sabato 7 aprile 2012

CAMILLO BERNERI: ELEMENTI PER UNA TEORIA SULLE POLIZIE SEGRETE


CAMILLO BERNERI: ELEMENTI PER UNA TEORIA SULLE POLIZIE SEGRETE


Il testo che presentiamo, Lo spionaggio fascista all'estero, è inedito in Italia. Fu scritto e pubblicato da Camillo Berneri nel 1928, mentre era esule in Francia.

Il testo ci proietta di colpo in un contesto difficile da comprendere immediatamente, perché, persino a chi possieda una buona cultura storica, potrebbero mancare i punti di riferimento.
È una situazione in cui il ruolo di agente segreto è svolto da personaggi pubblici, da intellettuali come lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte, o da un esponente della famiglia Garibaldi, già eroe della prima guerra mondiale.
Si narra di uno scandalo clamoroso a suo tempo (lo "scandalo Garibaldi"), e di un relativo processo, di cui oggi non si sente più parlare. Si documenta la relazione accondiscendente che gli agenti segreti francesi intrattenevano con i loro colleghi della polizia segreta fascista.
Insomma, il testo di Berneri è un documento che ci fa ritrovare le tracce di una memoria storica cancellata.

Per chi desideri un approfondimento sul contesto storico e sulla figura dell'anarchico Camillo Berneri, consigliamo di accedere al sito www.romacivica.net/anpiroma/antifascismo; comunque sui siti anarchici si trova una gran mole di informazioni al riguardo; specialmente presso l’Archivio della Famiglia Berneri, curato da Fiamma Chessa l’indirizzo mail è archivioberneri@hotmail.com oppure fiamma.chessa@tin.it

Ma l'effetto di spaesamento che può determinare sulle prime la lettura di questo testo, è una sensazione che non va dispersa, anzi deve essere essa stessa oggetto di approfondimento.
La cancellazione di una memoria storica costituisce l'indizio non di eventi passati, ma di eventi ancora in atto.

Nei fatti descritti da Berneri si può scorgere infatti uno schema, anzi un paradigma, del comportamento delle polizie segrete; un paradigma che potrebbe spiegare anche tanti eventi attuali, altrimenti incomprensibili.
Le polizie segrete fanno qualcosa di più che acquisire informazioni, anche più che operare infiltrazioni e provocazioni; le polizie segrete sono organismi che contribuiscono a creare gli scenari in cui agiscono; per questo motivo la loro funzione va anche oltre gli interessi dei singoli Stati da cui dipendono, dato che, per loro natura, nell'infiltrarsi a vicenda, tendono anche a compenetrarsi.


PAGINE DELL’ ITALIA LIBERA




N. 3









CAMILLO BERNERI




Lo spionaggio fascista all’estero

















E.S.I.L.
3, Boulevard de la Corderie, 3
MARSEILLE



Questo volumetto non ha, è quasi inutile avvertirlo, nessuna pretesa. Chi vi cercasse una rivelazione particolareggiata e completa dello spionaggio fascista all'estero si ingannerebbe a partito. L'opera delle organizzazioni spionistiche e delle polizie segrete di tutti i regimi sfugge, per sua natura, ai tentativi di documentazione definitiva e esauriente. Essa è e sarà sempre un. groviglio di infamie avido d'ombra e di silenzio. Per di più la vita di noi esuli, tormentata dalle nostalgie e dalla miseria, non è la più adatta a certo genere di ricerche.
Il mio non è, perciò, che il taccuino di un combattente, sul quale ho segnato, per alcuni mesi, quel che via via ho avuto occasione di leggere e di conoscere intorno all'attività degli informatori e degli agenti provocatori del fascismo: cose che troppo spesso sono travolte e dimenticate nel rapido correre degli avvenimenti quotidiani. Il caso ha poi voluto che io mi trovassi in una posizione di privilegio per lo studio del torbido ambiente in cui si è sviluppato un dramma tragicamente rappresentativo dei tormenti e delle insidie dell'esilio. Ho accolto allora l'invito degli amici di E.S.l.L. e ho buttato giù queste note nella speranza che esse possano giovare, per gli insegnamenti che è facile dedurne, alla comune battaglia contro la vergogna fascista.
c. b.



Le prime imprese dello spionaggio
Si incomincia con Dumini...
Le prime tracce dello spionaggio fascista all'estero risalgono alla fine del 1923.
Nel novembre di quell'anno Mussolini mandava i cekisti Dumini, Putato e Volpi in Francia. Essi passarono il confine mediante passaporti falsi loro rilasciati dal direttore generale della P. S. gen.. De Bono Finzi, sottosegretario di stato, consegnò a Dumini diecimila lire. I rapporti che Dumini mandava dalla Francia erano letti da Cesare Rossi a Mussolini.
Fra il 15 e il 16 novembre Dumini rimase ferito o si fece ferire a Parigi in un conflitto da lui avuto, secondo le sue dichiarazioni, con alcuni comunisti. Suckert (Suckert (Curzio Malaparte) è attualmente Il direttore
della Stampa di Torino.) e Bonservizi lo fecero fuggire. Il 17 egli si trovava a Milano in un ospedale. Il 18 fuggiva dall'ospedale e andava a Roma, al Viminale. Musso1ini - a quanto narra il Rossi - si congratulò con lui. La segreteria dei fasci all'estero donò a Dumini un ricco portasigarette con dedica, perché lo sapeva essere il cocco di Mussolini, Marinelli, segretario amministrativo del Partito fascista e pagatore “pignolo”, largheggiava, perché sapeva che Mussolini era il capo della ceka. Del carattere della missione Dumini e C. dice sufficientemente questa lettera di Dumini a Finzi inserita nei documenti del processo Matteotti:

“ Eccellenza. Ella si ricorderà certamente dei vari viaggi da me fatti con alcuni compagni, ed a quale scopo, in Francia io commisi la grave imprudenza di spedire a Basilea il diario completo, compilato in Italia e da me autenticato, corredato di note ed aumentato di documenti in copia, riproducente fedelmente tutte le operazioni compiute in territorio francese, fino al giorno in cui rimasi ferito. Spedii quelle carte, ed altre, appena seppi che il direttore generale della P. S. De Bono si era incaricato personalmente delle indagini sull’affare Matteotti. I documenti sono presso un mio amico e non vorrei che ne facesse uso. Ella immagini quale scandalo succederebbe in Italia e quali complicazioni con la Francia”.

Fin dall’autunno del 1923, dunque, Mussolini tramava in Francia. E allora il fuoruscitismo era ai primordi. Da allora in poi quante furono le spedizioni fasciste in Francia e di quale natura? Anche questa attività rimane, a tutt'oggi, nel buio. Eppure quel poco che se ne sa basta a dimostrarne l'importanza. Nel 1926 vi furono numerose spedizioni cekiste. Ai primi di settembre di quell'anno una squadra fascista si recò a Nizza per rapire Leonida Campolonghi, figlio di Luigi, allora redattore della “Pagina Italiana” de La France. “Noi avevamo i nomi, i connotati, le generalità dei membri della squadra e così pure il numero dell'autornobile che li aveva condotti” (La France, 15 novembre 1926). Verso la fine di quel mese, nuova spedizione a Nizza. “Anche questa volta, noi avevamo i nomi, i connotati, le generalità e il numero dell'automobile” (La France - idem). I membri della spedizione avevano nomi e passaporti falsi. Il direttore de La France, A. Dubarry, li denunziò al Prefetto di polizia. I fascisti, avvisati, si dispersero immediatamente. Nel novembre di quell'anno due squadre di arditi-fascisti di Milano, comandate dai famigerato Albino Volpi, entrarono in Francia: una si recò a Nizza e l'altra proseguì fino a Parigi (La France,20 novembre 1926). Nel dicembre Albino Volpi era a Nizza. (La France, 6 dicembre 1926).




Lo scandalo Garibaldi
Quale sviluppo assunse l'organizzazione cekista e spionistica in Francia? E' difficile averne una idea chiara. Essa sarebbe possibile solo ricostruendo i precedenti dello scandalo Garibaldi.
In un commento al processo Ricciotti Garibaldi e Catalani, La France di Nizza (19 gennaio 1927) diceva: “ E' pro- fondamente deplorevole che non sia incriminato Ricciotti Garibaldi per le sue manovre losche, riprovevoli, inescusabili e che si collegavano all'agenzia di spionaggio, di provocazione, di delazione, che i fascisti avevano organizzato in Francia, particolarmente a Nizza. La Sùreté générale ha messo assieme un dossier formidabile. Essa ha ricevuto delle confessioni dall'imputato. Ciò nonostante, non ha voluto spingere più lontano questo affare. Non l'ha voluto perchè delle complicità francesi si sono rivelate, come non ha voluto dare la lista dei giornali che hanno attinto ai fondi segreti italiani per sostenere la politica gallofoba del Duce, nè i nomi dei giornalisti che sono stati in rapporti finanziari con Ricciotti Garibaldi “.
La polizia francese non poteva far luce sull'affare, senza scoprire le proprie manovre, i propri metodi, i propri elementi d'infiltrazione nel campo antifascista e in quello fascista.
Vi erano uomini politici legati a Ricciotti Garibaldi e una grande tensione fra la Francia e l'Italia. Le dichiarazioni anodine dei funzionari Leluc e Benoit al processo si spiegano benissimo. Ricciotti Garibaldi aveva interesse a tacere per non aggravare la posizione, e le autorità francesi avevano interesse a circoscrivere i capi di accusa, riducendoli a semplici infrazioni delle leggi sulla detenzione di armi e di esplosivi, per non spingere l'imputato a fare il Sansone.
Quanto a Ricciotti Garibaldi, egli non ha fornito promesse documentazioni, ricattando cosi il governo francese e quello italiano non solo, ma tutte quelle personalità del fuoruscitismo che ebbero contatti assidui ed intimi con lui. Codeste personalità hanno taciuto. E' notorio che Ricciotti Garibaldi non nascondeva al suo entourage i suoi rapporti con gli agenti fascisti Spezia e Lapolla. E' noto altresì che nell'ambiente massonico dei fuorusciti più di uno credeva, incredibile a dirsi, in Federzoni.
Scoppiato lo scandalo, fu una congiura del silenzio. Al processo ci furono reticenze gravissime. Massimo Rocca., citato da Torrés come testimonio d'accusa, si perdette in dichiarazioni generiche. Torrés lo invita a dichiarare se un uomo così esperto come il Ricciotti Garibaldi poteva ingannarsi sulla vera personalità di Lapolla. Risposta: “Non posso rispondere. Sono stato nelle Argonne compagno di trincea di Ricciotti”. Fra i testimoni di accusa non figurarono coloro che erano più impasticciati nelle congiure federzoniane. Nessuno seppe superare la preoccupazione di far la figura del fesso. E così, partito Garibaldi, rimase il suo entourage, e rimasero integre le maglie della rete spionistica e provocatoria. E mancarono la rivolta morale e l'azione ammonitrice contro i tipi più dubbi dell'impresa catalana, come Senofonte Cestari, Rizzoli, Savorelli, ecc. Il primo ed il secondo si denunciarono reciprocamente come spie. Il terzo ebbe attività subdole.
Savorelli era dell'entourage di Ricciotti Garibaldi, e cinque o sei giorni prima dello scandalo Garibaldi-Lapolla si era presentato a Leonida Campolonghi, nella redazione de La France di Nizza., chiedendo di parlargli a quattr'occhi e svelandogli che negli ambienti di Nizza si stava preparando un complotto contro Mussolini “Mi chiese - narra il Campolonghi in una nota informativa - se potevo in un modo o nell'altro cooperare a questo tentativo, se non personalmente, per lo meno presentandolo ad amici sicuri. Affermò essere regolarmente iscritto at partito repubblicano -tendenza Garibaldi - e soggiunse che l'autore materiale dell’attentato doveva essere appunto un repubblicano. Risposi che non avevo l'abitudine di occuparmi di questo genere di operazioni. Che comunque tornasse all'indomani che avrei riflettuto e che mi sarei concertato con gli amici. Promise di tornare, ma non lo vidi più“. Chi aveva Scivoli per le mani era Ricciotti Garibaldi. Il Journal (28 marzo 1928) ci presenta SavorelIi informatore della polizia francese. Arrestato a Bordeaux con falso nome e fa1si documenti d'identità, viene condotto a Parigi. Quivi parla. “ Dice quel che sa suI complotto catalano “... “ la polizia utilizza le indicazioni di Savorelli. E lo rilascia “.
Dal complotto catalano in poi si accentua il fenomeno della presenza prolungata ed aperta di espulsi, che se arrestati, per caso, da agenti, son fatti rilasciare da alti funzionari, anche se trovati provvisti di false carte d'identità (Esempio: Savorelli stesso).
E si accentua l'inerzia della polizia di fronte alle denuncie antifasciste, dirette o per mezzo della stampa, contro spie ed agenti provocatori fascisti in Francia. Inerzia che permise alla organizzazione spionistica e provocatoria di ricostituirsi, godendo della più assoluta impunità, assicurata da elementi a contatto, o come stabiliti da lungo tempo in Francia, o come volontari delle Argonne, o come informatori. Impunità che oltre garantirli dagli attacchi diretti e dalle pressioni in alto loco degli antifascisti, permetteva la penetrazione, più o meno profonda, negli ambienti della burocrazia francese.





L'affare Canovi

Il 19 gennaio 1927 si presentava agli uffici del quotidiano antifascista dì Parigi Il Corriere degli Italiani un certo Newton Canovi. Uno dei redattori, il signor Picelli, dichiarò, in una intervista col Journal, di aver avuto la visita del Canovi, il quale gli aveva proposto di aiutarlo in un complotto contro Mussolini, e di averlo messo alla porta. Nino Sacchi, anch'egli redattore di quel giorna1e, narrò, in una lettera a La France di Nizza (23 Gennaio 1927), che il Canovi si era, presentato come iscritto al fascio di Milano, come appartenente al Popolo d'Italia, e profugo in seguito ad un incidente con Albino Volpi, uno degli assassini di Matteotti. Quelli del Corriere lo misero alla porta, ma Nino Sacchi pensò di entrare nella confidenza del Canovi, il quale fece anche a lui delle proposte e gli espose il piano: partenza per Nizza, dove avrebbero trovato un veloce canotto automobile che li avrebbe condotti in Corsica. Ad Ajaccio si sarebbero imbarcati su di un areoplano provvisto di mitragliatrice, bombe e fucili. Sarebbero volati a Roma, ad uccidere il Duce. Canovi avvicinò Pirazzoli, pezzo grosso del fascio di Parigi e corrispondente del Popolo d'Italia, e da lui ebbe 1.000 franchi. Lo riconobbe nell'interrogatorio subito a Nizza, al suo arresto. Lo stesso giorno dichiara al Sacchi - a quanto narrò quest'ultimo - di aver venduto l'orologio e la catena.
Sacchi e Canovi partirono, in prima classe, per Nizza, dove si istallarono all'hotel Alexandra. Cambiarono vestiti, e Canovi regalò al Sacchi una fine camicia di seta.
Mentre Canovi badava ai suoi affari, Sacchi correva agli uffici de La France, e, d'accordo con Leonida Campolonghi, organizzava il pedinamento del Canovi. Costui passò il pomeriggio negli ambienti fascisti. Fece una visita a Torre, direttore del Pensiero Latino, giornale fascista, e una a1 Consolato d'Italia. Il 21 gennaio la polizia cominciò il pedinamento. Eccone i risultati: verso le nove Canovi lasciò l'albergo, e andò ad incontrare un amico che lo sconsigliò di imbarcarsi al porto di Nizza con il Sacchi, e lo pregò di rimandare all'indomani la partenza, che avrebbe dovuto effettuarsi a Mentone, dove avrebbero raggiunta la costa italiana. su di un battello. Canovi si incaricò di far preparare i passaporti al Consolato italiano. Sacchi consegnò le proprie fotografie a Mario Porta, redattore del Pensiero Latino e amico del Torre. Canovi doveva partire per Mentone, accompagnato dal Sacchi quando fu arrestato.
Interrogato, confessò di essere un agente provocatore venuto dall'Italia per portar via un fuoruscito. Dichiarò di essere venuto in Francia per ordine superiore. Confessò di aver avuto contatti con i capi fascisti di Nizza, particolarmente con il Porta ed il Torre, al quale ultimo aveva chiesto in prestito mille franchi. Il Popolo d'Italia. sette giorni prima, aveva pubblicato una nota nella quale si diceva che Newton Canovi non faceva più parte della famiglia del giornale. Nel confronto con il Sacchi, Canovi negò di avere avuto 1000 franchi dal Pirazzoli. Altra circostanza: qualche giorno prima dell'arrivo del Canovi in Francia, il governo fascista comunicò che il Pensiero Latino, il giornale di Torre, non era un organo ufficiale del fascismo. L'atteggiamento del Canovi e questi due precedenti ufficiali starebbero a dimostrare la complicità del governo fascista. Il ministro agli interni Sarraut ordinò la sospensione del Pensiero Latino e l'espulsione di Torre. Così il silenzio cadde sull'affare. Canovi, espulso, scelse la frontiera italiana! Egli che aveva scritto e firmata la seguente dichiarazione, intitolata “Mio testamento”:
“L'attentato fu voluto e preparato da me. Già da un anno io lavoro per l'attuazione di questo piano che deve o doveva servire a liberare il mondo e l'Italia dal giogo di uno scaltro e vile cialtrone. Tutta la responsabilità dell'impresa cade su dì me: e dì questo mi sento infinitamente orgoglioso. Quello o quelli che mi accompagnarono non sono che degli istrumenti degnissimi, é vero, ma ben lungi dall'aver ordita la trama”.
20-1-1927 In fede Newton Canovi

Canovi fu inviato a domicilio coatto. Ma all’iso1a di Ustica si scoprì un complotto, risultato poi inesistente. Canovi l'aveva montato.
Anche nell'affare Canovi vi sono moltissimi punti oscuri. E Nino Sacchi, che ora si dice sia fascista, é andato, dopo aver vissuto circa un anno a Parigi nel modo più equivoco, in Argentina, con regolare passaporto, e a Buenos Aires gli antifascisti ne hanno fatto un mezzo eroe in occasione del suo arresto dopo l’attentato bombistico a quel Consolato italiano.

Savorelli al « Dovere» di Bazzi Vinc&001

Tipo misterioso come il Sacchi, ma di un altro genere, era Angelo Savorelli, ex assessore comunale di Ravenna. Costui doveva saltar fuori nel marzo 1927, nell'iniziativa bazziana del Dovere, figurando come una dei suoi fondatori e redattori politici, insieme a E. Caporali, G. Donati, V. Picelli, F. Pilla. Bazzi ha scritto sia privatamente sia nelle smentite sui quotidiani francesi (L'Oeuvre - Lè Petti Ntçois) che Savorelli « messo tra i piedi da Rafuzzi » al Dovere incollava le fascette, faceva le spedizioni, scriveva a macchina: un modesto impiegato, dunque, preso per compassione. Sta di fatto, invece, che il Savorelli collaborava al Dovere, ed era elemento utilissimo perché ben addentro nei vari ambienti antifascisti più estremi, dove poteva raccogliere soldi e aderenti alla Compagnia di Azione, « associazione per formare e disciplinare gli elementi d'azione senza partito o fuori dei partiti », come la presentava il Dovere (N. I. 30 marzo 1927). Segretario politico della Compagnia era V. Picelli, nullità politica, fanfarone presuntuoso. Altro fondatore-redattore era Pilla, ex funzionario di Rossoni.
Caporali e Donati, i pezzi più grossi, non erano uomini capaci di accorgersi delle manovre di Savorelli, tanto più che da quando credevano di poter mettere in gioco i milioni di Bazzi si credevano cime di furberia, e si perdevano a fantasticare imprese garibaldinesche e colossali piani machiavellici. Il popolare Stragliati trotterellava dietro a Donati, come Sancio dietro a Don Chisciotte, e quella “ compagnia “ fu compagnia da operette... eroicomiche.
Diamo un'occhiata al Dovere. Al primo numero, in grassetto, c'é una panzana tipica:
“ Non appena nota la magnifica audacia di Lussu, fu da noi provveduto all'invio sul posto di un amico fidatissimo - nostro e di Lussu - sopratutto per concertare con lui qualche cosa di organico e di concreto. Il nostro inviato é già sulla via del ritorno. I contatti sono stabiliti nulla e nessuno potrà ormai spezzarli. "
Seguono dei petardi. Lussu era in prigione, la fuga sui monti e le bande di partigiani inesistenti. Ma la storiella del messo fidatissimo, qualche giorno prima di figurare sul Dovere era annunciata in un salotto parigino da un altro furbo che credeva in Bazzi : uno dei pezzi più grossi, per taluni il 420, del fuoruscitismo.
In quello stesso numero, oltre alla Compagnia d'azione, si annunciava un Comitato d'indagini “ per la documentazione dei delitti di Mussolini e del fascismo “. Che bazza per Savorelli ! Nell'editoriale del secondo numero si invitano gli antifasclsti ad essere guardinghi, dato che abbondano spie ed agenti provocatori, e si accenna ad un banchiere che cerca di affiancarsi alla Concentrazione e al tempo stesso di offrirsi come provveditore in materia di provocazione.. Avviso che puzza di manovra e di ricatto. Nel terzo, numero: prima lista degli agenti provocatori del fascismo. Tutti già noti, naturalmente. Nel numero 4 si pubblica come un gran documento un rapporto del Commissario di P. S. Sabbatini, addetto all'Ambasciata di Parigi, sull'uccisione di Bonservizi; rapporto che non dimostra affatto che il Bonomini agisse sotto la spinta di un agente provocatore. Chi avvicinava Bonomini era l'ex on. Bucco, ma Bonomini era tipo da non subire suggestioni. Nel numero 5 (16 giugno 1927) Savorelli annuncia di aver dovuto dimettersi dal Partito Repubblicano perchè questi gli aveva posto il problema dell'incompatibilità della collaborazione con quelli del Dovere. In quello stesso numero si invita a revolverare le spie di Mussolini :
“ Mentre a Sabbatini e a Spetia - funzionari di P. S. addetti alla Ambasciata italiana di Parigi - si provvederà a fascismo abbattuto, si potrebbe invece passare fin d'ora una parola d'ordine a tutti gli antifascisti : e cioè che bisogna inchiodare immediatamente al muro chiunque si riesca a pescare nella veste di Sabbatini e Spetta, per conto di Mussolini. I giurati di Francia non possono non assolvere, tanto disprezzo e disgusto suscita in Francia la spia. Il Dovere si assume, su questa. via., tutte le responsabilità. “
Nello stesso numero, in grassetto : “ Perché Spetia e Sabbatini, commissari di polizia riputati particolarmente devoti a quell'ex Presidente dal Consiglio che Mussolini più odia e teme, sono stati conservati da Mussolini a funzioni delicatissime e lucrosissime ? “
Nel numero 6 Savorelli pubblica una calda apologia di Bazzi, e Flavio Pilla annuncia che assume la direzione del Dovere. Il Dovere cessa le pubblicazioni il 20 luglio 1927, ma la Compagnia di azione rimane, e il 31 luglio tiene., in rue Varenne, una riunione... garibaldinesca. La comunista Unità (8 ottobre 1927) diffida tale iniziativa.




