mercoledì 4 aprile 2012

E NOI SAREMO SEMPRE PRONTI A IMPADRONIRCI UN’ALTRA VOLTA DEL CIELO


Contro l’Amnistia

Nota Introduttiva

Mi sembra interessante delineare un quadro riassuntivo della nascita e dello svolgimento di quelle posizioni di ‘’desistenza’’ che vanno dal pentitismo alla dissociazione, ricordando che non e’ praticamente possibile una notizia dettagliata essendo moltissime le varianti e le modificazioni anche all’interno della stessa posizione.
Dopo la comparsa di pentiti ‘’grandi’’ e ‘’piccolo’’ che basavano il loro abbandono militare e politico, passando armi e bagagli dalla parte dello Stato ed assumendosi in proprio il compito di stroncare qualsiasi forma di resistenza (retate di centinaia di compagni, assassinio di 4 compagni a Genova da parte dei carabinieri mandadi da Peci, ecc.), cominciano a comparire, nei primi mesi del 1980, gli assertori dell’ ‘’abbandono’’ politico.
Nel maggio di quell’anno un documento politico collettivo dei sostenitori della ‘’Diserzione’’ quasi tutti usciti dalle file di Prima Linea, tra cui Donat Cattin e Gai, viene pubblicato da ‘’Lotta Continua’’. In esso si parla della necessita’ dell’autocritica e del fatto che bisogna ripensare al proprio passato storico e si precisa che i delatori sono figli del movimento.
Nasce in questo modo l’area della diserzione, del deporre le armi, appoggiata in pieno da ‘’Lotta Continua’’ e dai soliti becchini del movimento, tipo Boato e Pinto, fiancheggiata dai cosidetti democrati del tipo Neppi Modona e Mario Scajola.
Questo primo gruppo di disertori ha vita breve in qunato per molti di loro non si e’ mai riuscito a fissare una delimitazione netta dai pentiti ed anche perche’ nella quasi totalita’ hanno finito tutti per collaborare con la magistratura e la polizia.
Il 30 settembre 1982 esce il documento conosciuto come quello dei 51 (dal numero dei firmatari) che dara’ il via ad una vera corsa alle prese di distanza, alle dissociazioni, alle proposte di pacificazione, di amnistia, ecc.
Nel suddetto documento, i firmatari, principalmente provenienti dall’area dell’autonomia, sostengono che bisogna rifiutare e condannare le posizioni e i comportamenti ‘’combattenti’’ e ‘’terroristici’’ per riaprire una dialettica di vertenza ed arrivare ad una trattativa con lo Stato. In pratica Negri, Ferrari Bravo, Vesce e gli altri dicono che occorre muoversi su una strada di autocritica del passato di antagonismo radicale per immettersi in un rapporto dialettico, attivo e propositivo con le forze sociali e politiche cosiddette ‘’sane’’ le quali fanno capire di volere superare la contingenza delle leggi speciali. Costoro sostengono che in questo modo lo Stato si vedra’ obbligato a fare anch’esso autocritica rispetto alla creazione della legislazione speciale e allo spirito di vendetta, per cui si avra’ un avvicinarsi reciproco dell’uno all’altro, ed un nuovo modo di fissare le regole del gioco, su nuove condizioni dello scontro politico, basate su di un dissenso non piu’ radicale e di opposizione totale, ma dialettico e interlocutorio avente lo scopo di stimolare lo Stato a darsi sempre maggiori caratteristiche democratiche e di liberta’.
Nasce e si sviluppa cosi’ l’area della ‘’Dissociazione’’ che man mano raccogliera’ una quantita’ notevole di posizioni diverse tra loro. Cominciano coloro che rifiutano di farsi collocare tra i dissociati e tantano di addolcire la pillola affermando che senza rinnegare niente bisogna pure ammettere che la lotta armata e’ un’esperienza superata in quanto non e’ stata capace di realizzare il suo progetto di trasformazione sociale. Occorre rifarsi ad altri progetti, diretti alla costruzione di una nuova coscienza politica che conduca al superamento dedella lotta armata, aprendosi ad una rivoluzione culturale.
Un altro filone di dissociati, venuto fuori dopo, prende lo spunto da Scalzone e da altri rifugiati politici in Francia. Costoro sostengono che bisogna muoversi per impostare una grossa battaglia per l’amnistia a tutti i detenuti politici. Visto che il progetto armato e’ stato sconfitto e che una ripresa della conflittualita’ non e’ piu’ possibile, occorre dare vita ad un piano di trattative per definire un armistizio con lo Stato. Il movimento deve garantire il ‘’cessate il fuoco’’, cioe’ un periodo di pace sociale. Lo Stato dovrebbe garantire l’amnistia per sancire appunto la fine delle ostilita’. Le due parti contratterebbero il prezzo della sconfitta del movimento quantificando in cinque anni di galera per tutti lo sconto da pagare.
