giovedì 29 marzo 2012
Il processo Pellissero (1998)
‘NELLA SUA STANZA, IL ‘MEIN KAMPF’.
Il ritratto che ne tratteggia in aula Giuseppe Petronzi, responsabile della sezione antiterrorismo della Digos torinese, traccia i contorni di una figura ambigua: un anarchico che e’ abbonato a riviste di destra, che legge Hitler e Julius Evola (una copia del Mein Kampf fittamente appuntata e’ stata trovata nella sua stanza); un anarchico che viene identificato dalle forze dell’ordine nel 1992 mentre attacca manifesti elettorali dell’Msi; un anarchico che non disdegna le frequentazioni leghiste e che viene trovato in possesso di volantini in cui si inneggia contemporaneamente a gruppi ecoterroristici e alla cacciata dei meridionali dalla Valsusa. Un personaggio poliedrico e dai mille interessi’.
Sergio Capelli, Diario della Settimana 16 giugno 1999 5 MARZO 1988
ARRESTATI
Il 5 marzo 1998 l’inchiesta sugli attentati contro il treno ad alta velocita’ e’ ad una svolta: tre ‘lupi grigi’ vengono arrestati. Silvano Pellissero viene bloccato alla stazione ferroviaria di Condove, Chiusa S. Michele, dopo che ha trovato microfoni sulla sua autovettura, ed e’ diretto a Torino per consegnarli all’avvocato Novaro. Edoardo Massari e Soledad Rosas vengono presi nella Casa Occupata di Collegno. Gli sbirri di ROS e Digos si fanno aprire con l’inganno, dichiarandosi compagni di Bologna.
Fino al giorno 7 Marzo Silvano non sapra’ che Edo e Sole sono stati arrestati ed ignora di che cosa e’ accusato. Quello stesso giorno il GIP Fabrizia Pironti conferma l’arresto e comunica i reati di cui i tre sono incriminati: associazione sovversiva con finalita’ di terrorismo (Art. 270 bis), detenzione di armi ed esplosivi (un razzo fuori uso e due bombolette spray antiaggressione), documenti falsi, numerosi furti e ricettazioni, incendio al municipio di Caprie (devastazione) ed altri reati minori.
La posta in gioco ammonta a 10 anni di reclusione, con tutte le aggravanti possibili. Il giorno 25 Marzo compaiono davanti al tribunale della Liberta’, composto da tre giovani donne che confermano tutto.
Edoardo, in circostanze mai chiarite, viene trovato morto la mattina del 28 Marzo. Silvano e Sole iniziano subito lo sciopero della fame. Il 4 aprile una manifestazione nazionale con circa 10000 persone percorre la citta’. Si infrangono, per la rabbia, i vetri del palazzo di giustizia, capolavoro, non finito, della repressione.
Soledad viene messa in isolamento alle Vallette. Anche Silvano passa alle Vallette nella sezione psichiatrica 7 del blocco A. C’e’ il rischio di suicidio ed e’ sorvegliato a vista 24 ore al giorno. Cella singola senza tavolo sedia e armadietti. Sporcizia ovunque, vomito sangue escrementi e urina essiccati sui pavimenti e sui muri. Un vero porcile degno delle galere turche...
E’ in sciopero della fame da 22 giorni e non e’ intenzionato a mollare. Soledad ha gia’ smesso da alcuni giorni, in conseguenza delle suppliche della sorella Gabriela che e’ incinta...
Durante il funerale di Edoardo a Brosso Canavese il pennivendolo Daniele Genco - distintosi nell’opera di diffamazione nei confronti di Edo e per aver collaborato con la questura nell’identificazione dei partecipanti al corteo di Ivrea del 23 Dicembre 1993 - che si era presentato provocatoriamente, viene malmenato. Niente di speciale confronto alle botte subite nelle questure e nelle caserme. Sta di fatto che tre compagni vengono rinviati a giudizio con l’accusa di lesioni aggravate: Arturo Fazio, Luca Bertola, Andrea Macchieraldo.
Verso la meta’ di Aprile, a Soledad vengono concessi gli arresti domicilari e viene trasferita a Benevagienna nella Comunita’ Sottoiponti gestita dall’amico Enrico De Simone. Silvano invece viene trasferito a Novara nelle sezioni speciali per prigionieri a elevata pericolosita’ sociale. Li’ interrompe lo sciopero della fame verso il 29 aprile e inoltra domanda di arresti domiciliari che verra’ prontamente respinta.
A Giugno inizia un nuovo sciopero della fame.
PREMESSE FEROCI AL PROCESSO
Nel frattempo gli assassini Pubblici Ministeri Laudi e Tatangelo chiedono il rinvio a giudizio per il solo incendio del Municipio di Caprie. l’11 luglio, all’alba, viene rinvenuto il corpo esanime di Soledad. Silvano viene messo in cella di isolamento a vista ed il suo sciopero si radicalizza. Gli sara’ concesso di vedere il corpo senza vita di Sole nell’obitorio di Mondovi’. L’obitorio e’ pieno zeppo di sbirri armati di ogni corpo e servizio. Il viaggio e’ un inferno e Silvano e’ abbastanza malconcio. Si muovono i politici: Cavaliere, Manconi, Pisapia ed altri. Inoltra una nuova richiesta di domiciliari che viene accolta. Il 25 Luglio e’ alla comunita’ Mastropietro in San Ponso Canavese.
Silvano e’ solo nella gabbia degli imputati. Tutti dicono che Sole si e’ uccisa da sola, ma cosi’ non e’. Sappiamo bene quante mani hanno stretto quel lenzuolo, oltre a giudici e sbirri anche i giornalisti hanno avuto la loro parte e continuano a farlo diffondendo menzogne e diffamazioni.
Il giorno 27 Luglio Silvano e’ nell’aula bunker del carcere lager delle Vallette. Li’, davanti al nuovo GIP Francesca Cristillin, ottiene la riunificazione dei procedimenti a suo carico. Numerosi gli atti di solidarieta’ internazionali. Ignoti invieranno a giudici giornalisti e politici diversi pacchi postali contenenti esplosivo. Nessun ferito ma l’effetto allarme e emergenza e’ grande. Il 23 settembre Enrico De Simone, presidente della Comunita’ Sottoiponti, che aveva ospitato Sole, si suicida. Dopo la morte di Soledad i giornali avevano rivolto le loro attenzioni diffamatorie anche contro di lui.