Un groviglio di infamie spezzato da una tragedia
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Un viaggio misterioso in Italia
Uno degli amici intimi del Savorelli era Silvio Ghini, anch' egli... catalano. Nell'inverno del 1927 era malaticcio e disoccupato e veniva aiutato da un Comitato di soccorso del quale sono membro. Ci si incontrò al Foyer della Democrazia Cristiana, dove abitava l'on. Miglioli. Il Ghini diceva di. voler andare in Italia, e verso il febbraio mi disse che Savorelli gli aveva offerto di finanziare l'impresa. Di che si trattasse il Ghini non mi disse mai con precisione, ma io lo sconsigliai di rivolgersi al Savorelli, il quale era stato battagliero: uccidendo un socialista da interventista, e partecipando poi a conflitti con i fascisti di Ravenna, ma non mi ispirava fiducia per il suo continuo proporre azioni rischiose ad anarchici di azione, senza mostrare né volontà di partecipare ad esse né serietà nel coadiuvarle. Persi di vista il Ghini quando, verso l'aprile, mi pare, seppi che era andato in Italia. Egli era, nel maggio, a Genova in casa di certo Nuvoli; dopo, verso il 13 di quel mese, fu presentato da questi al repubblicano Antonio Chiodini come un antifascista che, dovendo scontare cinque anni di confino, attendeva il momento per passare in Francia.
« Durante la sua permanenza a Genova - narra Chiodini - il Ghini andava regolarmente a fare le sue passeggiate in Piazza De Ferrari, sotto i portici di via XX settembre : località. sempre tempestata di agenti. Una mattina, mentre uscivo dal Commissariato di P. S. di Piazza del Campo, dove, come ammonito, mi ero recato a fare il domenicale atto di presenza, incontrai il Ghini assieme al Nuvoli. Essi portavano distintivi fascisti (il Ghini aveva una testa di Mussolini e Nuvoli un fascio) e mi dissero che andavano a Ventimiglia per vedere se c'era la possibilità'di tagliare la corda. Più tardi, essendomi concertato col Nuvoli per passare la frontiera, lasciai il Ghini a Genova. Ma a Parigi, la mattina del 7 giugno, arrivando al ristorante di Rafuzzi fui sorpreso di vedere il Ghini seduto ad una tavola intento a suonare la chitarra. Egli mi disse (e lo disse anche al Nuvoli che era assieme a me) che era passato da Ventimiglia. Egli specificò anche che, nel passare la linea di frontiera, era stato ferito ad una coscia. Nessuno, ch'io sappia, poté mai vedere questa ferita ».
Quando poi io rividi il Ghini, egli narrò che a Bologna era dovuto fuggire perché ricercato dalla polizia e che, al passaggio della frontiera, gli avevano sparato addosso e che era stato ferito da una scheggia di pietra. Mi disse che Nuvoli e Chiodini potevano dire com'era passato, avendo fatta la stessa strada. Nuvoli infatti aveva passato la frontiera con Chiodini, ma né l'uno né l'altro potevano dir nulla su questo affare. Sta di fatto, comunque, che essi avevano fatto una strada del tutto diversa da quella che Ghini. diceva di aver battuto. Scipio Nuvoli, forse, non voleva dir nulla.
Sulla figura di questo Nuvoli, tipo enigmatico, non si sa nulla di preciso. Rimangono misteriose due circostanze: o sulla fine di aprile o ai primi di maggio, il Chiodini fu arrestato in occasione dell'andata a Genova del principe ereditario. In carcere trovò il Nuvoli e suo padre, che era stato arrestato - a quanto diceva Scipio - perché trovato in possesso di due rivoltelle. Appena in Francia, Scipio Nuvoli andò a trovare il fratello di Ghini, Pompeo, proprietario di una tenuta a Presly (Cher). Ritornato da Presly una sera Nuvoli fu arrestato e trattenuto in prigione per qualche settimana. Inseguito riuscì a far venire in Francia la famiglia. In una carta rinvenuta addosso al cadavere di Savorelli c'é un appunto di questo tenore: Savorelli e Nuvoli sono incaricati di scoprire le vie dell'emigrazione clandestina (1). (1) Serracchioli, parlando a me (che egli riteneva l'omonimo di Stockel) di Silvio Ghini, mi disse: “ L'avevano mandato alla morte. Sono stato io che l'ho salvato! “.

Ma più strana ancora é la venuta della famiglia del Ghini arrivata, madre e sorella, con passaporto regolare. La madre del Ghini, presentata dal Savorelli e da un certo Dorio, fu assunta in servizio in casa dell'ing. Tocco, ex amministratore del Dovere.
L'ing. Tocco mi ha dichiarato in seguito di essere antifascista, di non aver mai conosciuto i fratelli Ghini, di aver assunto al proprio servizio la madre dei Ghini - che prestava servizio anche in casa Serracchioli - conoscendola col nome di Maria Romagnoli, e di averla licenziata quando seppe che era la madre dei Ghini : ha aggiunto che nessuno dei suoi amici antifascisti lo ha avvertito.
Chi fece venire in Francia la famiglia Ghini ? Narra Silvio Ghini (memoriale, 6 gennaio 1928) : “ Uscendo dal caffé (Savorelli) mi disse che aveva incontrato per caso (a Bruxelles) il signor Serracchioli, garibaldino, commerciante, bolognese, che io avevo occasione di conoscere a Parigi un nove mesi fa (cioé fin dal marzo 1927). Mi disse che si era "molto interessato per mia madre e per mia sorella e se non era al confino, si doveva al suo interessamento presso Arpinati da parte di suo fratello “.
Savorelli, saputo che Silvio Ghini ha avuto un incidente con un fascista, in un caffé di Bruxelles, gli scrive:
“ Se tu credi ancora di buttare giù il fascismo dando un pugno ad un fascista e facendoti espellere dal Belgio, continua pure per tuo conto. Io non so cosa farci. Dopo tutto ciò che ci é arrivato sulle spalle a noi e alle nostre famiglie il non avere ancora imparato di stare al mondo é un brutto segno, sopratutto quando le nostre azioni si ripercuotono sugli altri. Se i tuoi sono a Parigi e non al confino, dovresti pure pensare che c'é stato qualcuno che conta che si é messo di mezzo e che verso di lui vi sono doveri da compiere e non delle cazzate da fare. E' così, che si serve l’antifascismo oggi “.
Chi era questo Soerracchioli ? Un avventuriero che era stato dell'entourage di Ricciotti Garibaldi e che doveva figurare, a quel che pare, in offerte di compere del Corriere degli Italiani. C. F. ((1) Secondo L'Iniziativa e Lo Stato Operaio C. F. è Carlo Bazzi. E io sono della stessa opinione, fondata del resto su credibili informazioni dirette.) de La Rumeur dice: “ Serracchioli, en novembre 1926, ne s'était-il pas présentè à M. Donati, alors directeur du Corriere degli Italiani, pour négocier avec lui l'achat de ce joumal ? Evincé par M. Donati. Serracchioli ne recommença-t-il pas la meme tentative auprès de M. Massimo Rocca, en september 1927, assisté, cette fois, . de Finzi ? « .
Ma C. F. non dice nulla dei rapporti di Serracchioli con Bazzi. Perchè ? Ne parlerò nel capitolo dedicato a Bazzi.
Ghini sorveglia Miglioli
Nell'estate del 1927 Ghini si era dato a sorvegliare, per incarico di Savorelli, l'on. Guido Miglioli, ex deputato popolare noto per i suoi studi su la Russia ed attualmente espulso dal territorio francese. In seguito Ghini stesso ha confessato, nel suo memoriale, il fatto, spiegandone le ragioni. (“ E siccome ero molto amico del Miglioli, avevano pensato a me perché meglio di altri avrei potuto, data la mia amicizia, stargli alle costole “). Tuttavia Ghini non parlò a nessuno, in quel tempo, dell'incarico ricevuto; né egli disse mai a Chiodini, col quale parlava sovente delle cose e delle miserie sue, di essere pagato da Savorelli. Egli , scrisse poi, a questo proposito, nel suo memoriale:
« Io avevo vieto il Savorelli un tre giorni prima nella più squallida misèria, mentre lì mi dette subito l'impressione di chi ha e può spendere. Infatti mi disse che tale faccenda (la sorveglianza di Miglioli) non l'avrei fatta per nulla, ma che mi avrebbero pagato tutte le settimane regolarmente, come se lavorassi. Io, che avevo fino allora servito l'antifascismo disinteressato, tale proposta mi fece nascere sospetti. La sera stessa parlai di questo con Chiodini perché a sua volta ne parlasse con Bergamo e Schiavetti. Il giorno dopo il Chiodini disse di aver parlato e che era roba di stile monarchico e che non meritava dargli importanza, ma che ad ogni modo gli stessi dietro dando ad intendere balle per vedere come andava a finire. Visto che essi non davano importanza all'affare, decisi di far da solo” . (Memoriale Ghini). Chiodini riconosce che il Ghini gli espresse dei dubbi sul Savorelli, ma afferma che non gli parlò mai della sua vera posizione di informatore pagato. (“ A questo scopo Savorelli mi compensava 100 franchi la settimana “. Memoriale Ghini).
Della malafede del memoriale Ghini fa prova questo passo: “ Cominciai il lavoro dicendo a Savorelli che il Miglioli abitava nella rue St-Sulpice no 10 (mentre in realtà era in Russia e non ha mai abitato a tale indirizzo). Dopo una settimana dissi che era andato ad abitare nella rue Vaugirard... dopo una settimana allora dissi nella rue De Varenne dove realmente, cosa nota a tutta Parigi, ha sempre abitato “. Una spia che avesse messo tre settimane a dare un indirizzo come quello dell'on. Miglioli, allora noto ad almeno trecento persone, sarebbe stata bruciata molto prima ! E, poi, Ghini sa benissimo che Savorelli conosceva l'indirizzo di Miglioli.
“ Un giorno - continua Ghini - Savorelli mi disse che bisognava andassi dal Rafuzzi a mangiare per vedere chi vi andava, perché vi andavano tutti comunisti, e loro credevano che avessero dietro molte spie e quindi volevano starci dietro “. A quale comunista Gbini comunicò la cosa? A nessuno, che io mi sappia. Quel che é certo é che la polizia fece da Rafuzzi varie rafles, e Ghini, che frequentava assiduamente l'ambiente, non fu mai preso. Fu dopo queste rafles e conseguenti espulsioni che i dirigenti comunisti si trasferirono, in gran parte, a Bruxelles. E Ghini andò anche lui a Bruxelles. Perché proprio in quel tempo dovette - come narra - abbandonare la Francia? E perché prima di abbandonarla sentì il bisogno di fare una visita a Savorelli ?
Savorelli fa collezione di fotografie
A Bruxelles Ghini ebbe varie incombenze. Una era quella di fotografare gli emigrati, e, guarda combinazione, gli si sviluppò il bernoccolo del fotografo dilettante.. Tommaso Beltrani, in una sua lettera del dicembre 1927, denunciava Silvio Ghini, dicendo, tra l'altro, che questi aveva avuto da Savorelli “ una bellissima macchina fotografica con la quale vengono prese le foto)grafie dei rifugiati che si prestano all'obbiettivo “.
Nel memoriale 29 dicembre 1927 Silvio Ghini dichiara: “ Nel penultimo viaggio fatto a Bruxelles, il Savorelli mi lasciò un apparecchio fotografico con l'incarico di fotografare gli antifascisti italiani residenti a Bruxelles “l. Nel memoriale del 6 gennaio 1928 : “ Mi lasciò inoltre (Savorelli) una macchina fotografica dicendo che l'avrebbe presa la prossima volta perché non aveva la valigia, per nasconderla per la dogana. Lì per li non capii il piano diabolico. Lo capii più tardi quando più tardi mi scrisse di fare pure fotografie che mi avrebbero rimborsato le spese perché volevano fare una collezione. Malgrado le sue insistenti richieste non ne ho mai mandate. Mi riscrisse dicendo che se credevo di pigliarli per il culo mi sbagliavo, e mi avvertiva che aveva avuto un battibecco con il suo principale per le mie balle “.
Ecco una delle lettere di sollecitazione: " Monsieur Ghini Silvio - Poste restante - Bruxelles. Caro amico, mi occorre sapere quando mi farai avere quella roba che mi hai promesso tante volte, figlio di un cane. Bada di spedire presto, se vuoi che anch'io faccia il mio dovere. Hai capito? Saluti. Savorelli “.
Il Ghini, in una nota apposta a questa lettera, spiega che la « roba» promessa erano le fotografie degli antifascisti che capitavano a Bruxelles. Ghini mandò le fotografie? Egli dice di no. Ma perché, allora, Savorelli continuava a pagarlo ? .
I molteplici incarichi di Ghini
Un'altra incombenza del Ghini: “ Mi disse (Savorelli) di sapergli dire quali erano gli espulsi dalla Francia e, siccome detti nomi ne parlava la stampa, non trovai nulla di male di fargli una lista di nomi degli espulsi (solo quelli che parlava la stampa) “.
Che Ghini fosse un informatore non vi é dubbio. Savorelli gli dava continue incombenze: “...mi scrisse dicendomi di tener d'occhio Beltrani e di sapergli dire cosa facesse “...” ; “ mi scrisse se sapevo ove era l'on. Bacigalupi ed altri espulsi dal mezzogiorno della Francia” ((1) “Hai notizia di Bacigalupi ? Sai dove si trova? Dal mezzogiorno della Francia debbono essere giunti a Brruxelles molti nostri amici antifascisti : informati e sappimj dire i nomi e indirizzi, con la qualifica del partito al quale appartengono”.). … “ mi scrisse di informarmi se vi era lì un certo Di Giorgio il quale, evaso dal carcere di Brescia, loro avrebbero voluto sapere come aveva fatto perché avevano degli amici che volevano pure far evadere. Scrissi che per certe cose non era a me che si dovevano rivolgere, ma a lui direttamente “. “ Non perdere di vista Mariani “. (lett. di Savorelli a Ghini).
E Savorelli era soddisfatto delle risposte. In una sua al Ghini : “ Tutto quanto mi hai riferito va bene. Continua “.
In un'altra: “ Caro Ghini, eccoti 150 franchi per la settimana che va da lunedì 8 a domenica 14 settembre. Come ti dissi ieri nella mia, se avrai viaggi o spese ti saranno rimborsate. Tu non hai che da telegrafarmi il luogo di destinazione e infor- marmi particolarmente su tutti. In una lettera a parte, separata dalle altre cose, sappimi dire subito il luogo ove si terrà il banchetto, chi c'era presente, chi ha parlato e che cosa si é detto “.
Che Ghini non fosse in buona fede lo dimostra il suo modo di agire nei casi gravi. Ecco un esempio. Savorelli scrisse a Ghini “ di informarlo se vi era un certo Sette il quale, mi diceva, credevano pure fosse un agente provocatore. Scrissi che il Sette era qua mentre in realtà il Sette io non l'ho mai visto e conosciuto. Dopo un quattro o cinque giorni scrissi che era partito per Seraing. Non mi rispose nulla per Sette”... “ Per l'uccisione di quel fascista vicino a Liegi (non ricordo il paese) (ma é Seraing !) arrivò qua come un bolide chiedendomi se Sette era sempre a Seraing. Dissi di si. Allora mi dette 100 franchi francesi affinché io andassi là e mi procurassi il suo indirizzo senza nulla dire a lui, ma che lo mandassi che avevano bisogno di mettersi in corrispondenza con lui. Non andai e, come al solito, telegrafai “ Sette è a Bruxelles “. Mi rispose per lettera che 1o seguissi per vedere cosa faceva. Mi diceva pure che doveva essere con lui un certo Malaspina. Scrissi che il Sette si trovava in sua compagnia e che andavano al Romano, ma che io non potevo andare perché troppo caro. Mi mandò 100 franchi francesi affinché andassi da Romano, e siccome mi pressava con lettere per avere l'indirizzo di Sette inventai quello di boulevard d’Anvers 84. Mi scrisse di procurargli tutti i giornali ché parlavano dell'omicidio vicino a Liegi e che se Sette fosse partito lo seguissi con una scusa qualsiasi, e una volta saputo ove si fermava, mandassi l'indirizzo e me ne tornassi a Bruxelles. Pensai di far partire il Sette (nella mia fantasia) ; infatti, come lui arrivò finsi che il Sette era partito per Charleroi. Disse: va bene. Dopo se ne andò con Beltrani e a me non disse più nulla “. Una delle lettere del Savorelli relative al Sette e al Malaspina diceva: “ Con Sette e Malaspina non comprometterti perché sono tipi molto sospetti agli stessi loro compagni di qui. Tienli d'occhio. Mantieni contatti ma non metterti in nessuna impresa con costoro. Trova la scusa che sei ammalato. Sappimi dire che cosa fanno e dove vanno. Eccoti intanto il necessario per andare dal Romano... Mi pare che tu non abbia ragione di lagnarti in nessun senso “.
Narra, il Ghini : “Il Savorelli mi disse di recarmi a Charleroi per vedere se Sette era sempre là. Più tardi, nel lasciarmi, ripeté : “ Allora domani vai a Charleroi ? “ E siccome il Rigobello era li, si offerse di accompagnarmi, il Savorelli lo incoraggiò dicendo che meritava di andarla a "vedere essendo una bella città. Ciò bastò per ingigantire i miei sospetti. Andai a Charleroi in una strada che non guardai neppure il nome, e dissi al Rigobello di attendermi.. Entrai in una porta e ne uscii dopo qualche minuto dicendo che era uscito “.
Il Sette é un anarchico piuttosto conosciuto fra i suoi compagni e il Malaspina, morto a 24 anni in seguito alle sevizie e persecuzioni delle varie polizie, era stato ricercato prima e poi espulso per l'attentato di Juan-les-Pins. Riparato nel Belgio, fu arrestato in seguito all'uccisione di due fascisti a Seraing. Ghini sapeva che a Bruxelles v'erano parecchi anarchici riparati nel Belgio in seguito alla reazione scatenata lungo la Costia Azzurra dopo l'attentato di Juan-les-Pins, e non avverti né costoro né quegli anarchici coi quali era in rapporto a Parigi. Non solo. Quando, nel gennaio 1928, un anarchico l'interrogò, me presente, sulle eventuali responsabilità del Rizzoli nell'arresto del Malaspina, mostrò di cadere dalle nuvole, di non saper niente, di non aver mai sentito il nome del Malaspina.
Altra incombenza: introdurre gli inviati da Savorelli.
Beltrani racconta a Ermanno Menapace (dicembre 1927) : “ Sono piovuti inoltre a Bruxelles, in questi ultimi tempi varii individui, tutti amici del Savorelli, e introdotti negli ambienti antifascisti dall'amico del Savorelli (Silvio Ghini), dagli atteggiamenti ambigui, provvisti di denaro e che sono varie volte caduti in contraddizioni circa la sua provenienza “. Uno di questi tipi ambigui era il Rigobello, un giovane alto, magro, giallognolo, che si diceva corridore motociclista e aveva continui contatti col Consolato di Bruxelles; un’altro, un certo Conquini, che si diceva ora popolare, ora apolitico, ed era amico del Rigobello e dell'ex comunista Luigi Rainoni, dal quale prendeva lezioni di lingua tedesca e inglese dietro compenso di 20 franchi al giorno.
In quel tempo Savorelli andò a Bruxelles ad “ imbucare delle lettere dirette in Italia, di propaganda “ (memoriale Ghini). Proprio allora gli ambienti dell'emigrazione furono inondati da circolari misteriose, contro la Concentrazione, di stile bazziano. Una di quelle circolari, proveniente da Bruxelles e firmata Cohen, mi arrivò, e notai questo errore nell'indirizzo: rue Vaugirard - invece di rue Vergniaud ; lo stesso errore notato nelle fascette delle copie dei due o tre numeri di saggio del Dovere che ricevetti.
Savorelli e Beltrani
A Bruxelles Savorelli aveva acquistato un altro collaboratore : Tomaso Beltrani, ex ras fascista, testimonio d'accusa contro Italo Balbo, profugo politico, ex legionario fiumano ed ex volontario per la Catalogna. Il Beltrani narra nella citata lettera a Ermanno Menapace (dicembre 1927) :
“ Tempo fa, le date le puoi desumere dalle lettere che ti allego, mi rivolsi a Savorelli per essere aiutato finanziariamente a superare un periodo di disoccupazione. Il Savorelli era già venuto a Bruxelles adducendo quale motivo ufficiale del suo viaggio il collocamento di uno stock di quaderni antifascisti di Bazzi. Avendo però manifestato, ad un conoscente comune, (Rizzoli) il desiderio di visitare Macia per qualche cosa di più che una visita di pura cortesia, io ebbi a dichiarare che avrei prevenuto Macia della equivocità ed oscurità del lavoro di Savorelli e del gruppo per il quale egli opera. Questo all'infuori della persona del Savorelli che io considero un amico e un buon antifascista. Ed il Savorelli visitò Macia in mia compagnia. Pochi giorni dopo il Savorelli, che fa i suoi viaggi con una certa larghezza (seconda classe e Pulman) faceva sapere che egli non veniva a Bruxelles che per visitarvi una donna “... “ Ma, ritornando al fatto, mi rivolsi dunque al Savorelli per aiuti finanziari. Mi rispose nella forma che tu stesso potrai vedere dall'originale della qui unita lettera. Non pensavo già più di contare su di lui per superare la mia crisi, quando capitò a Bruxelles espressamente per vedermi e mi invitò a un incontro. Erano i giorni dell'arresto di Di Cesaro, Bencivenga, Bracco, Ponzio, ecc. Egli mi dichiarò di lavorare per l'organizzazione cui probabilmente questi appartenevano, mi parlò di generali affiliati e di fascisti eminenti che ravveduti e stanchi attendevano il momento della riscossa. Mi disse però che fallito un tentativo di accordo con i comunisti, questa organizzazione intendeva lavorare perché i suoi uomini raccogliessero i frutti della loro opera che intendevano difendere anche dalla concorrenza, comunista. Egli disse però che a lui poco importava che i comunisti ne fossero avvantaggiati, quello che gli premeva era il crollo del fascismo. Mi propose quindi di fare l'informatore sul movimento comunista, non a danno, mi disse, ma per un invisibile collegamento, che al momento opportuno sarebbe divenuto aperto almeno rispetto ai comunisti. Gli chiesi se non poteva fin da quel momento avvisare personalmente qualche intelligente capo comunista. Egli mi disse che non bisognava precipitare. Mi chiese di sorvegliare il Mariani ed eventualmente la preparazione di attentati che non avessero fondamenta di serietà. e che non servirebbero che ad accentuare la repressione con svantaggio per il lavoro di organizzazione in Italia. Tu conosci quale sia il mio stato d'animo. Esasperato sino alla follia io sono spiritualmente maturo per cadere nella rete del più piatto agente provocatore. Accettai. Accettai i soccorsi convinto ormai di appartenere ad una organizzazione solida ed antifascista. Mi proposi, e lo dissi al Savorelli, che non appena avrei trovato lavoro avrei fatto il lavoro senza alcun compenso. Ed egli mi rispose che lavorando non avrei potuto fare il servizio con diligenza e coscienza. Accettando l'incarico ho mandato una lettera al Savorelli ed una all'indirizzo convenzionale che egli mi aveva dato: “ Mary, chez Finzi, 4 rue de Naples, Paris “. Ho ricevuto 200 franchi in una raccomandata scritta a macchina e proveniente da una fonte ...diversa da quella che mi attendevo. Il Savorelli non mi ha risposto. Deduci tu. L'ambiguità della lettera ed i segni cui ho accennato mi hanno messo in sospetto. Io affido la cosa a te, usane con la massima riserva, perché l'affare non fa onore alla mia perspicacia e perché ho già tanti nemici e non voglio accrescerne il numero. Questo non primo infortunio sulla strada della mia attività politica, che ho percorso sempre con troppa ingenuità, chiude il ciclo degli errori. D'ora in avanti mi propongo di non seguire, di non lavorare che per uomini il cui nome sia una garanzia. Così, se cadrò nel fango ancora una volta, sarà per una fatalità superiore alle forze umane e ciò non sarà disonorevole “.
Ecco una lettera di Savorelli a Beltrani :
“ Caro Beltrani, in seguito all'intesa di ieri, mi raccomando di nuovo di non aver debolezze di sorta con gli amici comunisti, perché tu sai che costoro subordinano all'interesse particolare del loro partito qualsiasi nobile iniziativa. Può anche darsi di poter agire, al momento opportuno in comune, o comunque essere l'uno giovevole all'altro. Ma per il momento la tattica da te usata in tempo di guerra ti sia di guida. Appena puoi prendi contatto con Mariani e mantienti anche nei suoi confronti riservatissimo, cercando, naturalmente, di sapere il più, possibile e riferire. Attendo che tu faccia buona figura di fronte agli, amici, mostrandoti attivo come tu sai essere quando vuoi. Saluti cordiali. Savorelli “.
Da una lettera di Beltrani a Savorelli, in data 29 novembre 1927 : “... Tu puoi rimanere tranquillo, non avrò debolezze di sorta; sono convinto che il lavoro che fate é buono, e sai, quando io sono convinto che una causa é buona, la servo con tutto il cuore; non avessi così servito il fascismo! : Ma, ti ripeto, non ho notizie interessanti... Ti ripeto, sta tranquillo, l'incarico che ho accettato lo mantengo con tutta l'onestà, con tutta la serietà. e la perspicacia possibile. Il giorno che mi sorgesse il dubbio di commettere una cattiva azione, te lo scriverei francamente, ma ti ripeto sono convinto di cooperare a qualche cosa di buono... Ti comunico che sono in bolletta completa, vedi di mandarmi il più possibile ed il più.presto possibile “.
Come Savorelli e Finzi furono scoperti
Il 5 dicembre 1927 Beltrani riceveva una raccomandata (Bruxelles per Bruxelles) scritta a macchina. L'indirizzo del mittente era scritto dietro, a penna: Maria Gnesini, boulevard St-Martin, 10, Paris. Ecco la lettera:
“ Egregio signor Beltrani, sono in possesso della. sua del 1 corrente indirizzatami rue de Naples (indirizzo di Finzi). Siccome non sono più d'accordo col mio amico che abita colà la prego di indirizzare d'ora in avanti la sua corrispondenza al N. 10 del boulevard S. Martin (Restaurant franco-italien La Tour de Pise) à Mlle Maria Gnesini. Approfitto per unire Fr. 200 e conti di ricevere per ogni suo lavoro interessante la nostra ditta i compensi adeguati, secondo l’importanza.
“ La prego anche di non aver più rapporti con la persona che ci ha fatto mettere in corrispondenza, perchè non vorremmo che la corrispondenza andasse nelle mani del suo principale, il quale non ci è troppo garante di buona fede per la causa nostra, mentre abbiamo piena fiducia nel suo rappresentante. Al piacere di leggerla più spesso nell'interesse comune, la saluto cordialmente. Dma Maria Gnesini “
Ermanno Menapace, ex legionario fiumano, che frequentava la Tour de Pise, capitò a Bruxetlee proprio in quei giorni, per ragioni professionali (è corridore motociclista e commerciante). Egli aveva saputo dal Bensi che lo Zucca, pseudo commerciante in quadri, era un agente fascista; e dalla Rovai, proprietaria del Ristorante, che Tito Fabbri, commerciante in oggetti di alabastro, era un altro agente fascista. Il Menapace vide il Beltrani, conosciuto sotto le armi, e che aveva incontrato in casa dell'ex legionario fiumano e repubblicano Schettini, e largamente aiutato prima e dopo il suo arresto per infrazione al decreto di espulsione. Il Beltrani gli mostrò la lettera su riprodotta., esprimendogli il suo imbarazzo nel vedersi in rapporto con nuove persone. Il Menapace riconobbe nell'indirizzo scritto a penna la scrittura di Tito Fabbri. Si fece consegnare la lettera, insieme ad altre, e corse a Parigi a parlare della cosa all'on. Miglioli prima e, dopo, ad Alberto Giannini. Poi mi condusse alla Tour de Pise, a cena, allo stesso tavolo dello Zucca e del Fabbri; la qual cosa mi permise, la sera stessa, , di far cominciare un pedinamento accurato. Dopo alcuni giorni, il Menapace condusse Tito Fabbri, che lo Zucca teneva a stecchetto, dal Giannini, il quale si limitò ad interrogarlo, prendendo nota degli spioni indicati. Il Giannini, poi, preparò e mandò una denuncia alla polizia francese ; allora io feci sospendere il pedinamento e mi ritirai dalla cosa. La malavoglia fu grande. Basti il fatto che quando lo Schettini telefonò, alle 9 e mezza di sera, al Triaca, 33, per ottenere che la polizia si svegliasse e non lasciasse sfuggire lo Zucca che partiva all'una e minuti, si sentì rispondere che quella non era un'ora di ufficio !
Quadri e denari.
Il memoriale Stokel

