L'oro è simbolo di ricchezza. L'uranio è simbolo di potenza (intesa
 come energia per il potere). Nulla di strano se chi adora accumulare il
 primo si diletta ad andare a caccia del secondo, se chi possiede il 
secondo lo vende in cambio del primo. Re e mercanti, politici e 
amministratori delegati, tutti dediti ad occuparsi di oro e di uranio. E
 il piombo? Il piombo, di color bianco-azzurrognolo lucente, anch'esso 
duttile e malleabile, fra tutti i metalli è considerato il più povero e 
pesante e non è mai stato particolarmente considerato. Da nessuno a 
parte gli alchimisti, questi bizzarri individui che pensavano di poter 
trasmutare ciò che è povero e umile in qualcosa di nobile e prezioso. Ma
 checché se ne dica, la loro non era affatto una ricerca della ricchezza
 intesa come profitto. Gli alchimisti cercavano la Pietra Filosofale da 
raggiungere attraverso la conoscenza, l'aurea apprehensio. 
L'alchimia è uno strumento di onniscienza, della conoscenza totale che 
cerca di aprirsi la via verso la liberazione. Trasmutare un elemento in 
un altro, ottenere l'oro filosofale dal triviale metallo, era ed è 
soprattutto una metafora dei processi relativi alla liberazione 
dell'essere umano dagli ostacoli e dalle contraddizioni della vita. È 
questa la Grande Opera degli alchimisti, la cui quarta ed ultima fase — 
quella che assicura l'immortalità al suo autore — è iósis, 
rosseggiante. Perché il rosso, colore del sangue, è uno dei colori più 
importanti per gli alchimisti. Nella loro iconografia, il simbolo della 
Grande Opera è l'Albero filosofale carico di frutti rossi.
Niente oro, niente uranio, bensì piombo che, attraverso la 
conoscenza, può trasformarsi in Pietra Filosofale. Forse è questa 
l'origine dell'espressione francese «mettere del piombo in testa», 
ovvero far riflettere. Chissà. Ma, soprattutto, chissà perché è da stamani che ci arrovelliamo con simili considerazioni...
[7/5/12]
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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