Nel mese di novembre viene consegnata la perizia, completamente ostile a Silvano, sulla pipe bomb: per i periti una bomba, mentre in realta’ e’ un razzo fuori uso, abbandonato li’ da compagni francesi durante la settimana Bella Vita del Dicembre '97. I giornali marciano anche su questo e vomitano tutto il loro veleno.
Nello stesso periodo si sta svolgendo il processo Fuschi-Brown & Bess. Numerosi imputati sono stati archiviati, tra cui Andrea Torta, Luisa Duodero e Germano Tessari. Due sono fascisti dichiarati, fedeli alle istituzioni. Il terzo, uomo di Dalla Chiesa, da sempre riveste un ruolo di primo piano negli affari oscuri della Valsusa. Verso Dicembre compare la dichiarazione fatta dal Torta (figlio di Luisa Duodero, titolare dell’armeria Brown& Bess) il quale afferma che Fuschi gli avrebbe confidato come Silvano fosse uomo protetto da Tessari e passasse informazioni ai Carabinieri. E’ chiaro che l’intenzione degli inquirenti e’ volta ora e soprattutto a demolire la sua immagine ed a isolarlo dai compagni.
A Natale, a Torino, viene rubata la statuetta di Gesu’ Bambino e per riscatto viene chiesta la liberazione di Silvano. Dopo alterne vicende ed infiniti articolacci sui giornali di massima tiratura Pellissero viene rinviato a giudizio da Francesca Cristillin.
IL PROCESSO DI PRIMO GRADO
Il processo inizia il 23 Aprile con l’aula ben piena di giornalisti, sbirri, addetti ai lavori. Silvano si rifiuta di rispondere alle domande del PM Tatangelo poiche’ lo ritiene uno dei maggiori responsabili della morte dei suoi amici, ma si riserva di intervenire nel dibattimento con dichiarazioni spontanee.
La seconda udienza si tiene il 3 maggio. Silvano legge la sua dichiarazione, naturalmente dopo essere stato messo in guardia dal presidente riguardo l’effetto che le sue parole potrebbero sortire su giudici e inquirenti. Un ridicolo e penoso “mi dispiace” dedicato dal PM Tatangelo ai due morti solleva le proteste del pubblico, subito zittito energicamente dal giudice.
Tatangelo aveva dichiarato alla stampa che l’inchiesta si sarebbe chiusa entro il maggio '98. Invece durante il mese di maggio '99 l’inchiesta procede ancora, e nuovo materiale d’accusa viene depositato presso il tribunale. Le richieste di rinvio e di anticostituzionalita’ ripetutamente presentate dall’avvocato vengono sempre rigettate. Spesso per tutte le udienze a seguire verranno segnalati episodi di scontri verbali tra avvocati e presidente del tribunale.
Il 3 maggio parleranno gli avvocati, verra’ letta la dichiarazione di Silvano e si preparera’ il calendario delle successive udienze. Le affermazioni fatte in tribunale saranno oro colato per i giornali i quali usciranno con intere pagine dedicate al dibattimento. Seguono le testimonianze di vari personaggi sull’incendio di Caprie. Il sindaco, e due dipendenti comunali dicono cose interessanti che aprono molti interrogativi su cosa sia successo effettivamente quella notte. Lo stesso giorno vengono anche sentiti il direttore dell’ufficio postale di Caprie (interessato dal fumo dell’incendio) ed un vigile del fuoco. Costui afferma che non e’ possibile stabilire se l’incendio fosse doloso oppure no. Un altro mistero dell’affare di Caprie e’ il ritrovamento, prima e dopo l’incendio, di volantini di minaccia sull’operato del sindaco. Ma le prove contro gli imputati restano. La stampante Epson ritrovata nella casa dei genitori di Edo a Brosso e una saldatrice rossa ritrovata nelle cantine della Casa Occupata: entrambe sarebbero state riconosciute dagli impiegati. In ogni caso si tratterebbe, al massimo, di indizi di un eventuale furto, di una ricettazione o di un acquisto incauto, ma non di un incendio e men che mai di una devastazione dolosa.
Il 7 maggio ci sara’ il rinvio dell’udienza intera per dare un sia pur minimo tempo alla difesa per studiare altri corposi materiali d’accusa depositati in tribunale.
Il 28 maggio iniziera’ la deposizione del capitano Giuseppe Petronzi, della Digos di Torino. La sua deposizione sara’ soprattutto incentrata sulla persona di Silvano. Con molte forzature e nascondendo molte informazioni riservate coperte da “segreto d’ufficio” proporra’ un profilo ambiguo dell’imputato: un passato da militante di destra, con simpatie ed amicizie leghiste. Dalla deposizione del Petronzi saltera’ fuori che le indagini sono state supervisionate dai servizi segreti e che quindi molti particolari non sono dati a sapere perche’ sono segreti di stato.
Dal gennaio '98 i tre erano constantemente pedinati, filmati con telecamere nascoste, e sulle auto di Edo e Silvano erano stati installati microfoni. Secondo Petronzi, le cimici sull’auto di Silvano non avrebbero funzionato a dovere, tanto da costringerli a sostituirle. Silvano viene fermato dalla Polstrada di Susa e con una scusa costretto a seguirli in sede, dove verra’ trattenuto oltre 4 ore per consentire la manipolazione della sua vettura.
Gli inquirenti sostengono che in quell’occasione Silvano avrebbe gettato dal finestrino alcuni volantini (inneggianti ai Lupi Grigi) nei pressi della caserma della Polstrada, e sarebbe tornato il giorno dopo a riprenderli. Durante l’udienza del 4 giugno Petronzi concludera’ la sua deposizione e Silvano controbattera’ con una dichiarazione spontanea nella quale smentira’ tutte le illazioni e confermera’ invece la sua militanza anarchica ed il suo impegno nell’area libertaria (ampi stralci delle dichiarazioni sono state pubblicate su TUTTOSQUAT n¡ 13).