Tito Fabbri fece, al Giannini, vari nomi, ma non quello di Ego Stokel, che credeva ancora utilizzabile. Quali rapporti lo legavano allo Stokel ? Ce lo racconta la Stokel stesso : “ Verso il mese di settembre dell'anno scorso io abitavo a Parigi al Lux Hotel, 253. boulevard Voltaire insieme ad Alvise Pavan e al giornalista Renato Padovani, e cercavo, naturalmente, lavoro. Fu così che venni avvicinato da certo Zucca, che circolava da tempo tra gli antifascisti dicendosi venditore di quadri antichi. Lo Zucca mi disse che aveva da farmi guadagnare qualche cosa se avessi accettato di trasportare volta a volta i quadri nelle case degli eventuali clienti. Avendo io accettato subito con piacere egli mi presentò colui che chiamava suo segretario, certo Tito Fabbri, alle cui dipendenze io dovevo essere. Ben presto, però, mi accorsi che i due avevano qualche secondo scopo e che il preteso lavoro dei quadri era una scusa. Infatti i due ogni tanto -lo Zucca si diceva antifascista, mentre il Fabbri faceva l'apolitico- mi tenevano discorsi equivoci tendenti ad avere informazioni sull'attività politica di Alvise Pavan e Renato Padovani. Il primo infatti era segretario dei Comitati Proletari Antifascisti (forse lo Stokel cade in errore) ed il secondo redattore del Corriere degli Italiani; ambedue, poi, erano ritenuti in rapporto con i comunisti. I rapporti erano personali e di amicizia per alcuni comunisti. Mia prima cura, naturalmente, fu di avvisare tanto il Pavan che il Padovani, esponendo loro i sospetti che mi erano nati circa la vera funzione dello Zucca e del Fabbri. Tanto Pavan che Padovani mi risposero " che essi stessi avevano qualche sospetto e che bisognava aprire bene gli occhi per poter sor- prendere il loro giuoco e possibilmente avere qualche documento comprovante la loro funzione di spie. Di più lo Zucca e il Fabbri avrebbero servito da filo conduttore per rintracciare eventualmente altre spie segrete in circolazione. Ma la cosa non era facile perché lo Zucca era di una estrema prudenza e si proclamava antifascista, rovinato anche economicamente dai fascisti -e precisamente da certo Martelli, pezzo grosso del fascismo italiano – e se avanzava qualche domanda ardita aggiungeva che egli avrebbe voluto fare qualche cosa per combattere il fascismo, e che il suo interessamento proveniva. sempre da ciò. Una sola volta disse che “ un gruppo di antifascisti di Parma voleva fare un giornaletto clandestino “, ma che non sapeva dove rivolgersi, perciò sarebbe stata cosa utile conoscere qualcuna delle tipografie clandestine dei comunisti. Io risposi che sapere ciò mi sembrava impossibile ed egli ribatté che Pavan e Padovani le conoscevano certamente dati i loro rapporti con i comunisti. Evidentemente lo Zucca si accorse di essere andato troppo avanti, perché da quel giorno non mi parlò più della cosa lasciando soltanto al Fabbri la cura di avere relazioni con me per il lavoro dei quadri (1: Su questo affare dei quadri varrebbe la pena di fare una indagine. A Parigi gli agenti fascisti dispongono di un enorme stock di quadri di valore. Nella camera del Fabbri vi erano quadri di pittori insigni. Ad es. un Davild (ritratto del conte Ceserac : 100xO,77). Il Fabbri, al contrario, sembrava meno prudente e disposto a sbottonarsi più facilmente e mi diceva che “ la vita era difficile, che egli aveva numerosa famiglia “ e che “ aveva bisogno di guadagnare centomila lire in poco tempo “. Io facevo ogni sera la narrazione completa dei loro discorsi a Pavan e al Padovani, ma vedendo che non si giungeva a capo di nulla, decidemmo insieme di mettere alla prova il Fabbri e lo Zucca, nella maniera seguente: io avrei, alla prima occasione, con mezze frasi, fatto capire al Fabbri che in Italia si doveva preparare qualche cosa e che forse stavano per partire per l'Italia due emissari di una organizzazione segreta. Se mi avesse chiesto maggiori informazioni avrei, sempre in forma incerta, aggiunto che la partenza, a quanto avevo compreso dai discorsi di Pavan e Padovani, doveva avvenire in quei giorni. Ciò per costringere il Fabbri, data l'urgenza della cosa, a scoprirsi. In quei giorni però avvenne un fatto che guastò i nostri piani. Il Padovani, che era in Francia senza permesso, venne arrestato e condannato a quindici giorni di detenzione per infrazione al decreto di espulsione. Noi avremmo voluto temporeggiare per attendere la liberazione del Padovani, ma le cose precipitavano. Il Fabbri, con un biglietto, mi mandò a chiamare d'urgenza, e mi disse che mi tenessi pronto per partire con lui per ragioni di lavoro. Ma una volta sul treno il Fabbri si decise a farmi una confessione completa egli si recava a Modane, per sorvegliare il passaggio dei due emissari della organizzazione segreta antifascista, perché lo Zucca, parlando la sera prima con Pavan e Padovani, aveva compreso, avendoli fatti abilmente cantare, che gli emissari si trovavano a Modane in attesa di passare in Italia. Dinanzi a questa dichiarazione non equivoca io esclamai: ma allora lei, signor Fabbri, à un agente di polizia del fascismo! Il Fabbri mi rispose: Caro Stokel, so benissimo che non é una funzione simpatica, ma lei, che é un ragazzo intelligente, capisce. Io ho famiglia, avevo un commercio e sono fallito. Faccio questo mestiere per mettere insieme un capitale e poi mi ritiro.
-E lo Zucca?
-Lo Zucca é partito anche lui per l'Italia. Mi manderà i suoi ordini a Modane. Anche lei, Stokel, potrà fare la sua fortuna se mi dà ascolto.
La mia opera diventava difficile. Io cercavo il più presto possibile di poter tornare a Parigi e comunicare al Pavan che ormai avevamo la prova desiderata. Cercai di profittare del viaggio e della permanenza a Modane per avere altre notizie circa l'organizzazione dello spionaggio fascista in Francia. Seppi così dal Fabbri che un impiegato delle poste di Modane era al servizio della polizia italiana. Seppi pure che tra gli agenti fascisti funzionanti a Parigi vi era anche il Savorelli. Quest'ultimo particolare mi stupì moltissimo perchè conoscevo il Savorellj come antjfascjsta. Dopo una permanenza di due giorni a Modane, il Fabbri mi annunziò che doveva partire subito per l'Italia, dato che, i due emissari non era stato possibile rintracciarli e Zucca si trovava nell'imbarazzo perché i suoi superiori lo accusavano di averr scroccato molti denari con la scusa dei due antifascisti da rintracciare, e adesso si sospettava, che si trattasse di una invenzione. Poco dopo un biglietto laconico del Fabbri mi comunicava che egli non poteva tornare e che perciò raggiungessi Parigi da solo. Appena tornato riferii tutto al Pavan e, allorché uscì di prigione, anche al Padovani. Ci accorgemmo allora che i due dovevano essersi accorti che noi li ingannavamo e pensammo che essi fossero rientrati in Italia proprio per mettersi in salvo. Decidemmo allora che se per caso avessimo potuto riallacciare il filo troncato avremmo immediatamente denunciata la cosa ai partiti antifascisti, visto che ormai potevamo basare la nostra denuncia su fatti positivi e non su semplici sospetti “.
Che lo Zucca e Tito Fabbri fossero agenti fascisti il Padovani, lo Stokel e il Pavan lo sapevano, con certezza, prima del viaggio a Modane. Tanto é vero che lo Stokel fingeva di fare la spia di Pavan e di Padovani; aveva offerto ai due agenti fascisti di farli entrare nel Comitato dell'organizzazione segreta (immaginaria) capitanata da Pavan perché procurassero denari. Padovani e Stokel mi dissero, a Bruxelles, che i due personaggi che dovevano partire per l'Italia erano del tutto immaginari, mentre un certo Mario Murador, con una sua lettera alla Libertà, in data 14 luglio comunica: “ E' perfettamente vero, che lo Stokel, il Pavan ed il Padovani immaginarono l'associazione terroristica: Lo Stokel fungeva da spia... all'insaputa del Padovani e del Pavan ; io ero al corrente della cosa perché confidatami dallo Stokel, mio amico, del quale non potrò mai tener per vero che egli sia stato una spia... Uno dei personaggi immaginari che dovevano partire per l'Italia a compiervi degli atti terroristici sono io... lo Stokel un di mi prevenne e tutti e due si andò alla rue Turbigo (cioé all'albergo dove abitavano lo Zucca e il Fabbri...) Il Fabbri mi osservò con occhio fascista, ed alcuni giorni dopo partì per Modane ad attendermi, da dove doveva seguirmi sino a Bardonecchia ed ivi consegnarmi alle autorità fasciste, mentre non io ma il mio corpo continuava a fare il manovale in una casa in costruzione a Parigi. Dirò di più: del denaro che lo Stokel ricavava nulla tratteneva. Lo si sprecava il giorno stesso e all'indomani si stringeva la cintola. Dirò ancora che i telegrammi che lo Stokel spediva al Fabbri in Italia venivano fabbricati in un qualsiasi caffé di Parigi e venivano segnati con il nome Ferri. (L'indirizzo, dello Zucca, in quei giorni, era: Maria Delmotto, via Francesco Sforza, 47, Milano).