Un’altra grande area nata all’interno del carcere e’ quella della cosiddetta ‘’Decarcerazione’’. I suoi sostenitori pur ammettendo la necessita’ di una critica del proprio passato e pur riconoscendo che le condizioni che le condizioni che portarono ad uno sviluppo della lotta armata in Italia negli anni ’70, non sono piu’ presenti oggi, rifiutano di sottoscrivere qualsiasi dissociazione, ma ammettono la necessita’ di trovare altre strade verso la trasformazione sociale, strade che passano per le lotte pacifiste, ecologiste, e per una migliore qualita’ della vita. Nella loro condizione oggettiva di carcerati essi intendono muoversi per iniziare una lotta politico culturale diretta a ridurre gli effetti negativi della segregazione e consentire un normale sviluppo della vita. E’ quest’area che sostiene la necessita’ di organizzare convegni, manifestazioni, concerti, mostre, cooperative di produzione e culturali con lo scopo di determinare relazioni e strutture sociali alternative al carcere e tutto cio’ in una prospettiva che consenta il passaggio dalla sognata rivoluzione politica ad una possibile trasformazione sociale. Quest’area di dtenuti, che fa capo a Morucci, Monferdin, Strano, Faranda, Fiora Pirri, Premoli ecc. si e’ sempre di piu’ avvicinata all’area dei dissociati veri e propri costituendo con essi le cosiddette ‘’Misure alternative alla detenzione e ruolo della comunita’ esterna’’, svoltosi alla fine di maggio all’interno del carcere di Rebibbia con la partecipazione di 30 detenuti.
Da parte loro gran parte di ex militanti di Prima Linea, (tra i quali Segio, Ronconi, Rosso, Galmozzi, ecc.) hanno iniziato un percorso che li porta sempre piu’ vicino alle posizioni dei dissociati. Inizialmente hanno sviluppato un’autocr5itica riguardo lo scollamento tra lotta armata e lotte tradizionali del proletariato; poi sono arrivati alla conclusione che oggi le condizioni italiane non consentono piu’ l’uso della lotta armata, per concludere che esistono solo presupposti per una battaglia diretta ad uscire dalla situazione di ‘’emergenza’’. Essi parlano qundi di ‘’Riconciliazione’’ e spiegano anche le presunte differenze della pacificazione.
Oltre le posizioni fin qui delineate esiste tutta una serie di sfaccettature che portano in comune la concezione della fine di un periodo storico di antagonismo totale, di conflittualita’ radicale e permanente, come pure il giudizio che la violenza rivoluzionaria e’ stata uno strumento sbagliato che quindi risulta superata dalla storia perche’ ha fallito alla prova del fatto.
‘’Oggi nella societa’ complessa, nella fase della crisi e disgregazione dei grandi insiemi e dell’emergere del particolare, del locale, del molteplice, dell’irriducibile a unita’ e totalita’, delle differenze, l’unico modello (post socialista quanto alla forma societaria, post-comunista quanto alla forma storica del movimento) della trasformazione sociale, sembra il passaggio diretto ad un processo di estinzione dello ‘’Stato’’, cosi’ scrive Scalzone sostenendo che nella societa’ moderne capitaliste non e’ piu’ necessario un cambiamento radicale attraverso una rivoluzione in quanto la societa’ stessa di gia’ in una condizione di post-rivoluzione.
Negri ed altri ex autonomi sono in linea di massima dello stesso parere di Scalzone, ma con motivazioni diverse. Anche loro negano l’utilita’ stessa del concetto di rottura rivoluzionaria e ipotizzano la costituzione di comunita’ comuniste viventi in simbiosi con il capitalismo e capaci di crescere finendo per accerchiarlo.
Si arriva cosi’ alle lacrime sulle vittime innocenti di questi anni bui, ai poveretti travolti da una ideologia di violenza che si credeva necessaria e persini liberatrice. E’ quello che fanno Morucci, Faranda, Maino ed altri. Costoro si sentono addosso la consapevolezza lacerante del dolore e delle vittime che un movimento intero si e’ lasciato dietro. Per cominciare a vivere adesso sentono il bisogno del perdono e della rimozione dell’odio verso coloro che in questi anni hanno scelto la strada del dipartimento.