La stessa mattina, dopo la deposizione di Petronzi, verranno ascoltati due agenti della Polstrada di Susa, che avevano fermato Silvano, i quali risponderanno con una sfilza di “non so”, “non ricordo”, “puo’ essere”. Saranno sicuri solamente su alcuni particolari peraltro non rilevanti. Sabato 5 giugno l’udienza procedera’ a porte chiuse perche’ i poliziotti ed i carabinieri chiamati a testimoniare non vogliono essere visti in viso. Testimoniera’ un ispettrice di Ps-Digos sull’affare della cabina elettrica Sitaf di Giaglione (reato del quale Silvano e’ direttamente accusato). Costei dira’ semplicemente che non sa nulla e che si rimette a quanto detto dal suo superiore, cioe’ il Petronzi. Sara’ la volta di un sovrintendente Digos il quale dira’ che non ha visto Silvano raccogliere i famigerati volantini inneggianti al razzismo e ai Lupi Grigi, ma che dalla postazione di osservazione nella quale si trovava ha dedotto che solo lui poteva averli presi, perche’ solo lui sarebbe passato da li’ in quel lasso di tempo. Di piu’ non dice, si limita a vari ‘non saprei’ ‘non ho visto’, ‘non e’ di mia competenza’. La stessa mattina ci racconta qualcosa un maresciallo dei carabinieri anticrimine a proposito dell’opera di spionaggio. Non emerge un granche’ se non che Silvano viaggiava molto lentamente e che hanno avuto il suo nome dalla solita fonte riservata protetta, legata ad un altro maresciallo dei CC del comando di Susa. Scoppia poi una polemica tra l’avvocato ed il presidente del tribunale il quale non fa mistero della sua ostilita’. Il teste dice che sono state identificate moltissime persone di area anarchica ma niente di piu’. E’ la volta del comandante dell PS di Susa, capitano pluridecorato della DIA, soprannominato dai giornali ‘la sentinella dell’Autofreius’ per via delle elevatissime contravvenzioni e delle molte patenti sospese dal comando Polstrada da lui capitanato. l’interrogatorio e’ brevissimo perche’ risponde con una sfilza di ‘non so’. Gia il Petronzi aveva risposto piu’ o meno allo stesso modo quando l’avvocato chiedeva informazioni riguardo numerosi attentati e sabotaggi ai danni di automobili, case e camion in varie localita’ della Valsusa. Attentati e sabotaggi che, chissa’ perche’, non compaiono nella lista delle azioni contro il TAV.
Le risposte sono altrettanto vaghe quando la difesa interroga il teste su altri episodi: certe minacce subite da un contadino di Mompantero da parte di ignoti legati all’antitav o certi sconosciuti con tute mimetiche e mitragliette che gironzolano nottetempo nei pressi di Bruzolo o altri oscuri episodi analoghi.
Molti misteri si addensano anche sulla cabina elettrica di Giaglione dove pare che gli attentatori avessero le chiavi delle porte e che sapessero bene quali relais sabotare per aumentare i danni: due su un centinaio.
Il Petronzi non spiega perche’ sull’automobile di Silvano avessero tanta difficolta’ a montare i microfoni e gli apparecchi di ricezione satellitari GPS per la ricerca del mezzo in movimento. Li montarono il 6 febbraio, fermando con un pretesto Silvano e Soledad e trattenendoli 4 ore nella questura di Torino. Li perquisirono per bene varie volte e presero foto ed impronte. Una schedatura in piena regola per dare il tempo ai tecnici di montare le microspie. Dice poi il Petronzi che il 17 febbraio dovettero ritoccare l’impianto perche’ non funzionava bene e guarda caso, colpo di fortuna, trovano i volantini.
All’udienza dell’11 Giugno un maggiore dei carabinieri dei ROS di Roma raccontera’ le sue teorie sulle organizzazioni informali e sui gruppi di affinita’ minima. Teorie care al giudice Marini di Roma che utilizza questi teoremi per tenere in piedi il suo processo contro la inesistente ORAI e soprattutto contro oltre 50 compagni anarchici. Il teste andra’ avanti per alcune ore, quando cadra’ in contraddizione, per le domande dell’avvocato Novaro, sara’ il solito presidente del tribunale a venire in aiuto all’accusa. In ogni caso dalla deposizione ancora una volta non emergera’ niente di significativo.
A fine mattinata viene ascoltato un perito grafico dell’arma. Parla della perizia su quattro macchine da scrivere trovate nell’abitazione del Pellissero, alla Casa Occupata ed all’Asilo Occupato. La perizia interessera’ inoltre due fogli di trasferibili trovati durante le perquisizioni, conparati con i volantini ed i comunicati trovati in Valsusa, compresi quelli attribuiti a Silvano. L’esito e’ negativo, non esistono punti di concordanza. Silvano viene accusato di aver scritto due lettere nelle quali si parla di sabotaggi con sabbia e zucchero su macchine da cantiere. Le due lettere spedite via posta alla redazione della Lince a Cuneo furono poi effettivamente pubblicate.
In apertura di udienza Silvano fa una dichiarazione spontanea nella quale rivendica la paternita’ delle due lettere e spiega come e quando le ha scritte e a chi le ha spedite. Finora quindi le uniche cose di peso a carico degli indagati sono indizi: la saldatrice proveniente dal comune di Caprie con l’etichetta adesiva di identificazione, trovata alla Casa Occupata, una torcia da testa trovata sul luogo dell’attentato alla cabina elettrica Sitaf di Giaglione, simile ad altre due pile trovate nella casa di Silvano a Bussoleno, la storia dei volantini sostenuta soltanto dalle deposizioni dei poliziotti (i volantini originali non son mai stati trovati perche’, dicono, Silvano li avrebbe portati via).