Soffi nel fuoco e colpi mancini.
Il memoriale Padovani
Prima di procedere oltre, é interessante di conoscere qualche altro particolare intorno all'agente Zucca. In un suo memoriale, il Menapace così racconta come lo conobbe e lo avvicinò:
“ Lo Zucca lo conobbi al tempo della festa di Turati: Proprio in quel giorno, entrando al Ristorante Rovai, fui avvicinato da un tale che parlandomi in varesino e abbracciandomi calorosamente, diceva di avermi conosciuto a Varese e di essere stato amico di mio padre. Questo tale era Zucca, che non ricordavo affatto. Ma fu naturale che gli facessi buon viso e che accettassi di andare con lui ed il Fabbri, presente all'incontro, a prendere l'aperitivo. I discorsi caddero sulla politica ed io mi sfogai contro i vecchi uomini del fuoruscitismo. Zucca mi domandò se avevo visto una poesia contro la Concentrazione, ed alla mia risposta affermativa mi disse che gli autori erano lui, Fabbri, Pavan, Padovani, Puglionisi, e che l'avevano composta ad un tavolino del caffè Zenith. Mi disse anche, che, se volevo, poteva darmi articoli e poesie a chili. Ci lasciammo. La sera stessa incontrai Jacometti e Schettini, diretti alla festa di Turati, i quali mi invitarono ad unirmi a loro. Per strada raccontai loro il mio strano incontro. Durante la festa, incontrai il povero Bensi, il quale, appena vistomi, mi disse : “ Hai visto chi c'é qui? “ e aggiungeva “ Lo Zucca di Varese “. Gli raccontai il mio incontro, gli dissi che lo Zucca era a Parigi a vendere quadri ed egli mi disse: “ Zucca, fa la spia “.
L'autore della poesia satirica era il solo Padovani, ma lo Zucca cercò di spargere la voce alla quale accenna il Menapace, per creare diffidenze ed attriti. Un altro che avrebbe -secondo le voci tendenziose -collaborato alla poesia satirica era il Pastore, giornalista comunista. Tanto il Puglionisi quanto il Pastore dichiararono di non aver mai conosciuto né lo Zucca nè il Fabbri, e non si può mettere dubbio tale smentita.
Anche il Padovani, in un suo memoriale, parla di queste manovrette, e dice cose molto interessanti che dimostrano l'accordo fra Savorelli, lo Zucca e il Fabbri :
“ Il Savorelli, nonostante avesse altra volta mostrato rancore verso me e Pavan per avere noi approvata la sua espulsione dal Partito Repubblicano, cominciò a frequentare gli uffici del Corriere degli Italiani del quale noi eravamo redattori, appena scoppiarono alcune polemiche d'ordine teorico fra il Corriere e la Concentrazione. Da quel momento cominciarono ad avvenire intorno a noi episodi strani, sospetti, ma tutti curiosamente tendenti ad invelenire le polemiche e contemporaneamente a dar loro carattere personale. Ad un certo momento giunse al mio nome una lettera in cui un preteso antifascista ci informava di un fatto di natura delicata e riguardante la signora di un fuoruscito. Evidentemente l'autore sperava che la irritazione prodotta dalle polemiche fosse sufficiente a far pubblicare una turpitudine simile solo perché l'interessato era un concentrazionista. Inutile dire che il fatto era inventato: consegnai la lettera all'on. Sardelli e insieme ne riconoscemmo la provenienza fascista e scioccamente provocatoria. Ma l'autore della lettera volle vendicarsi del colpo fallito: e poco dopo due lettere anonime giunsero al giornale: una a Parigi e una a S. Etienne. Con tale lettera il solito anonimo affermava che io mi ero scoperto come agente fascista avendo fatto l'elogio, sul Corriere, dell'avv. Marvasi, fuoruscito e persona superiore ad ogni sospetto, perché... anche lui al servizio del fascismo. Inviai la lettera anonima in Svizzera, all'avv. Pacciardi, perché la consegnasse al Marvasi, per vedere se era possibile riconoscere la calligrafia, - la stessa della prima lettera. Ma dalle vaghe notizie che potevamo, fin da allora, avere dallo Stokel sapevamo che, forse era prudente diffidare del Savorelli. Un fatto, tuttavia, fece ingigantire i sospetti, un fatto che dimostra come egli, dalla sua opera, cercasse di ottenere due risultati: quello di invelenire le polemiche tra gli antifascisti, e quello di seminare la diffidenza e lo scompiglio nella nostra compagine. Cominciarono ad apparire, divulgate in moltissime copie, alcune circolari anonime, firmate « un gruppo di operai del fronte unico ». Tali circolari attaccavano gli, uomini della concentrazione, parlavano di tradimento, ecc. Il carattere provocatorio era evidente, ma la firma tentava di far nascere il sospetto che gli autori fossimo noi che facevamo appunto una campagna per il fronte unico antifascista. Nell'ambiente infuocato dalle polemiche le circolari fecero nascere accuse e controinsulti. Poco dopo agli stessi indirizzi venne inviata una mia poesia nella quale prendevo in giro alcuni dei capi della Concentrazione. Io e Pavan rimanemmo sbalorditi. Il colpo mancino era ben diretto, perché la poesia l'avevo compilata apertamente e tutti i frequentatori del giornale lo sapevano: vederla giungere agli stessi indirizzi ai quali erano giunte le circolari provocatorie significava mostrare che io ero l'anonimo provocatore. Con Pavan ci guardammo seriamente intorno e ci ricordammo che una copia della poesia (fatta soltanto in due copie) era scomparsa proprio mentre era in redazione, come sempre per una breve visita, il Savorelli. Esponemmo pubblicamente questi sospetti ed evidentemente il Savorelli lo seppe, ma non si presento a protestare. Soltanto... la sera dopo, essendo io in Francia clandestinamente, trovai alla porta del giornale due agenti che mi arrestarono " per infrazione al decreto di espulsione. Gli agenti avevano in tasca la mia carta di identità e la mia fotografia. Segno evidente che erano stati avvisati della mia permanenza in Francia “.
Queste manovre si intensificarono con le rivelazioni Beltrani-Menapace.

Savorelli e Bazzi ai ripari
Savorelli, conosciuta la denuncia presentata da Giannini alla polizia francese, tentò il controattacco. Il 17 dicembre 1927 indirizzò al Traverso e al Ghini questa lettera in doppia copia, contro Beltrani.e Menapace :
“ Da molto tempo sospettavo che Beltrani fosse in cattive mani. A Parigi, appena sortìi di prigione, seppi che aveva per amico certo Menapace, agente di Mussolini, il quale gli forniva i mezzi in abbondanza, tali da mantenerlo, finora, senza guadagnare un soldo. Io decisi di scoprire il Beltrani e, d'accordo con persona che per ora non nomino, mi recai costà ad offrire al Beltrani qualche centinaio di franchi per fare la spia contro i comunisti per conto di Bazzi, il quale, naturalmente, ignora tutto. Il Beltrani accettò l'incarico e duecento franchi e mandò un rapporto a carico dei dirigenti comunisti. Oggi, che ho la prova, mi faccio premura di dare a te l'incarico di volere avvertire gli amici comunisti e catalani perché si mettano in guardia contro questo tipo, il quale si vantava nel suo rapporto di entrare tra giorni nel partito comunista e di poter metterci al corrente di quanto avesse scoperto nel partito. Conto su di te per smascherare questo serpente, il quale é rimasto quale era a Ferrara quando era fascista.
Mi tengo a tua disposizione per comprovare quanto ho qui scritto. Parlane ai dirigenti comunisti e agli amici catalani. Saluti. Savorelli “.
Il 20 dicembre Savorelli scriveva al Ghini : “ Caro Ghini, ti unisco l'occorrente per venire a Parigi a trovare i tuoi. Per la frontiera saprai tu come poter fare. Noi qui, per ora, non abbiamo potuto ottener nulla. Se io fossi partito quando tu arriverai, ti lascerò una lettera dai tuoi ove troverai un indirizzo al quale tu corrisponderai come se fossi io in persona. Loro ti risponderanno e ti , faranno avere i tuoi compensi. Di questo, Nuvoli (altro tipo sospetto - N. d. A.) non deve saper nulla. In base alla lettera che ti ho scritto ieri su Beltrani, tu prima devi parlare anche con Igi (tipo equivoco nel quale l'on. Miglioli aveva fiducia, si da partecipargli i suoi dubbi sul Savorelli - N. d. A.) e dirgli di avvertire Miglioli di stare in guardia con Menapace perché é assodato che é una spia del fascismo messo alle costole di Miglioli per sapere cosa trama egli con i comunisti. Mi raccomando, parlane a Di Vittorio o a qualche altro di tua fiducia perché non abbiano a cadere in una trappola tipo quella catalana.Tu mi dici di venire a Parigi per risvegliare i dormienti ; io invece ti dico che , é meglio dormire che agire per farsi intrappolare. E poi tu dici che si sa tutto. Sfido io, quando i dirigenti di un movimento, come Miglioli, si lasciano avvicinare dalle spie delle ambasciate io mi domando cosa può restar segreto. In quanto a quel miserabile di Beltrani si vede proprio che non ha saputo spogliarsi da quella vigliaccheria che a Ferrara gli serviva per fare cadere in trappola i sovversivi del fascismo. Queste cose dille pure al tuoi amici (la sottolineatura é nel testo - N. d, A.)... anarchici e lascia loro fare quel che, vorranno contro questo vigliaccone, il quale si é valso della nostra stima per compiere azioni cattive contro gli antifascisti e tutto ciò per due soldi “.
In post-scriptum : “ Di a Padovani che la soppressione del Corriere é stata provocata da quei gesuiti del!a Concentrazione. Fornirò le prove all'occorrenza. L'amico bolognese (Serracchioli) si é ricordato della bimba e ti manda 25 franchi e 20 belga“
Ghini doveva parlare agli anarchici di Beltrani, perché , era voce generale, a Parigi, che fossero stati degli anarchici a prenderlo a revolverate, l'anno prima. Ghini doveva mettere Miglioli contro Menapace. Con questi compiti venne a Parigi e non diffidò né SavorelIi, né Serrarchioli, né altri, ma solo… Beltrani e Menapace. Eppure egli sapeva come stavano le cose. Tanto é vero che il 29 dicembre rilasciava ai comunisti una dichiarazione nella quale accusava il Savorelli, affermando che “ fin dal primo momento che il Savorelli mi dette questo incarico (fotografare i rifugiati a Bruxelles) dubitai che si trattasse di lavorare per un'organizzazione di fascisti e accettai l'incarico per cercare di sapere quali erano i veri fini di questa, organizzazione “. Egli accusava inoltre il Seracchioli e il Rigobello. E così, in una seconda dichiarazione in data 6 gennaio 1928.
Ai primi di gennaio vidi Ghini a Bruxelles. Egli non mi disse niente di preciso di Savorelli, che voleva far credere in Olanda, ad Amsterdam. Il 15 gennaio Dorio, amico del Savorelli, segnalava al Giannini la partenza di questi... verso il 7 gennaio, per l'Italia: “ Non sono venuto da te perché la vista dei documenti era ormai inutile e -non solo - altri elementi raccolti personalmente mi avevano ultra- convinto che l'uomo era perduto. Mi resta un dubbio che cerco di rischiarare. Ma di questo parleremo in seguito, anche perché in questo momento sono talmente demoralizzato ed avvilito che proprio non so più cosa dire e fare “l.
Speriamo che il Dorio si sia... ristabilito e dica quel che sa, già che egli dice anche quello che non sa : come il nome della persona che mi accompagnò nella visita al Serracchioli.


La tragedia di un'anima
Agli ultimi di febbraio o ai primi di marzo 1928, Pompeo Ghini, fratello di Silvio, con Nuvoli e con due amici miei si presentava a casa mia, per parIarmi. Il Ghini, che era stato non molto tempo prima a trovare suo fratello a Bruxelles, mi raccontò di aver sentito varie voci contro Silvio e di voler appurarne la fondatezza, per sapersi regolare. Uno degli amici aggiunse che Pompeo Ghini era un buon compagno e che meritava riguardo. Risposi a Pompeo che ero disposto a chiarire la situazione di suo fratello, per me equivoca ; ma che toccava a Silvio di chiarire. Stabilimmo un incontro, che avvenne nel pomeriggio del 13 marzo.
Silvio Ghini rispose evasivamente alle mie domande, e si limitò a consegnarmi un elenco di persone che, secondo lui, erano agenti fascisti: Serracchioli, Savorelli, Rigobello, Gianotti, Moscatelli B., Igi B., Rambaldi, Rachetti, Benni, Berti, Rizzoli. Garantì Traverso, espresse dei dubbi sul Menapace. E mi fece delle proposte: far rubare dei documenti a sua madre, cuoca del Serracchioli ; farmi entrare nell'appartamento del Serracchioli per una perquisizione, segnalandomi le ore in cui questi era fuori e fornendomi la chiave della porta d'entrata. Finsi di essere disposto. Poi si parlò della dichiarazione che egli -secondo un nostro informatore - aveva rilasciata al Serracchioli : dichiarazione secondo la quale egli aveva ricevuto da tre antifascisti 5.000 lire per recarsi in Italia a compiervi un attentato. Io non ero fra i tre denunciati, ma uno di questi, amico mio, mi aveva pregato di occuparmi della cosa. Silvio Ghini promise, per il giorno dopo, una dichiarazione annullante la denuncia, che negò recisamente di aver rilasciato. Proposi a lui, a suo fratello e al Nuvoli di recarci dal giornalista Borella o dall'ing. Finzi, sempre per via di questa faccenda. Silvio rifiutò.
Quello stesso giorno Silvio Ghini parlò col repubblicano A. Chiodini, al quale espresse il desiderio di parlare con l'on. Bergamo, per chiarire la propria posizione. Al Chiodini il Ghini mostrò l'indirizzo del Savorelli, segnato su di una scatola di sigarette, e si vantò di essere “ ben più informato di tutti i Giannini e di sorvegliare il Savorelli con maggiore oculatezza di tanti altri “. A me aveva detto lo stesso. Ma in effetti la posizione del Ghini nei riguardi del Savorelli era, come abbiamo visto, molto equivoca. La lettera di dimissioni dal Partito Repubblicano di Silvio Ghini, compilata. alla vigilia della sua partenza per l'Italia, era stata scritta da Savorelli. La lettera é battuta a macchina e la firma : Silvio Ghini é di pugno di Savorelli. E poi: perché i Ghini telefonarono a Serracchioli ? Evidentemente perché credevano che dicessi sul serio, quando parlavo di una perquisizione nel suo domicilio. Volevano preavvertirlo.
Per chiedergli informazioni sulla denuncia Ghini, il 13 marzo sera mi recai, con un amico, a casa dell'ing. Finzi, rue de Naples, 4. Non c'era. Allora andai da Serracchioli, che pensavo fosse a Parigi dato che Silvio Ghini gli aveva assicurato essere in Bretagna. Mi presentai come un omonimo dello Stokel, che il Serracchioli aveva tentato di assoldare a Bruxelles, dicendomi seccato, io alieno dalla politica ed impiegato di commercio, di sentirmi fare delle domande su spie, agenti provocatori, ecc. Dissi che mi era stato fatto il suo nome, che su La Libertà avevo visto il suo indirizzo, e che chiedevo da lui soltanto qualche informazione sullo Stokel di Bruxelles. Mi disse: “ Stokel é una spia. Passi fra qualche giorno da me e le darò le prove “. Si scagliò contro Beltrani : « se fosse qui lo prenderei a rivolverate », e contro Giannini : « lo prendeò' a calci nel sedere... » Gli domandai se conosceva Traverso: « l'ho visto a Bruxelles, era in un angolo. Stava sempre zitto ». Gli domandai se conosceva Silvio Ghini : povero ragazzo, l'avevano mandato alla morte. Sono stato io a salvare lui e la sua famiglia!
Il 14 marzo mattina mi incontrai di nuovo con i fratelli Ghini. Silvio non aveva preparata la promessa dichiarazione, e si giustificava dicendo che... in una riunione della Compagnia di azione - l'impresa garibaldinesca di Bazzi - l'avevano accusato di essersi mangiati cinquemila franchi. Risposi:
« Tra le persone denunciate ve n'é una che non fa parte di quella associazione ; io non posso entrare in questo affare, perché non ho mai avuto niente a che fare con la Compagnia di azione; la dichiarazione che ti chiedo include la tua difesa: non puoi aver mangiato soldi che non hai ricevuto ». Silvio Ghini tenne duro e Pompeo non parlava più di voler chiarire ». Mi irritai e, parlando a Pompeo, dissi, riferendomi a suo fratello : « Portalo in campagna che é meglio per lui ». Di Savorelli fu Silvio Ghini a parlare. dicendomi : « Si potrebbe utilizzare ». Al che risposi, riferendomi ad accenni di rappresaglia contro le spie che L'Italia del Popolo aveva pubblicato, che Savorelli era ormai finito, poiché tutti gli antifascisti che lo conoscevano lo ritenevano un agente provocatore e vi erano inoltre, a suo carico, dei documenti inoppugnabili.
Dopo poche ore Alvise Pavan uccideva Savorelli, ospite del Serracchioli.
Quando lessi sui giornali che si parlava di un manchot come presunto uccisore, pensai subito ad Alvise Pavan, come al Pavan avevo pensato nel dicembre 1927, quando l'amico incaricato di sorvegliare l'hotel di rue Turbigo dove alloggiavano lo Zucca e Tito Fabbri, mi aveva detto che aveva visto entrare ed uscire più volte un giovanotto senza un braccio. Al mio ritorno da Bruxelles, Pavan mi aveva pregato di fissargli un appuntamento. Ci trovammo in un caffè vicino alla Gare de l'Est. Mi raccontò la storia del trucco organizzato, insieme a Stokel e al Padovani, a carico degli agenti fascisti Zucca e Fabbri. Antonio Bonito, di ritorno da S. Etienne, mi aveva parlato delle voci su Pavan. Avevo sentito dì una scena piuttosto violenta fra lui e Alberto Giannini. Da parte sua Miglioli mi aveva raccontato una scena di disperazione del Pavan, esasperato dall'isolamento e dalle voci a suo carico, tanto più che il suo nome correva sulla stampa antifascista misto a riserve poco lusinghiere.
Pavan, che fu bandito da Treviso, che ebbe la casa devastata, che perse il braccio destro nell' eroica, disperata difesa del giornale repubblicano La Riscossa, era stato fino allora quasi un simbolo. Unico profugo mutilato, di quelli a Parigi, godette accoglienze cordiali, nelle quali c'era della deferenza. La, sua andata al discusso Corriere degli Italiani, periodo Borelli-Vidal-Padovani, l'aveva isolato. Ma nessuno osava ancora dubitare di lui. Poi a poco a poco la diffidenza sorse ed aumentò, piantandogli un chiodo nel cuore, già ulcerato dalle nostalgie dell'esilio.
Savorelli, si dice, stava per partire per l'Italia. Non era l'antifascista stanco, rassegnato. Era il traditore, era il Giuda. Era l'uomo che nel febbraio 1928, un mese prima, tramava, nel Belgio e a Parigi, complotti da denunciare. Pavan, la vera vittima, ha incarnato la Nemesi. Era fatale.



