fatto che vicende di questo
tipo possano generare una distorta interpretazione della storia, in
particolare in un momento come quello che stiamo vivendo”. “Ogni giorno –
prosegue Salonichio – dobbiamo infatti amaramente constatare un aumento
di episodi di intolleranza e di dichiarazioni dal nemmeno troppo velato
sapore razzista che ci fanno temere impulsi di antisemitismo. È dunque
nostro dovere vigilare e tenere alta la soglia di attenzione affinché
essi non passino sotto silenzio. Vogliamo però rimarcare con chiarezza
il sentimento di profonda e sincera gratitudine della nostra Comunità
per il lavoro svolto con grande impegno in questi anni dalle Forze
dell’Ordine e dalla Polizia di Stato, per la salvaguardia della
sicurezza delle nostre istituzioni”.
Oltre al “caso
Baffi”, c’è un altro episodio che tocca il tema del razzismo e delle
stereotipie e che fa molto discutere nel triestino. Protagonista in
negativo il capogruppo della Lega Nord in Provincia Paolo Polidori che,
nel corso di un recente intervento ad una convention del partito, si era
così espresso: “Il presidente del Consiglio Mario Monti e il governo in
carica sono espressioni del potere giudaico – massone”. Parole che, una
volta rese pubbliche e una volta pervenuta una richiesta ufficiale di
scuse da parte della Comunità ebraica, erano state orgogliosamente
confermate dal diretto interessato. Così, si apprende oggi sul
quotidiano Il Piccolo, l’avvocato Alberto Kostoris, legale della
Comunità ebraica triestina, ha denunciato Polidori alla Procura. “Non
intendo accettare passivamente questi episodi ma reagire con gli
strumenti forniti dalla legge. Non solo come ebreo – spiega a Claudio
Ernè – ma come persona pensante”.
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