A carico degli imputati esistono inoltre centinaia di ore di intercettazione di dialoghi ed altrettante ore di filmati di telecamere spia. Da tutto cio non emerge nulla di riconducibile ad attentati avvenuti, a possesso di armi ed esplosivi o inerente a personaggi attivi in Valsusa . Emerge il desiderio di attivarsi contro le nocivita’ del progresso, emerge con chiarezza l’area nella quale gravitavano, emergono le attivita’ di solidarieta’ nelle quali erano impegnati ed i canali che usavano per sopravvivere economicamente compresi i furti ai supermercati e furti di benzina. Non si parla mai di organizzazioni, ne’ ci sono riferimenti a un programma associativo anche primitivo od informale come ipotizzano i ROS.
Il drammatico della vicenda e’ che, oltre ad essere stati spesi centinaia di milioni nelle indagini e nelle perizie, oltre ad aver portato lo scellerato progetto TAV agli onori delle cronache anche internazionali, ci sono tre morti innocenti di mezzo: Edoardo, Soledad, Enrico.
Durante le indagini la polizia scientifica e il CIS dei carabinieri hanno esaminato anche impronte digitali ed impronte di scarponi ma niente di sostanziale e’ emerso contro gli imputati, nemmeno qualche indizio. Proprio nella cabina di Giaglione sono state rinvenute impronte digitali che pero’ non risulta siano degli imputati. Le loro foto, unitamente a quelle di altri 12 compagni, sono state mostrate ad alcuni testimoni oculari in merito all’attentato incendiario alla chiesa di Giaglione; anche in questo caso nulla da segnalare.
ATTENTATI
L’udienza del 2 Luglio e’ molto importante, perche’ si discutera’ della prova regina dell’accusa: esplosivi ed armi. Prima pero’ viene sentito il direttore responsabile reparti mantenimento Sitaf che racconta quali sono state le effrazioni (porte scardinate e recinzioni tagliate ecc.). Riferisce poi di un certo numero di sabotaggi, sempre ai danni della Sitaf, per i quali e’ stata esposta regolare denuncia ma dalle indagini, se ci sono state, non e’ emersa nessuna pista, nemmeno un indizio a carico di chicchessia. Citiamo per la cronaca alcuni degi episodi piu’ salienti: 18 Luglio '95: sabotaggio delle vasche acqua antincendio galleria Prapuntin. 31 ottobre '96: un cavo elettrico dell’alta tensione si stacca dalla parete e danneggia automezzi. 10 dicembre '96, 21 gennaio '97 e 31 Gennaio '97 sabotati gli impianti antigelo delle manichette antincendio. Inoltre un camion con rimorchio prende misteriosamente fuoco nella galleria di Prapuntin e l’autista sgancia il rimorchio lasciandolo bruciare all’interno della stessa. Danni per miliardi. Quasi come al Monte Bianco, ma senza morti.
ARMI
A questo punto inizia la deposizione del perito di parte dell’accusa. Costui e’ a tutti gli effetti un carabiniere che pensa da carabiniere. La lunga frequentazione degli ambienti dell’arma lo ha reso fedele nei secoli. Piu’ volte, quando alcuni particolari della sua perizia non quadrano, chiama in causa il maresciallo artificiere. Si inizia con le armi trovate: due bombolette di spray lacrimogeno antiaggressione marca Police francesi. Equiparate dalla legge italiana ad armi da sparo come da circolare ministeriale del 1974. Le bombolette contengono un gas paralizzante irritante, proibito in Italia, mentre nel '97 e’ stata liberalizzata la vendita di un congegno antiaggressione caricato ad aria compressa e olio di peperoncino rosso. Le Police pero’ sono un’altra cosa: armi; si rischia, con l’aggravante di terrorismo, fino a 7 anni di galera.
E’ la volta della pipe bomb. Secondo il perito dell’accusa e’ un ordigno tipo guerra letale, di fabbricazione artigianale. Il controperito nominato dalla difesa e’ il professor Mancini, anziano tecnico minerario esplosivista. Persona pratica e niente affatto burocratica dimostra l’esatto contrario in maniera esclusivamente tecnica: il manufatto era di costruzione industriale, come la polvere nera, colata e pressata a 20 atmosfere, riscaldata a 40 gradi. Cosi’ com’era, l’artificio non poteva esplodere, anche perche’ mancante di qualsivoglia sistema di accensione e di innesco. Il perito d’accusa, messo alle strette, sbotta: comunque c’erano 300 grammi di polvere nera e se l’artifizio fosse stato posto in grembo a qualcuno e fosse stato acceso costui si sarebbe fatto male.
Mancini polemizza poi sulle questione della distruzione della prova. Questa questione era gia’ stata sollevata dagli avvocati Novaro e La Macchia, in apertura di dibattimento il 23 aprile, ma era stata prontamente rigettata dal tribunale. L’artifizio poteva essere ‘messo in sicurezza’ cioe’ distrutto, ma avrebbe dovuto essere almeno radiografato prima. Il perito dell’accusa difende la corretta procedura dei carabinieri, e infine il presidente del tribunale conclude a modo suo, con il solito scontro con l’avvocato su questioni procedurali.
In seguito il perito dell’accusa parlera’ delle torce con le tacche incise all’esterno. Una pila ha sei tacche, un’altra ne ha sette e un’altra ne ha 8. Tutte della stessa marca, una tutta dipinta di nero, una solo sfumata e l’altra gialla come da originale. Le tacche paiono incise tutte con lo stesso strumento, non ben identificato. Anche lo scopo e’ incerto: segno di riconoscimento o per migliorarne l’uso?
Dopo la deposizione del perito tocca ad un agente della Polstrada di Susa, ancora riguardo ai volantini, il quale afferma sotto giuramento di aver visto Silvano la sera del fatidico 17 febbraio '98, quando seguiva la macchina della Polstrada di Susa, gettare i famosi volantini dai finestrini della sua vecchia Ritmo 60. Lo ha visto perche’ lo seguiva di nascosto. Lo ha visto da una distanza di oltre 15 metri, dopo le 19 di sera con la visibilita’ dei lampioni, in curva e mentre guidava l’autopattuglia di servizio. Il collega che aveva a fianco e che non guidava forse non ha visto nulla ma non verra’ a testimoniare perche’ l’accusa rinuncia. L’agente interrogato dira’ soltanto che ha visto i volantini volare dal finestrino, per il resto non risponde a nulla perche’, come i suoi precedenti colleghi e comandante, ‘non sa nulla di piu'’.