Le esche degli agenti di Mussolini

Lo spionaggio fascista agisce nelle direzioni e con le opportunità che gli sono suggerite dall'ambiente dei profughi. Poiché questi sono assillati, sopratutto, dal tormento dell’impostazione rivoluzionaria della lotta antifascista e dai problemi della vita personale, gli agenti del duce cercano di sfruttare, per la loro infame bisogna, questi due ordini di preoccupazioni.
Storia di un manifesto
Il 7 febbraio 1928 il Serracchioli, l'agente fascista Rigobello, Angelo Rambaldi, costruttore espulso dal Principato di Monaco per motivi comuni, Silvio Ghini e Savorelli si trovarono riuniti a colloquio al caffé de l'hotel du Boulevard (gare du Nord) a Bruxelles. Un colloquio particolare si svolse nella camera del Serracchioli (al N. 16), tra questi e il Ranbaldi. Risultato: consegna al Rambaldi di una certa somma, di mille o di cinquecento franchi, per raccogliere firme e adesioni di antifascisti ad un manifesto che era stato portato dal Serrachioli (1 - Il Traverso si fece credere l'autore del manifesto. Ma io,
conoscendo lo stile di Traverso, giurerei che è di un altro, più informato e più furbo.). Costui nel colloquio generale si era detto, ammiratore di Mussolini, ma non fascista; aveva lasciato intravvedere un Mussolini repubblicano ; aveva fatto il nome di Bazzi, vantando i milioni e le aderenze del “ nuovo movimento “.
Il manifesto non era, in sostanza, che una requisitoria contro i dirigenti dell'antifascismo e della Concentrazione.
“ Li credemmo virtuosi, forti, generosi, intelligenti; invece si manifestano oggi, ai nostri occhi, poveri di cuore e di spirito, pettegoli come serve, invidiosi come sensali, avari come mercanti, meschini sempre ed in tutto. Nell'esilio, quando la solidarietà avrebbe dovuto rinsaldarsi tra capi e gregari, quelli ci dissero che da loro non c'era più nulla da sperare, che ognuno si fosse arrangiato come poteva. Abbiamo imparato da Treves a conoscere Modiglioni, abbiamo imparato da Nenni a conoscere De Ambris, abbiamo imparato dai repubblicani, da Bergamo, da Pistocchi, ecc. a conoscere i magnapars del socialismo e viceversa, abbiamo imparato da molti compagni a conoscere l'antifascismo di Nitti, di Giannini, ecc. Quanta miseria morale ! Quanta bassezza di sentimenti! Modigliani che fa sapere che Labriola è un'anima in pena; Nenni che fa sapere che i repubblicani sono della gente povera di spirito, come se anche lui non avesse appartenuto per tanti anni al partito; Treves che fa sapere che Modigliani è un poseur invidioso di tutti; tutti costoro che affermano che De Ambris é un buffone, un avventuriero, un antifascista per calcolo, per mala fede ! “
In nome di che cosa, tutto questo ? In nome di un programma... rimandato, come un romanzo, al prossimo numero !
“ Quale movimento nuovo noi potremmo creare, diremo altra volta; per il momento, vogliamo consacrare nel nostro pensiero e nelle nostre coscienze che nel passato più nulla c'é da sperare, più nulla da attendere “.
L'8 febbraio il Rambaldi, sua moglie ed una bambina passavano all'hotel du Boulevard, dove si recava di frequente il Savorelli, che la moglie del Rambaldi assicurava di aver conosciuto a San Marino. Il Traverso cercò le firme per il manifesto (che il Rambaldi faceva credere opera del Traverso, il quale ne avrebbe pagato le spese) e cercò di ottenere la firma dell'anarchico Cantarelli, che la rifiutò. Riuscì invece, a carpire quella dell'anarchico Roncoloni. Per quattro giorni il Rambaldi non volle consegnare il manifesto, e ai firmatari che protestavano, avvertiti del trucco, rispondeva che il manifesto era in tipografia e non poteva più levar le firme. Ma, poi, messo con le spalle al muro, consegnava il manifesto a degli anarchici, i quali ne trasmisero una copia a me, copia che passai al Giannini.
Pubblicato il manifesto sulla Libertà,il Rambaldi lamentò la pubblicazione dicendo che, così, l'avrebbero messo in sospetto presso gli agenti fascisti. Nondimeno continuò ad avvicinare il Ghini, il Rigobello ed altri figuri, passando anche ad abitare all'hotel Parisien, abituale dimora del Ghini.
Riguardo al Rambaldi e al Traverso, che affermano di aver voluto giocare i fascisti (e tale intenzione risulterebbe per il Traverso da numerose lettere dirette ad un anarchico di Parigi, E. Fantozzi) Gigi Damiani, che seguì passo passo la loro azione in quei giorni, scrisse sul Risveglio di Ginevra che i due, pur sapendo l'origine del manifesto, cercarono firme; che il Rambaldi si confidò con lui soltanto quando le trattative con l'agente fascista erano inoltrate ; che i due non si curarono dei consigli di non impantanarsi e dettero informazioni di scarso interesse, reticenti e non tempestive. Il che mi risulta da altre testimonianze.
Il Serracchioli, il 22 febbraio 1928, scriveva alla direzione della Libertà: “ smentisco categoricamente di essere mai andato a Bruxelles ad offrire o dare denaro a chicchessia per muovere campagne contro persone o enti qualsiasi. Se le false accuse lanciate contro di me non saranno immediatamente ritirate per lo stesso tramite del suo giornale che se n'é fatto il portavoce, mi rivolgerò al Procuratore della Repubblica. per la tutela della mia onorabilità “.
La Libertà non ha smentito, e Serracchioli non l'ha querelata.
Offerte d'impiego
Nel memoriale Stokel abbiamo visto Serraccbioli ingaggiare il giovane repubblicano come porta-quadri. Lo stesso Serracchioli - a quanto affermò la signora Adele Vittorini - le offrì, avendola chiamata in casa sua come sarta, di fare dello spionaggio. Lo stesso Serracchioli ingaggiò il marito di questa signora, Nello Vittorini, quale rappresentante di macchine da caffé, con buon stipendio, e lo mandò a Bruxelles : dove ben presto - a quanto afferma lui - si accorse che quello della rappresentanza non era che un prétesto.
Ma l'ingaggiamento di spie arriva a servirsi, come il prossenitismo, degli avvisi di quarta pagina. Ecco un caso tipico, che racconta La France di Nizza (1 dicembre 1926).
Un italiano, certo G..., noto antifascista di Lione, lesse un giorno, in un giornale di Nizza, il seguente avviso: “ Si domanda giovane italiano, possibilmente ex-ufficiale dell'esercito italiano, per sorveglianza operai sud America. “G... scrisse all'indirizzo indicato, e ricevette la visita di un tale che si presentò come francese e rappresentante di una grande maison nizzarda. Costui, che parlava correttamente l'Italiano, Chiese a G... delle referenze, volle vedere il suo passaporto, e dato che questo era da operaio, richiese che fosse sostituito con uno commerciale, a fine di poter fare la spola tra la Francia e l'Italia. G... osservò, allora, che nell'avviso non si parlava di questo, e richiese schiarimenti, che lo sconosciuto si rifiutò di dare, pur ritornando alla carica per ottenere che G... si impegnasse. G... dopo qualche tempo lesse su di un giornale lionese questo annuncio: « Istituto privato di polizia romano ricerca giovane informatore pratico di tutti gli ambienti lionesi »). G... offrì i propri servigi, dando altre generalità ed altro indirizzo. E lo stesso individuo misterioso si presentò. Lo stesso gioco si ripeté, per altri annunci analoghi. Un giorno, G... parlava in una via di Lione con un suo amico antifascista, quando vide avanzarsi verso di lui, con la destra tesa, l’enigmatico personaggio. Allontanatosi costui, l'amico di G... gli disse del suo stupore di vederlo in rapporto con uno dei militanti fascisti di Lione, certo N. R., ex-impiegato al consolato di Lione, che si era licenziato perché non contento della paga. G... si lanciò all'inseguimento di quel figuro, lo raggiunse e tentò di condurlo ad un commissariato di polizia. Ma quegli reagì, a pugni, e si eclissò. Da allora non fu più visto a Lione. »

Uomini d'affari
Serracchioli, commerciante in generi alimentari e rappresentante di macchine da caffé ; Tito Fabbri, commerciante di quadri antichi e moderni ; l'ing. Finzi, uomo di affari; il poliziotto Monti, mercante di formaggi ; Lapolla, commerciante di cappelli. Vediamo un'altro caso, più complesso: quello del conte De Micheli.
Costui, nato nel 1879, a Milano, si stabilì ad Antibes, nel 1923, nel domaine dea Charmettes, (17 ettari) che acquistò.
La polizia francese lo sospettava per i rapporti avuti a " Parigi, con certa Elma Darbois (6 Il suo vero nome è : Maria-Caterina-Elma Fett. Divorziata da un certo Walcher Drober diventò la contessa Ubaldini della Parda), tedesca sospetta dal punto di vista della sicurezza nazionale e refoulée nel luglio 1924. Anche il De Micheli, che riceveva di frequente questa signora misteriosa nel proprio appartamento a Parigi (11, rue de Vazelay) , era sospetto, tanto che verso la fine del 1925 una personalità politica francese interessò il ministero degli Affari Esteri affinché ottenesse che la polizia non si occupasse più del conte. Ai primi di novembre 1926, il De Micheli, console del Panama a Cannes, commissario generale dell'Esposizione di Milano, partì per Parigi, e di là si recò a Madrid, all' Ambasciata italiana (4, 5, 6, 7 novembre), proprio nei giorni della scoperta del complotto catalano. E il 10 novembre era a Londra. Il 15 era ad Antibes. Di là parti par Berlino, Varsavia, Praga, Vienna, ritornando ad Antibes ai primi di dicembre. I motivi ufficiali dei viaggi? Ci sono. Dal 1919 il De Micheli é incaricato di missioni per conto di fiere e di esposizioni italiane all'estero. Quando nel novembre si recò in Ispagna, il quotidiano El Noticiero Universal di Barcellona (3 novembre) e El Sol di Madrid (9 novembre) parlarono della sua missione commerciale. Il De Micheli ha anche rappresentato la fiera di Bordeaux ai Congressi della Federazione delle fiere internazionali del 1925 e del 1926. Il De Micheli é un uomo di affari? Soltanto di affari? Il De Micheli si proclamò tale in due lettere a La France. Nella prima (n. del 17 novembre 1926) scrisse: « Appartengo al Fascio, e me ne onoro; e voi sapete quanto lo so io che tutti i fascisti all'estero, secondo ordini precisi e formali delle alte gerarchie, non debbono nè possono occuparsi di politica, sotto pena delle più severe sanzioni (?) ...mai le mie missioni, d'ordine puramente economico, sono in qualche modo entrate nel terreno politico, mai ». Nella seconda (n. del 20 novembre 1926) : « non ho mai avuto delle relazioni con il comandante Ricciotti Garibaldi : ho visto questo signore per la prima ed unica volta in vita mia a Bruxelles, nel settembre 1924, ad un congresso internazionale. Ho scambiato allora con lui una lettera di semplice cortesia, appena di ritorno a casa e c'est tout ». Il De Micheli non precisa ad arte, la natura di quel congresso. Quel congresso era un convegno massonico ? La France non lo dice, ma il signor Ubaldo Triaca ci informa (La France, 27 novembre 1926) che « Rjcciotti si era recato a Bruxelles! allo scopo di fare, in certi ambienti, una conferenza antifascista» e che una altissima personalità politica lo informò che " in quella occasione, Ricciotti » si era incontrato a Bruxelles, nell'hotel al quale era disceso (un giorno avanti la data annunciata da lui del suo arrivo), con l'attaché navale italiano Calderani, considerato come uno degli “agenti pagatori della propaganda fascista all'estero “. (Il congresso sarebbe avvenuto, secondo Triaca, al principio del 1925). Il De Micheli era delegato al Congresso? O aveva ,ma missione... commerciale ?
Il De Micheli, poi, mente, quando afferma di avere avuto rapporti superficiali con Ricciotti ; e in risposta a La France (n. del 15 novembre 1926) -la quale affermava categoricamente che nel 1925 Ricciotti dette una lettera di raccomandazione per il De Micheli a un certo Gino Collaretti, ex capitano degli alpini, lettera che « si chiudeva con una formula di cordiale amicizia » -egli doveva riconoscere (La France, 20 novembre 1926) che era possibile che qualcuno si fosse presentato a lui, raccomandato da Garibaldi. Le reticenze, le lacune, le contraddizioni dell'autodifesa del De Micheli rivelano chiaramente l'ambiguità della sua figura. Sotto le spoglie dell'uomo di affari si nasconde l'agente fascista. La France (15 novembre 1926) narrava che ad una personalità di Antibes che gli diceva ironicamente che egli doveva essere il migliore diplomatico di Mussolini, il De Micheli rispondeva: « Si, lavoro molto. E' perché miro ad uno scopo che mi é caro: quello di essere fatto senatore da Mussolini ».
Più che di un senatore il De Micheli ha la stoffa di un questore. Morale di questa storia: gli affari sono spesso il paravento della diplomazia segreta e dello spionaggio militare e politico del fascismo.
La spia Viola
Un esempio singolare, nella sua semplicità, delle piccole astuzie dello spionaggio fascista é offerto dal caso di quell'Ernesto Viola che un gruppo di antifascisti smascherò a Marsiglia nell'aprile del 1927.
Il Viola era riuscito a insinuarsi nell'ambiente dell'emigrazione approfittando della buona fede -certe volte veramente troppo cieca -di un amico antifascista. Egli si fece presto notare per le sue vociferazioni estremiste e per la generosità con la quale soccorreva i più bisognosi fra i suoi compagni d'esilio. Munito anche lui di una macchina fotografica egli prendeva istantanee a dritta e a manca raccogliendo a poco a poco i ritratti degli antifascisti più noti di Marsiglia.
I primi sospetti sul suo conto furono provocati dall'avventura toccata al repubblicano Primo Vongher il quale recatosi per pochi giorni in Italia munito del libretto di navigazione riuscì per un vero miracolo a sfuggire, nel viaggio di ritorno, al fermo intimatogli dal1a pubblica sicurezza di Ventimiglia. Egli era ricercato per i propositi di attività antifascista manifestati a Marsiglia in private conversazioni con degli amici; chi lo aveva tradito ?
Aggravatisi i sospetti sul conto del Viola, alcuni dei compagni ingannati da lui (Magliano, Tinacci, lo stesso Vongher, ecc.), gli domandarono improvvisamente, il 18 aprile 1927, di condurli nella sua camera e di far loro verificare la sua corrispondenza: ma il Viola si oppose recisamente e avvicinatosi con un pretesto qualunque a due gendarmi che stazionavano nelle vicinanze si gettò addirittura nelle loro braccia invocando aiuto e protezione!
Riconosciuto esplicitamente per un agente provocatore egli fu espulso, due giorni dopo, dalla Francia. Ora pare che si trovi a Genova.








Belgio e Svizzera


La C.I.T. agenzia spionistica
Fin dal novembre 1927, Bruxelles é diventato uno dei più importanti centri spionistici e provocatori. Il centro direttivo e pagatore é la Compagnia Italiana di Turismo.
Luciano Folli, il feroce pugnalatore di socialisti ed incendiario di Camere del lavoro in quel di Luino, fu impiegato alla C.I.T. e incaricato di missioni cekiste : una delle tante fu per Parigi, alla metà di giugno del 1928, e l'accompagnavano certo Ripamonti, spia, e lo Starace, segretario del Fascio di Bruxelles.
Altro spione al servizio della C. I. T. : certo Berti, ufficiale pagatore degli informatori, al quale é successo certo Moretti (rue de l'Hòpital, 47, piano secondo), in quotidiani rapporti con lo Starace, nella casa del quale (66, boulevard Emile Jacquemin, ultimo piano) si organizzano i complotti da … scoprire.
Impiegato alta C. 1. T. fu anche certo Giovanni Ripamonti, diffidato come spia dai socialisti, il quale confessava di essersi offerto di organizzare un complotto nel Belgio dietro compenso di 15 mila franchi, somma che era offerta dal Giuriati.
Direttore della C. I. T. è Starace, e intorno a quell'ufficio... aleggiano Giuriati, console generale, il barone Personé, sovvenzionatore di Aldo Gandolfi, agente provocatore e confidente della polizia belga, ed il marchese Rangoni.
Che la C. 1. T. non sia che la residenza di un ufficio spionistico, lo affermava pubblicamente, nel febbraIo 1928, certo Jules Hanhart, o sedicente tale, che, bruciato per scarso rendimento, dichiarava di aver percepito ogni sabato, alla C. I. T., 210 franchi e che analoga somma, per servizi, percepivano : Ramboldi, Mario Traverso, Silvio Ghini, Rigobello. Rigobello, giunto a Bruxelles in ottobre, é quel tale che mise Serracchioli a contatto con Stokel. Serracchioli, Savorelli, Finzi, Ghini erano i principali elementi di collegamento fra lo spionaggio fascista in Francia e quello nel Belg1o.

Rizzo a Bruxelles

Gli arresti numerosi e l'istruttoria inquisitoriale non valendo a scoprire l'autore o gli autori dell'attentato di Milano, la polizia era frenetica, e ogni funzionario agognava di aver per sé la preda, da offrire al Tribunale Speciale, in cambio di onori, di promozioni, di aumenti di paga, di gratificazioni. Alla frenesia dei segugi partecipava la genia degli spioni ed agenti provocatori all'estero, si che doveva avvenire che qualche innocente fosse accusato, e si montasse all'uopo qualche cinica macchinazione.
Già l'agente fascista Tito Fabbri, nel dicembre 1927, aveva carpito, promettendogli di fargli cassare una condanna per ricettazione e di fargli venire in Francia la famiglia, a un certo Abruzzetti, romano, una denuncia contro Mario Mariani, Giuseppe Pirrone ed altri, quali complici di Lucetti. E chissà quanti altri tentativi del genere furono orditi! A Bruxelles stessa era stata ordita, nel maggio 1928, una trama mirante a compromettere nell'attentato di Milano Arturo Labriola, Gigi Damiani e certo Aulisio, e, pare, il Salvi, della Direzione del Partito Socialista Massimalista. Ma la trama fu sventata.
Ne fu ordita una nuova, destinata a colpire Angelo Battini e Vinoenzo Angeletti, modesti operai, figure, politicamente, insignificanti. Il Battini, il giorno dell'attentato di Milano era stato arrestato a Spezia, per misure di pubblica sicurezza, Il giorno stesso venne liberato; ma qualche giorno dopo venne arrestato di nuovo, e questa volta con l'Angeletti. Dopo qualche tempo furono rilasciati. Comprendendo che la situazione si sarebbe sempre più fatta difficile, si imbarcarono clandestinamente e si recarono in Olanda, a Rotterdam, dove sbarcarono ai primi di luglio. Di là si recarono a Bruxelles, dove si presentarono dando le proprie generalità al servizio degli stranieri, che rilasciò loro un permesso di soggiorno. Si misero a lavorare. Quindici giorni dopo, 1'Angeletti, certo di trovare migliori condizioni di lavoro, si trasferì a Parigi, dove aveva già lavorato dal 1924 al 1926. Vi giunse il 15 luglio, il giorno stesso in cui giungeva a Bruxelles certo Nello Del Vecchio.
Sotto questo nome si nascondeva Giuseppe Anguissola, ex anarchico, condannato in contumacia dalla Corte, di assise di Piacenza a 25 anni di reclusione per aver ucciso il 10 agosto 1921 un certo Corcumi, passato ai Fasci, che utilizzava la conoscenza del1'ambiente sovversivo per guidare la polizia e i carabinieri nelle loro ricerche e le spedizioni punitive nelle loro rappresaglie. L' Anguissola fu espulso dalla Francia in seguito a condanne per furto e, dopo aver scontato tre anni di prigione per complicità nel ferimento di un poliziotto, si decise a stabilirsi a Bruxelles, dove fece conoscenza con Senofonte Cestari, a1tro ex anarchico. Il Cestari, nativo di Ferrara, era stato messo al bando dagli anarchici per 1e sue tendenze allo scrocco, ma riusciva ancora Ad avvicinare qualcuno, o ingenuo o di.. manica larga. Arrivato a Parigi nel 1925, fece amicizia col Rizzoli, tipo di avventuriero, e insieme a lui denunciò all' Ambasciata italiana, un preteso complotto antifascista che si stava tramando in Italia. Il Rizzoli provò (?) che la sua partecipazione alla denuncia aveva lo scopo di neutralizzare l'azione del Cestari, in base alle dichiarazioni del quale numerosi arresti vennero operati a Roma e in altre città italiane. Il Cestari ricomparve nel processo dei Catalani. Il Rizzoli, in udienza lo investì dandogli del "vigliacco", dell’ "impostore”, del “porco”, dell’ "agente di Mussolini” e Cestari lo accusò di aver tradito il movimento catalano. Pare che Ricciotti Garibaldi avesse dato 2.000 franchi al Cestari perché lanciasse questa accusa contro il Rizzoli. Pare anche che sia stato il Cestari a coadiuvare un certo Carpaneto in un furto in rue Rivoli, a Parigi: furto, compiuto nell'appartamento del Menapace, dei giornali clandestini antifascisti affidati all'on. Miglioli ,che doveva ordinarli per la mostra di Colonia. Pare, infine, che il Cestari abbia coadiuvato Rizzo nell'arresto di Sante Pollastro. Il che spiegherebbe molte cose: tra l'altro la tolleranza della polizia francese.
Il Del Vecchio ebbe contatti con il Battini e l'Angeletti ? Parrebbe che non. Ma é certo che i due spezzini raccontarono le loro peripezie a un certo Aldo Gandolfi, anch'egli spezzino, che, pur essendo condannato ed espulso per delitti comuni dal Belgio, era riuscito a rimanervi, per la protezione del barone Personné, fascista, ingegnere e direttore della C. I. T., centro dello spionaggio fascista a Bruxelles.
Il Cestari, verso il 14 luglio, s'era trasferito a Bruxelles, dove prese a frequentare il Rizzoli, il Gandolfi, il Traverso e il Beltrani, passando le serate nel dancing Odeon, al n. 88 di Avenue Fonsnv. Del Vecchio si rivolse a Cestari per ottenere un passaporto, ed ebbe da questi la promessa di un passaporto regolare, di denaro e della regolarizzazione della sua posizione giudiziaria in Italia, purché avesse dichiarato di aver udito il 5 giugno, al Caffé Vallino, boulevard de la Villette. 66, a Parigi, un certo Spartaco dirgli, indicandogli il Battini ." Quello è un dritto, è uno di quelli dell'affare di Milano! » Il Del Vecchio promise, e verso il 29 luglio arrivò da Milano un certo Umberto Cattaneo, emissario di Rizzo. che dette al Cestari 900 franchi, e gli fece reintegrare lo stipendio della C. I. T., la quale glie l'aveva sospeso. Il Cattaneo iniziò una inchiesta sul Damiani, e il Cestari rientrò in casa, per varie sere, scortato da due ispettori della polizia belga. In quei giorni la polizia bruxellese dava segni di grande attività a carico degli anarchici italiani, mentre lasciava, girare liberamente negli ambienti più sorvegliati il Gandolfi, espulso. .
Il 20 agosto arrivava a Bruxelles Rizzo in persona. Rizzo è il funzionario di polizia più adatto a cacciarsi in questi pasticci. Fu lui che si servi del truffatore Piatesi, promettendogli l'impunità ed un passaporto, per arrestare gli anarchici Perelli e Aggugini, rifugiati, dopo l'attentato del Diana, nei pressi di Ancona. Si servì, poi, di tale Febo Del Torchio, detenuto a San Vittore per spaccio di biglietti falsi, per accusare l'anarchico Ghezzi di aver partecipato al fatto del Diana. Si servì di Dino Rimoldi, truffatore, come spia e agente provocatore, giungendo ad assumerlo Come coadiutore in un interrogatorio dell'anarchico Pietropaolo. Andato in Germania alla caccia dell'anarchico Boldrini, si servì di un certo Carati, imputato di aver ucciso una guardia regia, per farlo arrestare. Il Rizzo aveva promessa l'impunità. al Carati, che si nascondeva sotto il nome di Barbato, e lo portò a Milano a testimoniare. Ma, in udienza, Aggugini svelò il trucco, e allora Rizzo fece arrestare il confidente.
Rizzo é un Mussolini della polizia. Poco si cura di esser nel vero. Egli mira ai grandi colpi. Vuole il successo. Per lo scoppio della bomba al Cova prese un granchio colossale. Lo stesso per lo scoppio delle bombe al Cavour. In quell'occasione Rizzo si accanì contro un cameriere di quell'albergo, un certo Rossi, basandosi sulle calunnie di una cameriera che voleva vendicarsi di pene amorose, e, dopo, contro un antiquario, certo Giorgetti, mentre gli autori di quell'attentato furono Mariani e Aggugini.
Nell'istruttoria del processo del Diana Rizzo interrogava, redigeva i verbali, cercando di incolpare più persone che gli fosse possibile. Questo con diabolica. abilità. Giustamente Carlo Molaschi, nella rivista. Pagine Libertarie, segnalava le capacità poliziesche del Rizzo dicendolo “ un nemico formidabile ", un “ poliziotto perfetto che conosce a fondo il suo mestiere, che non indietreggia dinanzi ad alcuna difficoltà e ad alcuna ribalderia”.
Rizzo é ricco di espedienti. A Milano esordì scoprendo una banda di borsaioli che operava nell'ambiente dei pederasti. Simulando la pederastia. Per arrestare Perelli e Aggugini si vestì da, miss. Si trasforma, truccandosi abilmente. E' bene sapere com’è : é sui 42-43 anni, statura media, corporatura solida, bruno, quasi completamente calvo. E' siciliano, ma
parla correttamente l'italiano. Abitualmente parla a bassa voce, con frequenti pause.
Ma riprendiamo il racconto. Il 3 agosto tra Rizzo, il Cattaneo e il Cestari viene combinato il piano definitivo. Nella stessa giornata Rizzo conferma a Del Vecchio che gli saranno concessi: il passaporto, l'annullamento dell'espulsione, il condono delle pendenze giudiziarie in Italia. I colloqui si svolsero all'hotel Montmartre, dove stava il Cattaneo. Il Rizzo alloggiava all'Ambasciata Italiana. Il Del Vecchio ebbe un primo acconto: 300 franchi. Il 4 agosto, il Rizzo, il Cattaneo, il Cestari e il Del Vecchio si trovarono riuniti al Palazzo di Giustizia. Del Vecchio ripeté il racconto ad un giudice, ma non volle firmare il verbale. Rizzo richiede all'ispettore belga presente che venga arrestato il Battini.
L'ispettore rifiuta, adducendo l'insufficienza delle prove e la mancanza, di una formale richiesta dell' Ambasciata. Rizzo promette le prove e la richiesta, e dà 500 franchi al Del Vecchio promettendogli 10 mila franchi, il passaporto e il condono, se firma. Il 5 agosto continuano le pressioni da parte del Cestari e del Cattaneo sul Del Vecchio perché firmi. Il 6 agosto, il Cattaneo richiede al Del Vecchio due fotografie firmate per il rinnovo del passaporto e gli dà 300 franchi, fissandogli un appuntamento al Palazzo di Giustizia per le ore 20. Il Del Vecchio si reca all'appuntamento, ripete la dichiarazione, ma non firma. Anzi protesta perché non ha avuto il passaporto promessogli in giornata. Nonostante che non abbia firmato Rizzo gli dà tre mila franchi e due mila li dà al Cestari, al quale offre di ricondurlo in Italia. Il 7 agosto, alle 2 del pomeriggio, il Del Vecchio arriva in ritardo all'appuntamento al Palazzo di Giustizia, per ritirare il passaporto, e non trova alcuno. Allora si reca all'hotel Montmartre, dove apprende dal Cestari che il Battini é stato arrestato.
Il Del Vecchio ottenne poi, per mezzo di un deputato socialista, una proroga, di 15 giorni alla espulsione e ne approfittò per mettersi a disposizione del giudice istruttore, per firmare una ritrattazione e per informare vari antifascisti delle macchinazioni fasciste. Il 20 agosto egli si trovava a Liegi con Cestari. Aveva appena lasciato il Cestari e l'amante di questi, che due uomini spararono contro il Cestari alcuni colpi di rivoltella, che lo ferirono leggermente al ventre e ad una gamba. Il Del Vecchio fu arrestato alla stazione di Liegi, in procinto per raggiungere il Belgio. A Bruxelles furono arrestati e tenuti in carcere alcuni mesi il pubblicista anarchico Gigi Damiani e l'anarchico Pericino. A Parigi fu arrestata, quale complice dei revolveratori del Cestari, l'anarchica Maria Simonetti che non fu estradata, dato il precedente della non estradizione, nel 1905, dell'uccisore del pope Gapon. Per la storia, il 14 agosto scoppiò al consolato di Liegi una bombetta, che fece pochi danni e punti morti, bombetta che pare fosse addomesticata.
Tanto il Battini che l'Angeletti, arrestato a Parigi quasi contemporaneamente al primo, non furono estradati e furono, anzi, rimessi in libertà. Ciò non toglie che il loro arresto, su denuncia verbale e comprata, rimanga un grave scandalo. Scandalosa, poi, fu la condotta della polizia belga, che lasciò circolare liberamente Aldo Gandolfi, espulso per furti, che al tavolo della terrazza di un caffé, a Lussemburgo, fu visto in compagnia di Rizzo e, di quel funzionario della polizia belga che arrestò Damiani.
Il premio di 100 mila lire promesso dal governo italiano a colui che avesse fatto arrestare uno degli autori dell'attentato di Milano, spiega le denuncie e il favoreggiamento delle varie polizie. Da notarsi é la larghezza di mezzi: basti il fatto che una spia partì da Bruxelles in areoplano per la Svjzzera.
Su questo imbroglio rimangono molti punti oscuri, come al solito. Uno, fra i tanti, é la ricerca, da parte dell'agente fascista Berti, di qualcuno che gli preparasse un mazzo assortito di chiavi false e di grimaldelli.