Tenendo da parte il nucleo ‘’continuista’’ delle Brigate Rosse che, come viene approfondito nell’opuscolo che pubblichiamo, si rinchiude in un irriducibilismo fuori dalla realta’, e che insiste nel parlare della necessita’ della costituzione del Partito Comunista Combattente; su di un piano di autocritica si sono mossi diversi detenuti di Palmi, tra cui Curcio, mettendo in luce i limiti e i difetti della lotta armata e delle organizzazioni che l’hanno praticata. Pur riuscendo a dimostrare che l’uso della violenza rivoluzionaria e’ possibile, la lotta armata – sostengono costoro – non e’ riuscita ad elaborare un progetto concreto che riuscisse a mettere in comunicazione tutti i linguaggi trasgressivi espressi dal proletariato in questi ultimi anni. Viene anche sviluppata una critica nei confronti di coloro che hanno vissuto e vivono il mito delle Brigate Rosse come avanguardia armata monolitica e compatta e che hanno rappresentato e continuano a rappresentare l’ala piu’ insensibile al rinnovamento qualitativo imposto dal mutare delle condizioni dello scontro. In questa analisi viene a cadere il concetto di insostituabilita’ del partito in senso terzo internazionalista e della forma delle Organizzazioni Comuniste Combattenti, suggerendo la possibilita’ di una guerriglia che attacchi all’interno delle contraddizioni e delle istanze proletarie. Vicini a queste posizioni elaborati a Palmi, si Trovano Franceschini, Ognibene ed altri che hanno redatto un documento nel carcere di Nuoro, nel dicembre del 1983, in occasione del loro sciopero della fame, un rapporto privilegiato contro le condizioni inumane di carcerazione. Questi prigionieri hanno pero’ instaurato, durante e dopo lo sciopero della fame un rapporto privilegiato con la chiesa cattolica riconoscendo a quest’ultima un ruolo nella difesa delle condizioni di vita dei detenuti. Non si tratta di una scelta casuale, ma conseguente alla loro valutazione politica che rifiuta ogni concetto di lotta collettiva e ripiega su di una linea del ‘’far da se’’, secondo le proprie esigenze immediate. Non a caso alcuni di loro si sono addirittura definiti ex-comunisti.
Un’altra fascia di detenuti, che ha organizzato e partecipato allo sciopero della fame del marzo di quest’anno contro i bracci della morte, ha dato vita ad una lotta collettiva contro una delle forme piu’ repressive della carcerazione per quanto, come alcuni di loro stessi ammettono, si tratta di una forma di lotta facilmente strumentalizzabile da parte del potere ma che era la sola che in quel dato momento si poteva usare. Con cio’ non vuol dire – continuano nella spiegazione – che siano diventati pacifisti e tengono a precisare di non aver nulla a che spartire con le ‘’arre omogenee’’, con i sostenitori delle ‘’soluzioni politiche’’ o con coloro che parlano di ‘’rifondazione dello Stato’’.
Esiste infine un non trascurabile numero di compagni che criticano le soluzioni politiche sostenendo la necessita’ di una ripresa delle iniziative di lotta del movimento interno ed esterno ale carceri, ponendo il problema della liberazione dalle galere all’interno di quello della liberazione dal sistema capitalistico.
Non mancano i compagni che hanno scelto la strada del silenzio per non aumentare il fiume di parole che si sta producendo su questo argomento ma si sa che, pur tacendo, essi sono, in linea di massima, contrari alle possibili soluzioni politiche.
Per quanto riguarda i compagni anarchici detenuti sono pochi quelli che hanno preso una posizione chiara, e corretta in senso rivoluzionario. La maggior parte ha preferito tacere e, da questo silenzio, si deve dedurre, fino a prova contraria, la continuazione della loro posizione antagonista di prima, contro ogni forma di patteggiamento o di soluzione politica. Si considerano ovviamente a parte quei pochi compagni che hanno sottoscritto documenti delle aree di dissociazione e che quindi hanno preso ufficialmente una posizione che non ci sembra condivisibile da un punto di vista rivoluzionario.

Paulo Ruberto
Ottobre ‘84

(estratto da ‘’E Noi Saremo Sempre Pronti A Impadronirci Un’Altra Volta Del Cielo)

Contro L’Amnistia
Alfredo M. Bonanno
Introduzione diPierleone Porcu
Edizioni Anarchismo ootobre 1984 – tratto da ‘’Anarchismo’’ n. 42, marzo 1984

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