1¡ Ottobre. Tribunale di via Bologna. Pomeriggio. Il perito della difesa, dott. Mancini dibatte sulla perizia con il perito dell’accusa, dott. Conti. La difesa conclude affermando, e motivando la dichiarazione con numerosi riferimenti tecnici, che l’oggetto trovato nella Casa Occupata di Collegno altro non e’ e non puo’ essere che parte di un razzo pirotecnico, con molta probabilita’ un razzo ad uso agricolo, antigrandine. La perizia della difesa e’ pero’ vulnerabile su un punto, subito ripreso dal Conti, cioe’ che le polveri nere industriali per uso pirotecnico conterrebbero sempre, secondo le sue informazioni, degli additivi. Spesso contengono polvere di alluminio. La difesa non controbatte e l’udienza si conclude qui. In verita’ spesso le polveri nere ad uso pirotecnico contengono altri additivi oltre al nitrato di potassio, lo zolfo ed il carbone. Questi additivi servono a colorare la fiamma o a rendere luminose le deflagrazioni. Trattandosi di un razzo antigrandine non interessava ai costruttori, ne’ di colorare la scia dell’artifizio, ne’ tantomeno rendere luminosa l’esplosione, anche perche’ l’esplosione era a cura di una parte mancante dell’oggetto trovato nella Casa.
PIZZA SI PIZZALIS NO OVVERO LA PROVA DEI VIDEO INVISIBILI
Udienze a porte chiuse: 11, 22, 25 ottobre. Nelle prime due udienze sono presenti solo avvocati e sbirri, si discute sulle indagini compiute dai ROS sulla Casa Occupata. Viene sentito un testimone chiave, cioe’ colui che ha condotto di persona gli appostamenti e che ha curato le riprese video. E’ un giovane sulla trentina, si chiama Pitzalis Stefano. Definito dal PM Tatangelo “un bravo investigatore” mostra i video dove, secondo lui Sole Edo e Silvano vengono immortalati mentre compiono numerosi misfatti. Pero’ nel video e’ impossibile riconoscere le figure, e Pitzalis farcisce con ricostruzioni temporali le immagini oscure. Afferma di conoscere i tre talmente bene da riconoscere il loro passo al buio. Le immagini sono girate al buio, si tratta di ombre che si agitano per alcuni secondi, e’ difficile capire cosa fanno queste ombre...
Le immagini che vengono presentate come prove di attivita’ delittuose e criminali sono state riprese da due telecamere costose e sofisticate nascoste, una che riprende l’ingresso della Casa, (occultata in una stanza dell’ AMPI, una fabbrica situata sull’altro lato di via Tampellini), l’altra nascosta vicino ad un deposito del comune. Questa seconda telecamera riprende immagini panoramiche, e risulta difficile capire a cosa si riferiscono e chi sono i protagonisti delle video riprese. Sempre secondo Pitzalis, nelle riprese si vedrebbero anche gli attrezzi ed utensili provenienti dal furto di Caprie. Ricordiamo che le riprese sono in bianco e nero, e scorrono ad una velocita’ doppia del normale: su una cassetta da 240 minuti hanno registrato 480 minuti di movimenti.
Il Pitzalis da per scontato che Sole Edo e Silvano fossero i soli possessori delle chiavi, e che ne fossero i soli frequentatori. Ignora i passaggi durante le feste e altre riprese che registrano passaggi di altre persone, anch’essi di notte. I video non convincono del tutto il tribunale, tanto che alcune sequenze vengono viste e riviste fino a 6 volte nel corso della mattinata.
Il controinterrogatorio della difesa non sortira’ altro che una sfilza di “non so...” “puo’ essere...” ecc. Durante l’ultima udienza chiusa al pubblico, il 25 ottobre, si ascoltano altri tre colleghi del Pitzalis. Il maresciallo De Carolis, giovanissimo e gia’ maresciallo, (minimo due milioni e mezzo al mese di paga per il suo brillante lavoro...). Racconta di una misteriosa auto Fiat rossa, una Uno o una Panda, che va e viene dalla Casa Occupata, la notte dell’incendio, e verso le 02 e le 04. Il PM ignorera’ questa autovettura, affermando che si tratta di una coincidenza. In ogni caso nessuna indagine e’ stata fatta. E’ di nuovo la volta dei “non so”, “non ricordo” “puo’ darsi” dei marescialli ROS Solinas e Riillo, anch’essi trentenni, nei Ros si fa carriera in fretta. Anche loro hanno partecipato agli appostamenti ed ai pedinamenti, ma non sanno ne’ ricordano nulla di significativo. Al termine dell’udienza Silvano rilascera’ una dichiarazione tecnica, rivelando la presenza di una uscita secondaria sul retro della Casa che e’ stata sempre ignorata dagli inquirenti. Prova di come le indagini siano state superficiali, e di come l’accusa prenda per oro colato le dichiarazioni dei CC. Il presidente del tribunale, Giordana, come al solito, tiene un atteggiamento ostile alla difesa.
19 novembre, la difesa chiede di interrogare alcuni comandanti dei CC, ma questi non si presentano, verranno allora ascoltati due compagni, che racconteranno al tribunale episodi legati alla storia di Sole ed Edoardo. Lunedi’ 29 novembre testimonia il maggiore ROS Casale, interrogato sull’incendio di Caprie. Un anziano comandante che dribla le domande dell’avvocato difensore. Emerge comunque che nessuna indagine e’ stata fatta, ne’ alcuna pista e’ stata seguita all’infuori di quella che coinvolgeva gli occupanti di Collegno.
Altre auto furono segnalate quella notte, una Niva rossa ed una Mercedes, che si muovevano lentamente, a fari spenti, intorno al municipio di Caprie. Testimoni hanno anche segnalato i numeri di targa, e ancora una volta si scopre che non esiste nessuna indagine al riguardo. Interrogare il teste non serve a nulla, il maggiore Casale cambia argomento e illustra il proverbiale “fiuto” dei CC.