Lo spionaggio in Svizzera

L'arresto di Cesare Rossi a Campione ha dimostrato l'esistenza di una organizzazione spionistica e di polizia segreta fascista sul territorio svizzero. Lo stesso Regime Fascista ha messo in rilievo la “ minuziosa cura dei particolari “, affermando che “ il complotto era ordito da tempo a Parigi “. Il Corriere della Sera affermava, a sua volta, che la polizia italiana “ informatissima e vigilante conosceva gli svariati itinerari dell'attività turistico-sentimentale del fuoruscito “. La stampa svizzera é stata unanime nel riconoscere quel che lo stesso presidente Motta, filofascista, affermava nel suo prudentissimo discorso al Consiglio federale:
« Senza la convivenza di alcuni organi della polizia italiana, il colpo preparato contro il Rossi non sarebbe potuto riuscire. Le persone che hanno organizzato la sua cattura sul nostro territorio e la cui identità non può essere stabilita, erano, dovevano essere in stretti e continui rapporti con questi organi: questi ultimi erano stati prevenuti in anticipo e sono stati necessariamente implicati negli atti preparatori che sono stati compiuti sul nostro suolo e hanno operato in seguito l'arresto sul territorio italiano “.
I personaggi, nella “ beffa di Campione “, sono molti, e la messa in scena degna di una film a lungo metraggio. C'é una villa, a Bissone, del fascista Praderio, che ospita la signora Traversa, suocera di Filippelli e il signor Traversa, figlio di costei e cognato di Filippelli. C'é un'automobile, comprata apposta, una Fiat 503, contrattata da un certo Rivoli, individuo misterioso, e comprata da un certo Giuseppe Cristianj, altro individuo misterioso che si fece rilasciare il permesso di guidarla. Poi ci sono dei turisti non meno cinematografici : un certo dottor Massei e un certo pittore Pisani. Tutti costoro erano ospiti della Villa Praderio. F. Rossi ebbe il passaporto falso da Filippelli che gli aveva fissato un appuntamento. All'arresto, che avvenne nei pressi del Santuario della Madonna dei Ghirli, in territorio italiano, dove Rossi e la sua amica erano stati portati nell'automobile in compagnia dei... turisti occasionali loro amici, c'era pronta la prigione: “ un locale precedentemente disposto dalla polizia italiana che aveva da tempo - é il Corriere della Sera che racconta - affittato un modesto appartamento in una casetta del paese “. Villa, automobile, chauffeur, turisti, il buon amico, ecc. tutto era pronto, da tempo, con cure meticolose. E la film fu girata, davanti alle autorità svizzere. Tre carabinieri di Porto Ceresio e tre di Porlezza. sono andati a Campione (senza il permesso speciale del Dipartimento politico di Berna e senza servirsi dei battelli della navigazione pubblica, come vuole la convenzione italo-svizzera) di notte tempo, con motoscafi, a prelevare il Rossi. I posti di finanza svizzeri di Marcate e di Caprino non sono intervenuti. La colpa fu di Morfeo o di Mercurio?
Il governo svizzero non é andato in fondo alla cosa, e La Squilla Italica, giornale italiano fascista della Svizzera, s'é sfogata contro gli svizzeri provocatori ammonendoli : “ l'Italia é una grande potenza e ha anche i mezzi per farsi rispettare “. In compenso il governo svizzero, premuto dall'opposizione socialista, ha messo la mano su alcuni spioni fascisti, estradando un certo Santorre Vezzari e un certo Angelo Vernizzi, che si occupavano di spionaggio a carico di svizzeri e di stranieri e ricevevano istruzioni dalla polizia italiana, come risulta dall'inchiesta della polizia ticinese. Motta ha assolto il governo italiano per insufficienza di prove: “ non é stabilito se gli organi diplomatici e consolari del Regno d'Italia abbiano spiegato una attività contraria al diritto internazionale “.
E' da notare che il Vezzari figurava come agente di pubblicità del giornale fascista Squilla Italica, ma era, in realtà, agente di polizia al servizio della Legazione italiana a Berna, e che il Vernizzi, figurante come portinaio della fabbrica di tabacchi del governo italiano a Melide, é un altro poliziotto. Lo stesso comunicato ufficiale svizzero lo riconosce. Il Vezzari girava molto nel Ticino, dove aveva relazioni con tutti i capi fascisti. Frequentava assiduamente il vice console (Saladino) di Bellinzona. Aveva. vari informatori ticinesi e italiani, e quando fu arrestato stava per partire per Milano, chiamato a rapporto, dal commissario Massei della questura di quella città.
Un altro capo di spioni é un certo l\Iartinelli, o Soncelli, domiciliato a Sondrio, che aveva alle proprie dipendenze il Vernizzi, Ernesto e Vincenzo De Vito, negozianti in Lugano, Walter Turba, giornalaio ticinese, i quali poi passarono al gruppo Vezzari, unendosi, tra gli altri, a certo Lelio Luzzi. Il terzo gruppo spionistico era capitanato dal dottor Signori, vice console addetto alla Legazione di Berna per il servizio passaporti, coadiuvato da un certo Colombi, giornalista ticinese «irredentista», la cui figlia é maritata al segretario dei Fasci all'estero. Questo gruppo sorvegliava specialmente il locarnese, dove aveva come agente stipendiato un certo Vittorio Jelmini.
Un altro capo banda pare sia un certo Marzorati. Sono stati fatti altri nomi sospetti: l'avv. Pedroni, il possidente Henderling, l'albergatore Ottaviani. E pare che il questore di Novara cav. Marra e il commissario di P. S. di Domodossola avessero le mani in pasta. Certo si é che l'attività degli spioni era intensa. La Libera Stampa di Lugano ha pubblicato lunghe liste di persone sorvegliate dagli spioni fascisti, e sono cominciate le confessioni.
A dare un'idea del lavoro di questi spioni, credo utile riprodurre dal giornale anarchico di Ginevra Il Risveglio (1928. N. 754), un interessante documento. Un certo Daelli, ex anarchico, piovuto alla Camera del Lavoro di Lugano pochi giorni dopo l'attentato di Milano (12 aprile, 1928), dichiarò aver valicato la frontiera clandestinamente e presentò un biglietto di certa Ida Latini, evasa - a quanto vi stava scritto - dal carcere. Questa Latini, dopo essere stata vari anni fra gli anarchici individualisti, seminando discordie e dando scandalo con le sue bizzarrie eI la sua ninfomania, passò al fascismo, ostentando per le vie di Milano la camicia nera e assumendo, da virago isterica qual'é, pose squadriste. Suo figlio, Diavolindo, seguì, dopo aver fatto parlare di sè le cronache con la stupida uccisione di un militare, l'...evoluzione materna, diventando uno squadrista accanito. Tra il '26 e il '27 egli capitò a Parigi con una storia pietosa: la madre voleva fuggire dall'Italia, correndo pericolo come antifascista. Bisognava indicargli il modo di farla venire in Francia clandestinamente. Misi in guardia coloro che me ne parlarono, e il Latini se la squagliò.
Il Daelli riprese la storia della Latini, mandando a L. Bertoni una lettera che figurava essere scritta. dall'anarchico Ugo Pierantoni di Milano il quale, invece, si trovava in prigione. In questa lettera, dopo aver dato notizie della Latini, fuggita dal confino e prossima a passare in Svizzera, il... Pierantoni continuava cosi :
“Mettiti in corrispondenza col comm. Pietro Nicolosi di Milano -via Panzacchi N. 2. -che è lui che dispone fondi, e in questi giorni alle famiglie dei nostri compagni confinati ha mandato notevoli somme.
Comunica a De Ambris e alla redazione della Libertà di mettersi in corrispondenza con Nicolosi che desidera. sostenerli in tutto. Manda al comm. Nicolosi alcune liste di sottoscrizione per il giornale, i fondi vengono spediti a mezzo della Banca Agricola Italiana, via Giuseppe Verdi 3. Milano.
Manda delle liste anche al Sig. Zavanella che è un nostro compagno vice direttore di questa banca, pure in via G.-Verdi, 3.
Il compagno Ricciotti da più di due mesi è al Cellulare, cosi la compagna Nella Giocomelli e i figli di Ettore Molinari “Epifane “.
La corrispondenza al comm. Nicolosi sia mandata a questo indirizzo: Banca Agricola Italiana, Sig. Zavanella per Nicolosi, via G.-Verdi, 3, Milano. Mentre i compagni che personalmente hanno bisogno mandali al suo indirizzo, via Panzacchi 2.
Le lettere che Nicolosi e Zavanella mandano all'estero portano la franchigia della Banca, quindi non vengono aperte. “
Chi siano questi Nicolosi e Zavanella, se complici o vittime predestinate, non si sa. Questa lettera, stupida in quanto rivolta a chi poteva coglierne subito, per le numerose inesattezze che contiene, la falsità, dà idea di quali esche si servano gli agenti fascisti; esche che possono, in casi di ingenuità, diventare pericolosissime.




I capisaldi dello spionaggio
I consolati
Ecco un episodio caratteristico della funzione dei consolati fascisti all'estero, rivelato dalla Libertà di Parigi. Un giovane veneto che lavora nel Var desidera far venire la famiglia dall'Italia. Va al consolato di Tolone più volte. Non ottiene nulla. Ma ecco che un misterioso signore, che era un giorno nell'ufficio di segreteria del consolato, lo avvicina, e gli promette la venuta della famiglia, il passaporto e un po' di soldi, purché fornisca notizie agli uffici di spionaggio. Come paravento: rappresentanza di una ditta di Nizza. Ad un successivo appuntamento arrivano il signore di Tolone e il “principale” di Nizza. Dopo il colloquio, il giovane (senza avere accettato, pare, le condizioni offertegli) riceve il passaporto, per posta, ed un invito ad un nuovo colloquio, in Italia.
Episodi di questo genere devono essere piuttosto numerosi, ma ben pochi vengono a conoscenza del pubblico. Quello che é accertato é il fatto che le spie, gli ingaggiatori di informatori e gli agenti provocatori hanno continui rapporti con i consolati. Il Rigobello, ad esempio, frequentava il consolato di Bruxelles.
Ecco alcuni fatti, raccolti qua e là dalle cronache dell'emigrazione.
Il poliziotto italiano Monti, operante nel 1926 sulla Costa Azzurra e specialmente a Saint-Raphael, a Antibes e a Monaco, si recò un giorno nei dintorni di Agay e si presentò agli operai italiani di una cava di pietre in veste di poliziotto francese, chiedendo che gli mostrassero i loro passaporti. (La France, 18 novembre 1926). Lo stesso poliziotto si era presentato al Commissariato di Nizza, accompagnato dal signor Biondo, direttore del Biondographic, a richiedere una lista degli italiani di Antibes. Questo avvenne poco dopo l'attentato Lucetti. Il signor Biondo ottenne la carta d'identità francese dalla polizia di Antibes e il passaporto italiano dal Consolato di Cannes per certo Antenore Coppi, che fu poi arrestato a Tolone essendo oggetto di un mandato di cattura del giudice istruttore di Reggio Emilia, in data 28 agosto 1924. (La France, 16 novembre 1926).
Questo signor Biondo così influente, questo poliziotto Monti che può liberamente spacciarsi per uno della polizia francese, sono cose della Costa Azzurra, dove il governo italiano ha creata una rete di spionaggio veramente coloss sale.
A Nizza era addetto al Consolato il conte Spezia, già funzionario di P. S. a Roma ed ora tornato tale. A lui è succeduto lo Spinoso, vice-questore, ex-commissario speciale aggiunto a Ventimiglia e a Bordighera, e ancora, amministrativamente, vice-questore di San Remo. A Marsiglia uno dei vice-consoli era un certo comm. Buzzi, anche lui funzionario di polizia, a cui facevano capo i numerosi informatori e agenti provocatori che il governo del duce mantiene da lungo tempo in seno agli elementi antifascisti.
Il fatto che i consolati italiani in Francia siano affidati a funzionari di polizia, dice molto. Ed é da notare che i vice-consoli poliziotti sono in queste città: Lione, Marsiglia, Tolone, Tolosa (il console Di Clementi é un questore), Nizza. La “Lega Francese dei Diritti dell'Uomo”, in data 27 luglio 1928, mandava una lettera al Ministero degli Affari Esteri nella quale precisava il ruolo dei consoli e vice.consoli italiani:
“ Il governo italiano non può pretendere di far credere che si tratta di funzionari che abbandonano un'amministrazione per abbracciare la carriera consolare, poiché - amministrativamente -essi gravano sempre sui quadri del Ministero degli Interni e, quando ritornano nel loro paese, essi riprendono le loro funzioni di Commissari Speciali.
Essi svolgono nei consolati delle missioni assolutamente speciali, che non hanno nulla di comune con quelle affidate, abitualmente, ai vice-consoli ; non é ancora spento il ricordo della parte avuta a Nizza dal conte Spezia nell'affare Garibaldi. Allo scopo di non essere smascherati, qualcuno di essi non occupa nemmeno la direzione di un posto consolare. Il governo italiano sa benissimo che la vera qualità di questi funzionari sarebbe scopelta al momento della domanda di exequatur, ciò che provocherebbe un rifiuto da parte del governo francese. La qualità di vice-console dispensa, infatti, dalla formalità dell'exequatur.
Agenti di informazioni speciali, agenti dello spionaggio, essi hanno sotto i loro ordini degli arruffoni che lavorano in tutti gli ambienti “.
Questa attività eccezionale dei Consolati italiani diventa sempre più sfacciata. L'ambasciatore italiano a Parigi chiede a Lodi-Fé, console generale a Nizza, informazioni su l'(Euvre des blessés de guerre di Grasse; e quegli le chiede a sua volta al sindaco di Grasse suscitando un putiferio. Le Progrès Républicain di Grasse scrive: « Come mai gli agenti consolari d'Italia che sono incaricati di occuparsi degli interessi dei loro connazionali possono pensare d'avere il diritto di occuparsi delle associazioni francesi ? Per avere un simile stato di spirito e occuparsi così dei nostri affari, quali sono dunque le istruzioni che essi ricevono da Roma? “.
Lo stesso giornale rileva questo fatto significativo, : “ Ad


Segue un allegato:
“ Trasmessa dalla Segreteria generale Fasci Italiani all'Estero con preghiera di cortese sollecita risposta. "
Su una parte dello stesso foglio si legge la risposta dei carabinieri di Castagneto.
“ Comando della Stazione Carabinieri Reali di Castagneto Carducci -N.1895 di protocollo.
Si restituisce la presente all'ufficio mittente comunicando che il controscritto Frati Terziglio di Giovanni per il tempo che ha dimorato in questo Comune ha tenuto buona condotta in genere senza pendenze nè precedenti penali o politici. Però il medesimo emigrò da qui nel 1919 e quindi ignorasi la sua attività o sentimenti di questo periodo. Castagneto li 25/10/ 1928.
Il Brigadiere a piedi Comandante di Stazione. Migliari Roberto”.
Da questi documenti, di carattere tutt'altro che straordinario, risulta confermato che la sede del Consolato é spesso la sede del fascio e che in ogni caso le riunioni dei fascisti avvengono spesso.al Consolato ; risulta inoltre che la polizia e l'organizzazione politica del partito fascista, aventi , fini di persecuzione contro gl'italiani non fascisti, si servono per la loro opera di organismi, come i Consolati, i quali godono di numerosi e speciali privilegi diplomatici : riservati alla rappresentanza non di un partito o di una fazione ma di tutto un popolo.
In Svizzera é la stessa musica. La Legazione di Berna, i consolati di Lugano, Bellinzona e Locarno si occupano, attivamente del servizio di spionaggio. Con i fermi e gli arresti eseguiti, la polizia cantonale ha sequestrato lettere di consoli e di addetti alla Legazione italiana di Berna, molte fotografie e perfino delle pellicole.


