Quel
che resta della giustizia: pratiche mai aperte o finite nel nulla. E sui
processi il colpo di spugna definitivo è già arrivato: i dirigenti e
gli agenti condannati hanno fatto tutti carriera.
Duecento
fascicoli a carico delle forze dell’ordine finiti nel nulla. Forse mai
aperti. Sono i procedimenti per gli abusi commessi durante il G8 di
Genova in occasione degli arresti per strada. I magistrati scarcerarono i
manifestanti all’udienza di convalida perché i verbali di arresto erano
incompleti, pasticciati. Spesso falsi. E ogni volta che un gip rilevava
palesi incongruenze trasmetteva gli atti alla Procura. Ma tutti gli
indagati sono stati di fatto graziati da una giustizia che ha lasciato
morire i fascicoli. C’è anche questo nella storia del G8, oltre
all’impegno di pm coraggiosi che hanno rischiato per portare avanti le
indagini.
Nel Tribunale
di Genova qualcuno li chiama “fascicoli fantasma”. Come quello che
riguarda due funzionari di polizia e due ufficiali dei carabinieri.
Nella sentenza del 14 dicembre del 2007, che condanna i 25 manifestanti
accusati di devastazione e saccheggio, il dispositivo firmato dal
presidente del Tribunale Marco Devoto e dal giudice estensore Emilio
Gatti ordinava la “trasmissione degli atti al pubblico ministero per
falsa testimonianza”. I quattro erano testi dell’accusa sostenuta dai pm
Anna Canepa (oggi alla direzione nazionale antimafia) e Andrea
Canciani. Si trattava di Angelo Gaggiano, vicequestore comandante del
servizio di ordine pubblico, che guidava i reparti di guardia alla zona
rossa in via Tolemaide; Mario Mondelli, attualmente questore di Biella
all’epoca uno dei capi della Celere (sostituì Vincenzo Canterini alla
guida del Reparto Mobile di Roma); il capitano Antonio Bruno e il
tenente Paolo Faedda il primo comandante, il secondo suo collaboratore,
del Battaglione Lombardia che fu il primo contingente dell’Arma a
partire all’assalto delle Tute Bianche. Secondo i giudici, nel corso
delle udienze, nel 2004, i quattro testi avevano mentito. A dirlo sono i
giudici del Tribunale che avevano avuto mano pesante con i presunti
black bloc. La procura avrebbe dovuto verificare se le ipotesi del
tribunale fossero corrette. Ma il tempo passò e il fascicolo è finito in
prescrizione senza neppure una convocazione, un atto che potesse
interromperla. Un suicidio giudiziario ripetuto forse quasi duecento
volte.
Genova in
questi giorni di prepara a ricordare il G8. Il capo della polizia,
Antonio Manganelli, mesi fa sul Secolo XIX ha invitato a chiudere la
ferita. Ma è difficile, visti i presupposti. I membri delle forze
dell’ordine responsabili delle violenze del G8 non pagheranno. La
commissione d’inchiesta parlamentare da tanti invocata non è stata
istituita e la quasi totalità dei reati – calunnia, lesioni non gravi,
abusi vari – contestati ai poliziotti della Diaz così come agli imputati
di Bolzaneto sono stati spazzati dalla prescrizione. Restano in piedi
le lesioni gravi, che però vanno in prescrizione dopo dieci anni e sei
mesi (gennaio 2012) e i falsi che di anni ne prevedono dodici e mezzo
(gennaio 2014). Se si considera che a maggio la sentenza Diaz non era
ancora partita per la Cassazione, si ha la certezza che anche le lesioni
gravi saranno prescritte mentre per i falsi eventuali intoppi o ritardi
tecnici potrebbero dare il colpo di spugna. Ancora minori le
possibilità di evitare la prescrizione per Bolzaneto – i reati
contestati dai pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati erano
abuso d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità
nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento
penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali – visto che quasi tutti sono già
estinti e che le motivazioni della sentenza d’appello sono state
depositate ad aprile di quest’anno.
Intanto i
protagonisti di quei giorni fanno carriera. Ricordate la famosa
fotografia del diciassettenne romano con il volto tumefatto e l’occhio
ridotto a una fessura? Il “calciatore” era l’ex dirigente della Digos
Alessandro Perugini. La vicenda è stata cancellata perché Perugini ha
risarcito 30mila euro e la denuncia è rientrata. Poi c’è stata un’altra
condanna a un anno per falso. Oggi Perugini è un alto funzionario della
Questura di Alessandria. Francesco Gratteri, all’epoca direttore dello
Sco è diventato prima questore di Bari ed ora è responsabile della
Direzione anticrimine centrale, il Dac: la Corte d’Appello di Genova lo
ha condannato a quattro anni per falso. Giovanni Luperi all’epoca vice
capo dell’Ucigos da cui dipendeva il controllo delle squadre Digos
presenti al vertice del G8, è oggi capo del Dipartimento analisi
dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna), l’ex Sisde:
quattro anni per falso. Gilberto Caldarozzi, era il vice di Gratteri,
poi ne ha preso il posto di direttore allo Sco, quindi è stato promosso
questore per merito straordinario nel 2006 quando partecipò alla cattura
di Bernardo Provenzano: tre anni e otto mesi per falso. Spartaco
Mortola, era il capo della Digos di Genova, è stato quindi promosso a
questore vicario di Torino e proprio poche settimane fa è diventato
questore: 3 anni e 8 mesi per falso. Vincenzo Canterini, che nel 2001
guidava i reparti della celere è diventato ufficiale di collegamento con
l’Interpol a Bucarest: cinque anni per falso in continuazione con le
lesioni gravi.
E non ci sono
soltanto i membri delle forze dell’ordine: Giacomo Toccafondi, uno dei
dottori chiamati a rispondere civilmente per gli orrori della caserma di
Bolzaneto, non ha avuto nessuna sanzione disciplinare. Anzi la sua Asl
ha deciso di premiarlo. Difficile chiudere così la ferita ancora infetta
del G8.
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