NOME DI BATTAGLIA LORENZO
Tocca al maresciallo Merlino, che per primo ha indirizzato le indagini su Silvano, che avrebbe avuto un nome in codice, Lorenzo. La notizia proviene da “fonte riservata”, per cui non si puo’ sapere di piu’ su questo famigerato nome di battaglia. Merlino, all’epoca dei fatti operava a Susa, afferma che le indagini erano una formalita’, perche’ tutti erano convinti che il responsabile degli attentati fosse questo fantomatico “Lorenzo”. Da Lorenzo a Silvano in che modo? Semplice, Silvano abitava in via S. Lorenzo, quindi il misterioso Lorenzo era lui.
Merlino illustra bene il lavoro grossolano e pressappochista degli investigatori: non occorre trovare le prove, ma trovare un presunto colpevole attorno al quale costruire le prove di accusa, dimenticando od ignorando quei fatti che potrebbero nuocere al castello accusatorio. Occorre anche ricostruire lo stile di vita del presunto colpevole, in modo da renderlo compatibile con il ruolo che dovra’ poi sostenere, le persone che frequenta saranno quindi individuati in base al fatto che siano pregiudicati, e catalogati come fiancheggiatori.
Piu’ tardi testimonieranno il cognato e la sorella minore di Silvano, che racconteranno particolari e circostanze dei pedinamenti e intrusioni misteriose a casa di Silvano, a Bussoleno. Si sospetta che nella casa di Bussoleno furono montati microfoni e apparecchi di spionaggio da parte di persone ignote. Due evidenti intrusioni ci furono, nel luglio '96 e nell’agosto '97, da parte di ignoti che presero o lasciarono oggetti... I pedinamenti, continua il cognato, erano evidenti fin dall’agosto del '97. Evidenti a tal punto che nessuno avrebbe potuto ignorarli. Altro che professionalita’! Sembrava che facessero apposta a farsi notare.
Il 6 dicembre Silvano fa una dichiarazione, che dura 4 ore. Parlera’ a lungo di episodi della vita della Casa Occupata. l’udienza termina all’una, e Silvano rientra nella comunita’ solo verso le 17.30. Per alcune ore il blindato della polizia penitenziaria di Ivrea, con dentro Silvano, girera’ per Torino senza motivo apparente. La stessa mattina, in aula e’ presente un compagno del sindacato CNT francese, che sara’ fatto oggetto di pesanti provocazioni. Sempre lo stesso mattino chi si presenta al tribunale per seguire il processo scopre una nuova procedura di identificazione dei presenti: fogli prestampati con su i nomi dei solidali, e a fianco lo spazio per apporre una crocetta (forse dopo cinque presenze si vince un premio, un avviso di garanzia che ti informa che sei indagato per associazione sovversiva...).
REQUISITORIA DEL PUBBLICO MINISTERO
Il 13 dicembre il pubblico ministero Tatangelo, sostenuto da Laudi, tiene la requisitoria in cui svela gli arcani delle tanto vantate prove granitiche. Di fatto non esistono prove sul coinvolgimento dei tre anarchici nelle vicende relative agli attentati e ai sabotaggi in Val Susa, quindi l’accusa parte dal reato che, se fosse loro attribuito, da un lato giustificherebbe la carcerazione che ha portato alla morte Sole e Baleno e dall’altro garantirebbe una pesante condanna di Silvano: il furto e l’incendio al municipio di Caprie. Secondo il PM gli esecutori sono stati senza ombra di dubbio i tre squatter, lo proverebbero i rinvenimenti effettuati durante le perquisizioni avvenute dopo il loro arresto: la stampante trovata a casa dei genitori di Baleno, la saldatrice e alcuni timbri trovati nella casa occupata. Il tutto e’ stato riconosciuto dagli impiegati comunali, in piu’ sia la stampante che la saldatrice presentano un autoadesivo con il numero d’inventario del municipio.
Evidentemente queste prove non sono certe come sembrerebbe, visto che lo stesso PM si premura di dire che, solo nel caso in cui i funzionari di PS preposti alle indagini avessero manipolato tali prove, queste non sarebbero valide. Ovviamente il possesso di una refurtiva non significa automaticamente che il possessore sia anche l’autore del furto, quindi il PM cerca di dimostrare che solo i tre anarchici avrebbero potuto portare tali oggetti nella casa occupata e solamente la sera stessa del furto, come si vede dalle riprese effettuate dalla telecamera nascosta davanti all’ingresso della casa occupata, che mostrano delle persone (non identificabili) mentre scaricano degli oggetti (non riconoscibili) da una macchina. Tali riprese, girate di notte, sono confuse e non provano nulla, ma il PM tiene una conferenza sull’abilita’ conseguita dai poliziotti, abituati agli appostamenti notturni, a vedere al buio e a decifrare correttamente le immagini video. Sull’esistenza di una seconda porta sul retro della casa, non controllata dalle videocamere, egli obietta che, per scaricare la saldatrice (ipoteticamente acquistata dai ladri in epoca successiva al furto), non avrebbe avuto senso usare quella porta. Una volta ammesso il loro coinvolgimento (avvalorato, secondo Tatangelo, anche dalla presenza nella casa occupata di una bomboletta spray di schiuma espansa, simile a quella usata dai ladri per manomettere l’antifurto del municipio), il PM cerca di dimostrare che non si e’ trattato solo di un furto e che l’incendio non puo’ essere stato accidentale ma e’ stato sicuramente doloso. Per avvalorare la sua tesi, egli scova un giornale anarchico, in cui si elencano tra gli altri centri di controllo e di dominio i municipi, per dimostrare che il comune di Caprie (chissa’ per quali ragioni) era il vero obiettivo dei tre anarchici, i quali avrebbero sparso della benzina per terra e appiccato il fuoco.