Figure consolari
L'agente consolare fascista di Saint-Raphael, marchese Di Muro, il quale, nel settembre del 1928, fu oggetto di un attentato, é il tipo classico del … proconsole, Ecco come lo descrive la lettera di un operaio pubblicata dalla Libertà, che afferma averne ricevute molte altre sullo stesso tono: “In quanto al vice-console di Saint-Raphael, nessuno può dirne bene. Un italiano residente in questo paese, il quale desiderava avere presso di sè la madre in occasione del parto della moglie, dopo aver fatto forti spese e dopo aver sprecato molto tempo, si è visto negare l'autorizzazione di chiamata. Inviata una lettera di protesta al Ministero dell'Emigrazione (?), ha avuto come risposta l'invito a inviare la moglie a partorire in Italia, nelle case apposite. Vi sono poi un'infinità di questi casi. Oggi ne conosco un'altro. Padre e figlio debbono andare in Italia per interessi urgenti. Il Console, dopo aver promesso un passaporto normale e dopo aver incassato le tasse relative, rilascia invece un semplice passaporto valido per un mese. I due partono e restano in Italia qualche giorno più del termine fissato; presentatisi alla frontiera di Ventimiglia, i poliziotti fascisti osservano che il passaporto è scaduto e che occorre inviarlo a Saint-Raphael per il rinnovo. Spedizione urgente del passaporto alla moglie di uno dei rimpatriati, la quale si reca dal Console Di Muro e ne ottiene la seguente risposta: Sono voluti andare in Italia. Ora ci restino. Di conseguenza niente rinnovazione del passaporto”.
Il Di Muro era un inseparabile amicone del capitano Vagliasindi, espulso dalla Francia all'inizio del 1927, per spionaggio fascista-militare.
La Libcrtà completa il ritratto, richiamando questo episodio :
“ Circa due anni fa, a Draguignan (Var) doveva aver luogo una conferenza di Luigi Campolongbi per conto della Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo. La riunione -annunciata sul giornale- ebbe infatti luogo e riuscì nel modo migliore.
A un certo punto, però, si sparse la voce che, durante la conferenza, un individuo sconosciuto aveva fatto il giro del paese e si era recato in molte case di italiani per chiedere dei capi-famiglia e per accertarsi se essi si erano recati o no alla conferenza antifascista. E' facile immaginare lo spavento delle donne, che non conoscevano l'individuo e lo avevano forse preso per un agente di polizia, e lo sdegno degli uomini, i quali -venuti presto a conoscenza della cosa - si misero subito alla ricerca del misterioso personaggio. Soltanto le raccomandazioni dei nostri dirigenti poterono impedire che allo sciagurato venisse inflitta una lezione non certo immeritata. Il tipo venne rintracciato verso sera e subito trascinato al Commissariato di polizia francese di Draguignan. Interrogato e perquisito. L'individuo dimostrò di essere... il marchese Di Muro agente consolare fascista a Saint-Raphael ! Lo spione mussoliniano era stato preso con le mani nel sacco. Egli fu quindi invitato ad andarsene e infatti ripartì subito per Saint-Raphael, col fermo proposito di non farsi mai più vedere a Draguignan. “ L'attentato di Buenos-Aires, se fu opera di antifascisti, fu provocato dalla provocantissima figura del Console on. Capanni, uno dei più bestiali Ras della Toscana.. Un uomo che ha capitanato le squadre che distrussero la Società Corale, la Casa del Popolo e quante altre istituzioni proletarie esistevano a San Giovanni Valdarno ; che ha ordinato la distruzione della Cooperativa minatori di Castel-nuovo dei Sabbioni ; che ha capitanato le squadre che a San Giovani uccisero il capo-stazione Salvagni, a San Donato l'operaio Sottani e a Foiano della Chiana fucilarono sommariamente numerose persone e fecero scempio di donne e di bambini, dando alle fiamme, poi, l'intero paese ; quest'uomo non può non provocare attentati.

Spionaggio militare politico


Nessuna rivelazione. Soltanto il richiamo di alcuni fatti dimostranti come lo spionaggio fascista a carico degli antifascisti non sia che il cavallo di Troia dello spionaggio militare. A non capire questo sono non pochi antifascisti. Il caso di ex-spioni militari tollerati nel campo nostro é scandaloso. Gino Andrei, socio della Lega dei Diritti dell'Uomo e già esponente del Volontismo, ha goduto di una tolleranza più che inopportuna, benché il socialista Avvenire del Lavoratore di Zurigo e vari giornali antifascisti di Parigi (La Diana, L'lniziativa, ecc.), avessero ripetutamente ricordato i suoi precedenti giudiziari, come agente degli Imperi Centrali e dell'Italia in tempi successivi o simultaneamente. Livio Bini, implicato nel furto del Consolato tedesco di Zurigo e figura ambigua, ha potuto anch' egli intrudersi nell'ambiente antifascista.
L'ex deputato francese Vidal che - presiedette la Società Editrice del Corriere degli Italiani e passò poi a fare gli interessi della politica estera dI Mussolini sul Journal, é un tipico caso dei... misteri di Parigi. Quando questi misteri saranno svelati si capirà l'impunità l'intangibilità di certi personaggi. Ma non é possibile, per ora, penetrare nel , mondo della diplomazia segreta e dell'alto spionaggio militare Le visite di Ricciotti Garibaldi alla vedova di Bolopascià, nell'immediato dopo guerra, a Monaco; i rapporti tra l'ing. Finzi e lo spionaggio militare inglese... quanti punti interrogativi ! Quel Caputo che a Berlino si vantava di essere stato al servizio della Germania durante l'occupazione francese della Ruhr e a Parigi diceva di aver servito in realtà la Francia, ha preso soldi, attraverso la moglie russa, dalla Russia, ed é stato ai servizi della polizia tedesca e di quella portoghese. Fatto arrestare dai circoli fascisti di Roma, Torino e Milano, fu fatto sempre liberare dal Ministero degli Interni. Ha prestato servizi al governo francese o ha fatto finta di prestarli ? Mistero! Quel Giovanni Liguori, che fu redattore dell' Avanti! e collaboratore di giornali borghesi di Napoli, corrispondente della “ Stefani “ da Monaco, direttore di un “ Servizio d'Informazioni Segrete “, che ha corrieri che fanno la spola fra Monaco, Insbruck, Bolzano, Milano e Roma, e fra Monaco, Amburgo e Berlino, fa soltanto la spia e l'agente provocatore fra gli adepti dell'Andreas Hofer Bund e tra i socialisti tedeschi, o non é, piuttosto, un agente diplomatico segreto del governo italiano presso i circoli monarchici bavaresi? Dalmo Carnevali che fu al servizio della Divisione Terroristica del Comando Supremo Germanico e fu espulso per questo dalla Svizzera e condannato in contumacia dal Tribunale di guerra italiano, ha potuto, collaborando al Vorwaerts e alla Munchener Post e in altri giornali socialisti, penetrare nella Milizia repubblicana della Germania e nel movimento irredentista tirolese ; poi esibendo lettere di Nitti, di Matteotti, di Modiglioni, di Morgari, si é fatto accreditare nei centri antifascisti italiani; ora egli é semplicemente una spia dell'antifascismo ? E' poco credibile. E' probabilissimo che egli sia un altro agente della diplomazia segreta e uno spione militare.
Un caso recente rivela come lo spionaggio politico e quello militare si compenetrino. Luigi Nacazzani, dimorante a Lione, é stato arrestato dalla polizia francese per spionaggio militare. Durante la guerra era brigadiere dei carabinieri alla base di Lione, distaccato al municipio del sesto circondario. Smobilitato, entrò come impiegato al Consolato: servizio passaporti. Sua sorella aveva sposato un certo Vannelli, anch'egli arrestato per spionaggio militare e già, durante la guerra, ordinanza di un colonnello a Tolone.
Altro spione militare, arrestato a Parigi, é certo Clemente Rossetti, détective privato a Lione. Questo Rossetti frequentava, di quando in quando, gli ambienti antifascisti, spacciandosi per commerciante e offrendo soldi e servigio. Qualcuno gli dette incarichi, che eseguì regolarmente fino a che poté fare un colpo grosso: far arrestare degli antifascisti in Italia. Pare che fosse anche a servizio della polizia francese.
A Nizza, sempre nell'ottobre 1928, é stato arrestato certo Luigi Gandini, pseudo architetto, pseudo commerciante, pseudo antifascista e spione militare. A Marsiglia é stato arrestato un certo Ugo Montefiore, anch'egli spione militare.
Pare che la polizia francese sia decisa a sbarazzarsi degli spioni militari. Ma per far questo non potrà tollerare gli spioni fascisti. E si troverà di fronte a grandi difficoltà.
Quel signor Biondo, direttore del Biondographic di Nizza. Amico del poliziotto Monti, poteva fare liberamente il fotografo-reporter a l'Aéreonavale, al centro d'aviazione di Saint-Raphael nell'interno delle corazzate francesi ancorate nella rada di Golfo Juan, mentre un francese non avrebbe certo tale libertà in Italia. Si vede che le autorità francesi si fidavano del signor Biondo, e anche del poliziotto Monti, il quale riceveva numerosa posta alla Poste Restante e numerose donne misteriose a casa sua, a Saint-Raphael, non lontana, guarda combinazione, dal centro di aviazione. Ma il poliziotto Monti si diceva negoziante in formaggi. Ora se essendo commercianti veri si può essere membri del direttorio del fascio di Nizza e venir nominati cavalieri della Legione d'onore (1 - Come i signori Debernardi e Leospo. Vedi su La France del 18 novembre 1926 una lettera di protesta di un cavaliere di quell'ordine), essendo commercianti fittizi non é difficile fare dello spionaggio fascista, politico o militare, o tutte e due insieme.
Sulla costa Azzurra lo spionaggio politico dovrebbe preoccupare il governo francese più che in ogni altro luogo. Nel 1926 la stampa francese rivelò vari casi tipici. Nel settembre di quell'anno due ufficiali italiani: N... capitano d'artiglieria e G... sottotenente di fanteria, pedinati da Barcelonnette, furono arrestati a Nizza. Furono loro rinvenuti addosso dei documenti compromettenti, ma poterono andare al loro albergo e distruggere, o far sparire, i documenti. Furono rinviati alla frontiera italiana, con una semplice ammonizione. Negli stessi giorni, un ufficiale del genio italiano, certo B..., fu trovato alla frontiera portatore di documenti provanti che aveva compiuto una missione speciale. Anch'egli fu semplicemente ammonito. (Vedi La France, 21 novembre 1926). Nel novembre di quell'anno altri ufficiali italiani in borghese venivano sorpresi a studiare il territorio francese e rimandati semplicemente alla frontiera (Vedi L'Information, 19 novembre 1926). E si che a Ventimiglia qualche funzionario francese deve aver sentito cantare dalle bande fasciste il ritornello:
E noi andremo a Nizza
Ci pianterem la giostra
Diremo a Poincaré
Che siamo in casa nostra!
Conclusione: se il governo francese vuole combattere lo spionaggio fascista militare, bisogna che si decida a combattere quello politico, anche se protetto dalle... Argonne. Fino a ora Mussolini non si può lamentare. Il governo francese si é dimostrato pieno di condiscendenza!

La polizia segreta fascista

Lo Stato Operaio ha fornito recentemente delle informazioni interessanti intorno all'organizzazione della polizia segreta fascista. Val la pena di riportarle avvertendo che quel che avviene per i comunisti avviene, naturalmente, per tutti gli antifascisti. “ L'azione poliziesca contro i comunisti italiani é diretta da un ufficio centralizzato e autonomo, Questo ufficio é strettamente legato alla Direzione generale della P. S. in Roma, ma ha, un proprio apparato e propri agenti. Questo ufficio e questa organizzazione particolari si servono anche dell'opera della polizia ufficiale. Si tratta, insomma, della cosiddetta “polizia fascista”, istituita regolarmente dopo il novembre 1926 e che é divisa giurisdizionalmente secondo le giurisdizioni dei comandi di Legione della M. V. S. N., i quali sono organi di polizia autonomi.
La «polizia fascista» dispone di un bilancio particolare notevole: i suoi agenti sono in Italia e all'estero e formano una rete abbastanza vasta. Vi sono agenti regolarmente stipendiati (gli stipendi mensili degli agenti arrivano a cifre elevatissime, fino a 5, 8, 10 mila lire), e numerosi altri sussidiati solo di tanto in tanto. All'estero la direzione dell'azione di spionaggio e di provocazione é demandata ai vice-consoli, i quali hanno funzioni di polizia.
La provocazione e lo spionaggio contro i comunisti e contro l'azione dei comunisti si svolgono in molti modi, che non é possibile qui elencare. Essi sono esterni o interni, cioè tendono ad agire tanto dal di fuori quanto dal di dentro del partito.
Per esempio di tanto in tanto si presentano a supposti comunisti degli individui i quali si danno il nome di noti comunisti di provincia, e chiedono di prendere contatto con la organizzazione comunista locale o i mezzi per emigrare. E' pure frequente il caso di presunti comunisti messi nelle prigioni assieme a compagni. I presunti comunisti comunicano al compagno che la polizia nulla ha potuto raccogliere a loro carico per cui saranno presto posti in libertà. Essi desiderano recarsi a Roma o a Torino in cerca di lavoro, e desiderano conoscere come fare per collegarsi con le organizzazioni di queste località. E ancora: un agente qualsiasi, coperto del nome d'una ditta, libraria o giornalistica, vera o fittizia, acquista in Francia 100 o più copie di Stato Operaio. Queste copie sono fatte entrare in Italia e vendute a presunti comunisti od operai. Chi acquista la Rivista é, successivamente perquisito, arrestato e denunciato. Frequente é pure il sistema delle lettere. Da località diverse dell'Europa giungono a Parigi delle lettere di cittadini italiani, desiderosi di entrare a far parte del nostro partito. Questi aspiranti alla milizia comunista chiedono se esista o non in Francia un segretariato del P. C. I. al quale rivolgersi ! Ma pure dall'Italia giungono lettere di cittadini... al Partito Comunista Francese. Un tale di Genova, poco destro, manda per posta una lettera ai compagni francesi chiedendo loro i mezzi pecuniari e tecnici per passare in Francia, dopo essersi rivolto inutilmente, a tale scopo, al console dell'U. R. S. S., in Genova... E che dire delle lettere dalle isole di deportazione inviate da comunisti... che sono in carcere, perché implicati in uno dei tanti processi, a Cachin, a Rakowski, a Kamenef ? Questi ...comunisti chiedono aiuti finanziari, e danno un recapito postale non eccessivamente cospirativo. Tanto i “ compagni “ di Lipari quanto quelli di Pantelleria hanno la medesima scrittura: il colmo della omogeneità comunista ! Ma l'azione di polizia, tenta di svolgersi anche dal di dentro del nostro partito. Essendo relativamente difficile, oggi, entrare nelle nostre file, la polizia fa entrare i suoi agenti nel Partito comunista francese, ad esempio, attraverso alla emigrazione italiana in Francia. Sebbene non sia automatico il passaggio nel P. C. I., di compagni anche italiani, militanti nelle altre sezioni dell'I. C., e che lo domandino, é certo che la emigrazione può essere un canale relativamente comodo per il passaggio dei provocatori, tanto se essi hanno il compito di restare e di agire nella emigrazione, quanto se essi hanno di compito, più difficile, di tornare in Italia per agire in Italia. Ma vi sono anche dei compagni che hanno tradito, che sono caduti per debolezza o per altra causa nelle reti della polizia, ai quali la polizia affida il compito di restare nella nostra organizzazione, di conquistare la fiducia dei compagni e dei centri direttivi perché solo a questa condizione essi potranno ricoprire degli incarichi particolari ...ed arrivare più in alto e sapere di più.
E’ invalso, da qualche tempo, il sistema delle “ fughe “ dal carcere... Alcuni comunisti sono fuggiti dal carcere. Fra costoro ve ne sono dei sinceri e dei corrotti. E' facile comprendere quali siano le condizioni alle quali si rendono possibili certe fughe, e gli scopi che voglionsi raggiungere attraverso l'opera dei «fuggiaschi ».
Recentemente, nella emigrazione, la attività di provocazione e di spionaggio della polizia italiana si é intensificata prendendo di mira particolarmente i comunisti. Si tratta dello sviluppo in grande stile del piano di annientamento dei comunisti annunciato dalla polizia “ fascista “ ai suoi agenti e del quale si compiaceva, alcuni mesi fa, a Milano, tale Corti, telefonando ad uno dei suoi coadiuvatori, già componente della banda che assassinò Matteotti (si tratta, se non erriamo, del Viòla).
Esiste in Francia, con diramazioni nel Belgio e nel Lussemburgo, una vasta rete di spionaggio e di provocazione fascista, alla quale non possono essere estranei dei presunti ex-fascisti, emigrati in Francia nel 1924 e 1925, durante il periodo matteottiano “.