Il PM ignora (o finge d’ignorare) che in un caso del genere i vapori della benzina avrebbero determinato un’esplosione, che avrebbe dato l’allarme immediatamente e non successivamente al propagarsi delle fiamme. Secondo lui l’esame dei tempi effettuato dai carabinieri - alla stessa ora e su una cinquecento - concorda esattamente con l’ora del rientro dei tre alla casa occupata. Per il PM l’ora dell’inizio dell’incendio (quindi il momento in cui i ladri si sarebbero allontanati) ipotizzato dagli stessi CC (senza ricorrere a nessun perito) e’ preciso. Naturalmente, se cosi’ non fosse e l’incendio fosse scoppiato anche solo 5 minuti dopo, le riprese diventerebbero un alibi per gli squatter che non avrebbero fatto in tempo a rientrare all’ora in cui sono stati ripresi.
Poi Tatangelo passa alla seconda imputazione, quella che dovrebbe collegare tutta la vicenda ai Lupi Grigi. E qui fa la sua rivelazione: SOLE E BALENO NON SONO MAI STATI LUPI GRIGI, non c’entravano nulla con gli ‘attentati’ in Val Susa. Ma Silvano si, lui era un Lupo Grigio: l’unico che, nonostante la serieta’ , l’esperienza e la competenza degli investigatori, sia stato identificato. Lo proverebbero sia la sua partecipazione all’attentato alla cabina della SITAF di Giaglione, sia i famosi volantini che avrebbe gettato dal finestrino della sua auto e che avrebbe recuperato il giorno dopo. L’unica prova della partecipazione di Silvano all’attentato sarebbe la famosa torcia da testa rinvenuta sul luogo, che avrebbe delle tacche presenti anche sulla torcia trovata in casa di Silvano a Bussoleno. Le due torce sono, secondo il PM, ‘molto molto molto somiglianti’. Naturalmente sorvola sul fatto che le tacche sulla torcia dell’attentato sono state repertate solo dopo il sequestro di quella di Silvano. Che Silvano dichiari di non aver mai fatto tacche sui propri attrezzi per il PM non ha alcuna rilevanza: siccome nella casa vi erano molti attrezzi appartenuti al padre, le tacche le avra’ fatte quest’ultimo (morto nell’84, epoca in cui probabilmente tali strumenti, di fabbricazione cinese, non erano ancora commercializzati in Italia).
Tatangelo deve giustificare la storia dei rele’ e della chiave d’accesso in mano agli attentatori quindi afferma che senz’altro l’attentato era opera di piu’ persone e senz’altro i ‘non identificati’ erano persone esperte che conoscevano bene il luogo. Secondo il PM tutti gli attentati e sabotaggi avvenuti in Val Susa sono riconducibili ad un’unica matrice: le varie sigle usate (Lupi Grigi, Val Susa Libera, ecc.) sono state solo un depistaggio per confondere gli inquirenti.
Silvano sarebbe stato un militante di tale organizzazione, lo proverebbero i volantini che gli sono addebitati. Tali volantini (si tratta di tre testi ciascuno in 10 copie) presenterebbero forti analogie, sia per il linguaggio (parole ricorrenti) che per lo stile (l’uso ripetuto dei due punti e il fatto che sono scritti a caratteri maiuscoli mentre e’ minuscolo solo cio’ che e’ compreso fra le parentesi). Altra analogia sarebbe un volantino in cui compare la parola scuola con la Q, errore rinvenuto anche in uno scritto di pugno di Silvano sequestrato durante la perquisizione. Inoltre in un volantino si parla del sequestro Soffiantini, episodio che i tre anarchici avevano commentato in auto, e in un altro vi sono i nomi di alcuni partigiani caduti in Val Susa e Silvano aveva in casa (oltre al Mein Kampf) anche un libro sulla resistenza locale, in cui tali caduti sono citati. Per Tatangelo non vi sono dubbi, Silvano e’ l’autore di tali testi (anche se le perizie effettuate sulle macchine da scrivere della casa occupata e di casa sua hanno dato esito negativo). Lui li ha redatti, lui li ha gettati dal finestrino, lui li ha recuperati il giorno seguente (strano che, poiche’ Silvano non portava guanti ed e’ stato trattenuto oltre 5 ore al fine di manomettergli la vettura, nessun Digos si sia preoccupato di rilevare le sue impronte sui volantini).
E’ evidente a questo punto che il PM, poiche’ due detenuti sono morti durante l’istruttoria, cerchi in tutti i modi di ribaltare, ai fini del proprio castello accusatorio, la nuova situazione verificatasi. Edo e Soledad non gli servono piu’, non hanno mai vissuto in Val Susa ed e’ lui stesso a riconoscere che Sole e’ arrivata in Italia addirittura in epoca successiva all’ultimo attentato. Dopo averli fatti arrestare sotto un cumulo di accuse da ergastolo e dopo aver fatto loro negare per ben due volte gli arresti domiciliari, ora li scarica: da’ loro un’assoluzione postuma dall’accusa di Lupi Grigi (tanto sbandierata dai media all’epoca del loro arresto), ma subito li riutilizza per addossare a Silvano l’accusa di associazione eversiva con finalita’ terroristiche (associazione che evidentemente non potrebbe sussistere in presenza di un solo individuo).
Silvano, ex lupo grigio, si sarebbe unito a loro per costituire un gruppo d’affinita’ clandestino e i tre avrebbero progettato delle azioni che solo il loro tempestivo arresto ha impedito di portare a compimento. L’esistenza di tale gruppo e’ supportata da uno scritto di Alfredo Bonanno in cui viene ipotizzata la costituzione gruppi simili (come se Silvano fosse responsabile di cio’ che altri anarchici scrivono e firmano col proprio nome). A questo punto il PM tira fuori le intercettazioni ambientali (le registrazioni effettuate dalle cimici inserite nelle macchine di Edo e Silvano) da cui vengono fuori solo dei discorsi (che silvano ha definito fantasie in liberta’) su ipotetiche azioni (buttare una bottiglia di sangue in una pellicceria, rompere una vetrina di un Mac Donald, scassare un bancomat, mitragliare gli sciatori in coda ad uno ski-lift, sabotare gli impianti di risalita di un impianto sciistico, incendiare dei locomotori del Tav), azioni che i tre non hanno mai fatto. Il PM deve spiegare come mai i tre anarchici parlavano solo di cose ipotetiche e MAI DELLE AZIONI DI CUI SONO STATI ACCUSATI. Secondo lui cio’ e’ dovuto solamente al fatto che le registrazioni sulle autovetture - visto che gli squatter passavano molta parte del giorno nella casa occupata dove non erano stati installati microfoni - coprono solamente una porzione di tempo limitata.