Bazziana

Il Dovere (11 settembre 1927) affermava che “ il trucco degli attacchi a mezzo degli anarchici professionisti “ era fallito. Il “ trucco “, naturalmente, era fascista e rivolto personalmente contro Bazzi, il più formidabile nemico di Mussolini e del fascismo. Una diffamazione di questo genere era possibile in quel tempo. Allora Nitti sperava in Bazzi, e accodati all'uomo nuovo erano Donati, Caporali ed altre maggiori o minori personalità del fuoruscitismo.
Poche erano le campane martellanti l'allarme contro i compromessi tra l'antifascismo e il fascismo anti-mussoliniano ; ma anche questa volta la dirittura morale l'ebbe vinta sul machiavellismo minchione.
Ora Bazzi é fuori circolazione. E' ai margini dell'anti-fascismo, in penombra. E non può fare che opera clandestina. Bazzi é ritornato per tutti l'affarista, il mediatore, il mezzano di compromessi commerciali, giornalistici, politici. Ma di Bazzi non si può dire che é morto, fino a che non é sepolto. Bisogna seppellirlo. Altrimenti darà ancora qualche guizzo di vita.
Cesare Ferri, l'avvocato Bini, Torsiello, un fratello di Fasciolo, Margherita Sarfatti, l'avvocato Felici, il maggiore Vagliasindi ed altri hanno cercato di comprarlo. Bazzi ha messo questo in rilievo per concludere: “ Sono incorruttibile. Vedete quanti mediatori ho respinto? “. Ma io sono certo che a Salvemini, Mussolini non ha mandato intermediari. Bazzi, per Mussolini, era un comprabile. Ma Bazzi giocava grosso. Sperava di vincere la partita. Aveva in mano la carta dell'antifascismo. Ma giunsero le delusioni. Bazzi avrebbe dovuto aspettare degli anni. Visto che il , piano di diventare il capo del movimento fascista anti-mussoliniano era spezzato, egli si é ritirato. Ma s'é ritirato con un compromesso; e non a Caprera ma a Capua. L'uomo dei documenti se li é mangiati !
Mussolini conosce l'uomo. L'ha fatto circuire, quando Bazzi faceva il Capaneo. Bigliettoni da mille: l'esca migliore per certa gente.
Quando il Bazzi venne in Francia si vantò ili possedere importanti documenti contro Mussolini. Sull' importanza di questi documenti non so nulla, per conoscenza diretta, ma credo utile ricordare una serie di fatti atti a dimostrarne l'esistenza e la notevole importanza.
La France di Nizza (1 dicembre 1926) pubblicava che Ricciotti Garibaldi aveva tentato due volte di impadronirsi , dei documenti in questione: una prima volta proponendo ad un antifascista di attirare il Bazzi in un agguato, la seconda volta offrendo 200 mila franchi ad una persona al suo servizio. Bazzi, alla fine del novembre 1926, intervistato dal Petit Journal affermava che quei documenti erano al sicuro e ,che, al momento opportuno, li avrebbe dati in esame alla sureté générale perché essi avrebbero messo sotto nuova luce l'affare Garibaldi.
Bazzi iniziò la pubblicazione di una serie di quaderni, anti-fascisti, di carattere documentario, ma si fermò al primo numero: in esso i documenti erano pochi e di scarso interesse. La rivista comunista Lo Stato Operaio (Parigi, 1 settembre 1928) afferma che le trattative tra il Bazzi e i fiduciari di Mussolini cominciarono da questa prima pubblicazione, e che “dall' inserto Garibaldi risulta che l'accordo non fu raggiunto per una questione di prezzo”.
Lo Stragliati, ex-agente di pubblicità del Dovère, il giornale di Bazzi a Parigi, ebbe a parlarmi più volte dei documenti compromettenti Mussolini passati dalle mani di Bazzi a quelle del comm. Fasciolo (altro pezzo grosso fascista emigrato dopo l'affare Matteotti) e dei trucchi usati dal Bazzi per riavere i documenti e per venderli. Di trattative a base di vendite di documenti si é parlato, a Parigi, insistentemente, in tutti gli ambienti del fuoruscitismo, specie all'uscita del Dovere, che non pubblicò alcun documento notevole.
Occorre far luce sui documenti. Chi li ha, li pubblichi ! Se non sono importanti, sarà dimostrato che il Bazzi è un bluffista fenomenale. Infatti, dell'importanza dei documenti in suo possesso hanno parlato, facendone una giustificazione della loro adesione alle iniziative di Bazzi, tutti i collaboratori al Dovere, alla Dovere-Agence, e i promotori della Compagnia d'azione.
Il fatto che la signora Bazzi abbia potuto andare in Italia e ritornarsene tranquillamente in Francia, contrasta con la posizione ufficiale di Carlo Bazzi (suo marito e con lei convivente) non solo di antifascista, ma di nemico personale di Mussolini. Che la signora Bazzi sia stata in Italia fu voce diffusa proprio da coloro che avvicinavano il Bazzi. A me il Donati, ex-redattore capo del Dovere, e lo Stragliati ne parlarono più volte, accennando a compromessi, per il tramite di Arnaldo Mussolini. L'ing. L. Tocco, ex-amministratore del Dovere, ebbe a dichiararmi : che la signora Bazzi andò in Italia per sistemare degli affari : che l'on. Lanfranconi fu interessato ad occuparsi della cosa; che questi rifiutò, ma passò l'incarico ad un altro avvocato fascista di Roma. Altre persone mi hanno parlato di questo viaggio, e mi ha colpito il fatto che alla divergenza di alcune versioni in rapporto al modo, si oppone l'assoluta concordanza sull'idea del compromesso. Fino ad oggi solo Italo Pellegrini, su Il Nuovo Mondo (23 settembre 1928) ha scritto pubblicamente a questo riguardo, affermando: " Il Bazzi si ritirò da ogni attività politica e poté riprendere la cura dei suoi interessi in Italia per mezzo della sua signora”.
Occorre che tutti coloro che sanno qualche cosa su questo viaggio espongano al giudizio del pubblico le loro informazioni. Altrimenti non avranno a lamentarsi se li considereremo complici di Bazzi Carlo, dopo essere stati i valorizzatori di Carlo Bazzi.
L'uomo tace e fa il morto. Il Dovere (11 settembre 1927) scriveva: “ A quanto noi sappiamo, Bazzi il meglio lo tiene in serbo “. Siamo nel febbraio del 1929. E' l'ora che Bazzi esca dalla... torre di avorio. Altrimenti inchioderemo alla gogna definitivamente tutti coloro che ve lo lasciano.
Donati, che ha definito il Bazzi “ l'osso più duro di Mussolini “, non può tacere, di fronte ai fatti nuovi. I quali sono questi: Bazzi, scoppiato lo scandalo Savorelli, ha parlato scritto ed agito da agente provocatore.
* * *
Carlo Bazzi è l'autore di tre articoli comparsi sul quotidiano parigino La Rumeur (16-20-21 marzo 1928), segnati con la sigla G. F., in uno dei quali si parla di Serracchioli estesamente, accennando ai suoi tentativi di acquisto del Corriere degli Italiani. In una lettera ad un suo conoscente di Bruxelles in data 27 febbraio 1928 (Lo Stato Operaio, 1 settembre 1928) Bazzi afferma: “ E' superfluo che le dica che io non conosco e non vedo nessuno dei detti individui “ Tra gli individui sopra nominati c'è Serracchioli, agente fascista. Donati mi ha affermato che Bazzi è stato in rapporti con Serracchioli. Per di più Serracchioli, a Bruxelles, vantava l'amicizia di Bazzi, affermando che mediante Bazzi il movimento nuovo, repubblicano-fascista, poteva trovare milioni e godere l'appoggio di forti personalità, anche nel mondo francese. Fu Serracchioli a varare il noto manifesto anti-concentrazionista, del quale Gigi Damiani riuscì ad impadronirsi e che io passai ad A. Giannini, che lo pubblicò sulla Libertà. Bazzi, nella sopra citata lettera, dice che i concentrazionisti “ si sono subito prestati al giuoco mostrandosi pronti a scoprire quello che era stato confezionato a bella posta perchè fosse da essi scoperto “ ; egli cerca, cioè, di far credere che Serracchioli e Savorelli si facessero scoprire per compromettere lui di fronte agli antifascisti : tesi ingenua e del tutto contrastante con lo sviluppo di quell'impresa. Il curioso è che quel manifesto anticoncentrazionista non fu opera del Traverso -come questi stesso volle far credere- nè del Serracchioli, nè del Savorelli. Basta un sommario esame grammaticale, sintattico e... stilistico, per persuadersene, oltre al fatto che vi sono accenni precisi a rapporti personali che nessuno dei tre poteva conoscere. Il manifesto fu portato dal Serrscchioli a Bruxelles e scritto da persona politicamente abile e al corrente dei retroscena politici. Coincidenza vuole che lo stile del manifesto richiami moltissimo quello del Bazzi del Dovere.
Altra persona che il Bazzi dichiara di non conoscere è l'Ing. Finzi, altro agente fascista. La cosa mi pare impossibile perchè il Finzi era intimo di Serracchioli, e frequentatore assiduo degli stessi ambienti frequentati assiduamente dal Bazzi. Certo è che il Bazzi. appena avvenuto il dramma di boulevard Magenta, scrive gli articoli su La Rumeur nei quali, pur falsando e confondendo le cose, mostra di conoscere la situazione del Menapace di fronte agli àntifascisti : situazione esattamente nota tra gli agenti fascisti a due soli: al Finzi, a Parigi, col quale, quando egli non era scoperto, uno dei pochi antifascisti che dubitavano del Menapace si era confidato, e al Savorelli, a Bruxelles, informato da certo Igi, che aveva ascoltato i discorsi a quel proposito scambiati tra l'on. Miglioli ed il Mepapace stesso.
Quanto a Savorelli, Silvio Ghini e Tomaso Beltrani hanno dichiarato che egli si presentava come, alter ego di Bazzi. Questi si affretta a smentire, dicendo che il Savorelli gli era stato messo tra i piedi da Rafuzzi e che al Dovere incollava le fascette e faceva le spedizioni. Invece Savorelli fu uno dei fondatori del Dovere (vedi Dovere, 21 aprile 1927), e della Compagnia d'azione e uno dei più intimi collaboratori di Bazzi.
Bazzi ha dichiarato a varie persone che da molto tempo diffidava di Savorelli, e in una lettera al Petit Niçois precisa che al principio di ottobre del 1927 mise in guardia gli antifascisti a mezzo di Nitti. Ciò non gli impediva, però, di avvicinarlo : tanto è vero che nella stessa lettera dice che l'ultima volta che lo vide fu nel novembre 1927. Ora è proprio in quel mese che Pavan e Stockel scoprono, facendo il doppio giuoco con Tito Fabbri e lo Zucca, il ruolo del Savorelli. Il Bazzi ha anche parlato di una denuncia alla polizia francese. E' anteriore o posteriore alla denuncia Beltrani al Menapace ? Donati, Picelli, Stragliati, l'ing. Tocco diffidavano del Savorelli, ma non ebbero mai la certezza sulla sua funzione. Il Rafuzzi, un mese prima del dramma di boulevard Magenta, garantiva il Savorelli all'anarchico Gubbio Giannini. Chi scopri Savorelli, in pieno, fu Beltrani, consegnando le note lettere al Mepapace. Del quale Menapace sono le accuse che lo Zucca avvicinò il Bazzi quale intermediario con il ras milanese Ilario Giampaoli ; che dal Giampaoli il Bazzi ebbe 350 mila lire, su 500 mila richieste; che Tito Fabbri era in rapporti con il Bazzi ; che nelle mani degli autori del furto di rue Rivoli é caduto un biglietto del Bazzi a Tito, Fabbri.
* * *
Perchè Bazzi ha tentato di diffamarmi ? In uno degli articoli su La Rumeur, sul caso Savorelli, il Bazzi accenna all'intempestività del mio viaggio a Lione e a Marsiglia, il quale, secondo lui, ha intralciato le ricerche della polizia. L'accenno è già ambiguo e più che inopportuno. Ma, a voce, Bazzi fa di più. Si mette a dire, in luoghi pubblici, luoghi di lusso, naturalmente, dove nè io nè gli amici miei possono capitare, che io sono un “ agente provocatore “. Da notarsi: parla così per farsi sentire da alcune persone che lo hanno allontanato, sospettandolo, e che egli sa amiche di amici miei. Egli sapeva, perchè lo vado dicendo ovunque da molto tempo, che lo considero un abbietto avventuriero, e che, in occasione del bruciamento di Savorelli, insistetti nel trovare il ragno della rete. Ma c'è di più. Vengono inviate lettere anonime contro di me, ma non con larghezza, come avrebbe fatto un ufficio fascista, e a caso, ma con economia e dirette solo a persone di un determinato ambiente. Una di queste lettere diretta ad Alberto Cianca, in data 19 aprile 1928, dice: “ Berneri sviluppa la sua manovra attaccando Finzi e Serracchioli che, ormai bruciati, non servono più a nulla. In tal modo li ricatta e li costringe al silenzio, mentre spera di conservarsi la riputazione e la circolazione tra i fuorusciti allegando la prova di detti suoi attacchi. I fuorusciti che sono suoi complici o si sono compromessi con lui, lo aiutano nell'opera di accreditamento. Tutto ciò durerà sino alla prima. occasione, in cui ,anche Berneri sarà gettato a mare “. Questo per chi sa che non sono un delegato di P. S. Per i lontani, l'anonimo tenta di farmi passare per un poliziotto. Ad un comunista italiano dimorante a Bruxelles, il cui indirizzo era stato comunicato al Bazzi da un altro comunista, giunge un'anonima così concepita: “ Dietro la personalità posticcia di Bemeri, anarchico e professore di filosofia, troverete quella reale di delegato di P. S. Nenni che si porta garante e gli ha fatto la controparte nel Soir e nel Populaire al momento del suo squagliamento dopo il fatto di Boulevard Magenta, è in buona fede o è della partita? “. Da notarsi che Lo Stato Operaio afferma che il foglietto fu diramato da La Liberté ouvrière, della quale sarebbe iniziatore, secondo la rivista, lo stesso Bazzi. La Liberté Ouvrière è un giornaletto spionistico e provocatorio.
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Gli spioni e gli agenti provocatori fin'ora scoperti erano, evidentemente, incapaci di iniziative autonome. Erano guidati. Da chi? Non lo sappiamo ancora.
Sullo scandalo Garibaldi, c'è stata la congiura del silenzio, perché i … furbi che credevano in Federzoni si erano troppo compromessi. Gli ama tori di giochi sottili, di trame... bazziane, i giocatori su dieci scacchiere stanno abbottonati ogni qual volta vedono il pericolo che vengano alla luce i loro pasticci. Se si vuole arrivare a precisare le responsabilità, a ricostruire le trame, a distinguere le canaglie dai leggeri, i caimani dalle lucertole, i rettili velenosi dalle biscie, si che sia possibile un' economia di profilassi e di risanamento, è necessario che tutti coloro che sanno, parlino. Non si tratta di far dello scandalismo. Si tratta di scoprire le batterie nemiche. Si tratta di costringere i teorici e pratici del tutto fa brodo, a persuadersi che i divorzi politici sono di interesse pubblico. Savorelli lavorava in nome di Bazzi. Perchè tacevano e tacciono gli ex-amici di Bazzi ? Parlino, costoro. Parlino a tempo e chiaramente. Altrimenti attaccheremo loro alla caviglia il campanello dell'appestato. Li chiameremo: i bazziani.




Conclusioni e insegnamenti

Tutto quello che ho ricordato ed esposto sin qui non avrebbe che un interesse molto scarso se non fosse possibile trarne delle conclusioni e degli insegnamenti di un certo rilievo.
Anzitutto si può ritenere per certo che un'organizzazione dello spionaggio fascista all'estero esiste. Questa conclusione potrebbe sembrare... ingenua se troppo spesso delle persone cosiddette di buon senso non ostentassero di penssare che molto di quel che noi diciamo e scriviamo è frutto della nostra esasperazione di proscritti. Il cliché del proscritto fanatico, allucinato e denigratore settario di tutto quello che sappia, da vicino o da lontano, di fascismo, è diffuso più di quel che non si creda. Esso trova un terreno favorevole nella indolenza e nella ristrettezza spirituale di numerosi elementi medi i quali, essendo riluttanti per molteplici motivi a considerarci come dei combattenti di una buona causa, cercano di cavarsi d'impaccio concedendoci le attenuanti... della seminfermità mentale. A questa gente deve essere detto e ripetuto che fatti come l'affare Garibaldi, l'inchiesta svizzera sul ratto di Cesare Rossi a Campione, le manovre del gruppo Savorelli, ecc., non sono suscettibili di interpretazioni discordanti. Lo spionaggio fascista all'estero è una innegabile realtà.
La sua organizzazione, in apparenza esclusivamente dedicata alla sorveglianza dei fuorusciti e del movimento antifascista, si presta per sua natura ad altre utilizzazioni. Il governo fascista dispone, mediante essa, di una rete di agenti e di centri di informazione preziosa per tutti gli eventi. Anche se noi non possedessimo, ad esempio, alcun elemento di fatto che ci autorizzasse ad affermare l'utilizzazione a fini militari dello spionaggio fascista di bassa polizia, sarebbe assurdo pensare che il regime di Mussolini - impegnato su tutti i fronti in una dura partita imperialistica e proclamante la guerra come lo scioglimento fatale .. della sttruggle for life fra le nazioni - mantenga inerte e inattivo, dal punto di vista della preparazione militare, uno strumento tanto prezioso ed in pieno funzionamento su un settore vicino. Ma noi abbiamo citato, nel capitolo quinto di questo volumetto, dei fatti; e altri tatti sono, senza dubbio, consacrati nei rapporti segreti della Sùreté Générale intorno a un aspetto, lasciato ufficialmente nell'ombra, dell'attività spionistica e provocatoria di Ricciotti Garibaldi. Le nostre non sono, per più di un motivo, le preoccupazioni delle borghesie nazionalistiche alle prese col fascismo italiano; tuttavia non ci sembra del tutto priva .di interesse la considerazione dell'uso che Mussolni sarà in grado di fare, alla vigilia di una guerra e durante il suo decorso, dell'organizzazione di spionaggio da lui creata, mantenuta e sviluppata in certi paesi esteri !
La collusione tra il servizio di spionaggio fascista e altre funzioni di difesa e di offesa dello stato risulta anche da un punto di vista, per dire così, organico. E' un dato di fatto incontestabile che la maggior parte delle sedi consolari italiane sono anche le sedi del fascio locale: prendete, ad esempio, due guide di Nizza e di Marsiglia, e troverete che, in queste due città, consolato e fascio risiedono insieme. Molti funzionari consolari sono tratti dalle file dell'esercito o dagli organici della pubblica sicurezza: nei consolati generali, il servizio di sorveglianza e di provocazione politica fa capo a un vice-console, che è quasi sempre un commissario o un questore.
In sostanza, il Governo fascista si giova della libertà d'azione e delle simpatie e delle compiacenze di cui gode, negli ambienti reazionari, il movimento fascista, per coprire l'azione di certi organismi statali; e si serve, d'altra parte, dei privilegi dovuti alle rappresentanze consolari e diplomatiche per rafforzare, con indebite ingerenze e collusioni, il movimento fascista.
Queste non sono fantasie o illazioni più o meno arbitrarie : sono - lo ripetiamo volentieri - fatti.
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Tra gli elementi che fanno dello spionaggio, bisogna distinguere i pochi che tirano i fili e i moltissimi che, più o meno coscientemente, servono... la buona causa. Questi sono, in un certo senso, i più temibili, in ragione diretta , della loro buona fede e del valore delle giustificazioni che essi sono in grado di offrire, nel foro interno della coscienza, al loro infame operare.
L'esposizione che io ho fatto del demi-monde antifascista parigino e dei precedenti del dramma del boulevard Magenta sarà probabilmente sembrata ad alcuni troppo lunga e ricca di digressioni apparentemente prive di interesse o di rapporti col fatto centrale. Eppure la psicologia e i metodi dello spionaggio sono, se io non mi inganno, tutti contenuti - almeno in germe - in quel groviglio miserevole di vanità, di inquietudini, di furfanterie e di piccole manovre.
Il primo motore - colui che muove il sole e l'altre stelle - è lontano e invisibile, ma si indovina facilmente. Meno oscuri sono i centri di raccolta e di trasmissione degli ordini: tuttavia, sono sempre avvolti in un'ombra discreta. In primo piano, esposti alla vicenda delle manovre e delle contromanovre, sono invece gli agenti del genere di Savorelli, Zucca e Fabbri, dei quali non è permesso di dubitare che abbiano piena coscienza del loro ufficio. Tutti costoro però non riuscirebbero a nulla se non sapessero accaparrarsi i servizi dei Ghini.
Ghini è un tipo largamente rappresentativo, anche se la sua rappresentatività è molto diminuita dalla intelligenza inferiore alla media. Egli è la spia a metà: l'uomo che si inserisce, per necessità di denaro e per malsano amore d'avventura, nel giuoco dello spionaggio, pur rivelando di tanto in tanto la ridicola pretesa di svolgere un'azione propria. Quando un galantuomo pensa ad una spia immagina per solito d'avere a che fare con un rifiuto umano al cento per cento, consapevolmente venduto, anima e corpo, al diavolo; viceversa, noi ci troviamo molto spesso dinanzi a degli individui che conservano ancora qualche velleità di un alibi morale, e se accettano stipendi e denari dai loro impresari, lo fanno con la scusa e più raramente col proposito di giovarsi delle loro nuove relazioni ed esperienze per sventare il giuoco..; di coloro a cui si sono venduti! Quest'atmosfera di penombra e di equivoco è quella che più rende difficile la lotta contro gli accorgimenti e le coperte vie dell'organizzazione spionistica. Inutile dire che nel fatto quasi nessuno sfugge, sul viscido piano inclinato del compromesso morale, alla legge di gravità: tutti precipitano, senza speranza di riabilitazione, nel più fondo della ghiaccia infernale. Pavan, per trarsene fuori, ha dovuto fare appello alle estreme risorse del suo temperamento d'eccezione: ma egli è uno dinanzi alla infinita schiera di coloro che hanno continuato e continuano ancora a ruminare tranquillamente la biada della loro abiezione!
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Dalla considerazione dei fatti da me accennati, discendono delle regole pratiche di condotta molto facilmente enunciabili.
Non bisogna anzitutto impelagarsi in iniziative che non siano nitide e chiare. Il gusto delle cose complicate è molto pericoloso. Il caso di Beltrani, il quale sorveglia i comunisti per conto dell'antifascista Savorelli, è, in proposito, un insegnamento tipico. Certo machiavellismo di bassa lega deve essere respinto su tutti i settori, grandi e piccoli, della lotta politica. Dinanzi alle minacce e alle insidie dello spionaggio, non vi sono che i fascisti da una parte e gli antifascisti dall'altra. Questo, almeno, sino a prova in contrario.
Niente aiuti, niente offerte di impiego, niente soldi in prestito da persone equivoche o non sufficientemente conosciute. Lo spionaggio specula sulla miseria dei profughi. I profughi non devono farsi accalappiare a certe esche. Piuttosto la fame, che portar quadri per conto dell'ineffabile signor Zucca!
Attenzione ai progettisti di imprese troppo avventurose e difficili. L'esilio non è l'Arcadia e tutto, a un certo punto, può divenir necessario: ma la diffidenza, su questo terreno, non è mai troppa. Se qualcuno ha un bisogno irresistibile d'azione, faccia da sè o con gli amici intimi. Gli amici o gli aiuti che cascano improvvisamente dal cielo potrebbero provenire, invece... da palazzo Chigi !
Bando, infine, alle macchine fotografiche. Il regime fascista è un regime di... fotografi ! Fotografie, a tutti i momenti e in tutte le pose, del duce, dei sotto-duci e delle masse corali: fotografie, inoltre, degli antifascisti. Queste vanno a finire, come è facile comprendere, a un ufficio centrale del ministero degli interni e di là sono distribuite, in riproduzione, ai passaggi di frontiera, ai consolati, ai centri di polizia all'estero e all'interno. Persone che dichiararono, alla questura di Napoli, di non avere avvicinato, durante la loro permanenza a Parigi, l'on. Nitti, si videro sbatacchiare sotto gli occhi un'istantanea che le aveva sorprese mentre varcavano, in via Duguay-Trouin, la soglia della sua abitazione ! Ghini faceva a Bruxelles il fotografo dilettante; il sedicente Viola fotografava a Marsiglia tutti i suoi amici. Morale: gli antifascisti devono fotografare, non farsi fotografare !
Altro ancora si potrebbe dire. Ma è inutile. Una prcettistica desunta dall'esperienza passata non potrà mai essere sufficiente a fronteggiare le sorprese e gli imprevisti dell'avvenire. Non c'è che da ricordarsi di una cosa: che lo spionaggio, l'insidia poliziesca, l'impiego, in tutti i centri di emigrazione, di folti gruppi di informatori e di provocatori circolanti in mezzo agli ambienti dei profughi, sono i normali mezzi di lotta del governo fascista. A ciascun regime, i servitori e i metodi che più si convengono alla sua atmosfera morale.











INDICE


- Prefazione
- Le prime imprese dello spionaggio
- Un groviglio di infamie spezzato da una tragedia
- Le esche degli agenti di Mussolini
- Belgio e Svizzera
- I capisaldi dello spionaggio
- Bazziana
- Conclusioni e insegnamenti

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