Altro argomento a sostegno dell’associazione eversiva e’ la Pipe-bomb. Secondo il PM non si tratta di un razzo, ma di un ordigno che si stava preparando per fare un attentato. Il fatto che l’involucro fosse di plastica significa solamente che i tre non volevano uccidere nessuno, ma solo compiere un’azione dimostrativa. Non aveva innesco solo perche’ era ancora in fase di elaborazione, lo proverebbe il fatto che non e’ stato rinvenuto in un angolo ma sul banco di lavoro (come se il banco di lavoro in un posto occupato fosse paragonabile a quello di un’officina Mercedes dove ogni cosa e’ al suo posto). A questo punto (poiche’ di fatto sono le sole cose certe di cui dispone) si intrattiene sui furti a cantieri e magazzini comunali e sulla falsificazione del timbro posto sul bollo della vettura del Pelissero.
Questi piccoli reati in realta’ hanno una loro logica all’interno dell’impianto accusatorio, servono ad aumentare la gia’ pesante richiesta di pena e ad evidenziare uno degli obiettivi per cui e’ partita tutta l’inchiesta: la criminalizzazione del movimento delle occupazioni. Come mai, si chiede Tatangelo, una casa occupata e’ il posto dove sono detenuti refurtiva ed esplosivi? Semplicemente perche’ sono luoghi che godono lo status di EXTRATERRITORIALITA’, per cui la polizia non puo’ entrarvi. Un PM ci pensa bene prima di ordinare una perquisizione, per la turbativa all’ordine pubblico che ne deriverebbe, e gli stessi organi di polizia hanno molte remore ad eseguire il mandato. Giunto alla conclusione dell’esposizione dei capi d’accusa, il PM esplica il teorema che sta alla base di tutta l’inchiesta. Come potrebbe, si chiede, una cosi’ piccola organizzazione, resasi colpevole solo di azioni di cosi’ modesta entita’, compromettere la sicurezza dello Stato? Premesso che nessuna organizzazione, anche la piu’ forte, potrebbe destabilizzare lo stato, che e’ dotato di un’imponente forza in grado di reprimere un simile tentativo, resta il fatto che persone come i tre anarchici sono comunque pericolosi per le istituzioni, anzi, piu’ le loro azioni sono limitate e piu’ ancora (a differenza delle BR che con i loro attentati suscitano esecrazione) possono - a causa del malcontento generale - generare consenso. Quindi vanno duramente repressi.
Forte di questa premessa Tatangelo esige una sentenza politica, che non si giudichino i fatti ma le idee dell’imputato, che non si valutino le risultanze processuali ma la pericolosita’ sociale sua e di tutti coloro che condividono le sue idee e la sua pratica esistenziale.
Il PM chiede 5 anni per furto e devastazione ai danni del municipio di Caprie, 7 mesi per associazione sovversiva, 5 mesi per l’attentato alla cabina elettrica della Sitaf a Giaglione, 4 mesi per detenzione di esplosivi, 3 mesi e 15 giorni per la falsificazione del timbro sul bollo della propria autovettura, 2 mesi per ricettazione, 15 giorni per furto, per un totale di 7 ANNI di reclusione.
Azioni di solidarieta’: in Francia, il 29 Gennaio, una trentina di anarchici occupano la concessionaria FIAT di Cheneuve, issando sul tetto lo striscione “Liberte’ pour Silvano, FIAT complice”.
A Ginevra gli squatter locali, in veste di muratori, edificano tranquillamente un muro davanti al portale del consolato italiano, chiedendo la liberta’ di Silvano e denunciando la montatura.
In Spagna un gruppo di solidali si appende simbolicamente davanti all’ambasciata italiana.
A Torino sfila un corteo di 600 persone: “Il piede di Laudi chiude le porte, chiude le case”
LA SENTENZA
Il giorno della sentenza e’ il 31 Gennaio del 2000, nell’aula bunker di via Bologna, gremita di gente, anche se, per le solite ragioni di spazio, la polizia non permette a tutti di assistere - al massimo 35 persone possono entrare -. Come fa fin dall’inizio chi entra viene schedato e perquisito.
Il giudice Giordana conferma quasi per intero le richieste dei Pm: 6 anni e 10 mesi e’ la sentenza definitiva. L’unico reato che non viene riconosciuto a Silvano e’ un furto. Il resto del teorema viene accolto per intero. Naturalmente non ci si poteva aspettare di meglio...
Fuori dall’aula i celerini cominciano ad insultare pesantemente i ragazzi che hanno gia’ sentito la notizia, ed a sbeffeggiare. All’interno i funzionari Digos cominciano a provocare i presenti: pretendono di fermare quelli che al momento della lettura della sentenza hanno urlato in faccia ai giudici il loro disgusto.
Ne nasce un piccolo parapiglia che si incendia non appena i ragazzi del presidio in strada si accorgono delle provocazioni. Tra lanci di bottiglie, transenne che volano ed insulti pesanti i presenti si allontanano dal tribunale. A questo punto scatt la carica degli agenti, che dal mattino si scaldavano. Il questore Izzo aveva predisposto il divieto di sosta con rimozione forzata in tutto il tratto di via Bologna e le vie adiacenti, per rendere piu’ facile il pestaggio. Carica nel tipico stile sbirresco, con colpi dati alla schiena ed alla gente caduta per terra. In totale 8 fermati e un po’ di gente che deve ricorrere alle cure mediche, tra cui il cognato di Silvano colpevole di non essere fuggito davanti alla polizia. Una ragazza pestata da un gruppo di poliziotti avra’ una vertebra fratturata. Il pestaggio di un altro squatter da parte degli sbirri ripreso dal balcone da un abitante di una casa e’ stato messo sul sito di Tuttosquat. La carica della polizia e’ lunghissima, tanto che i ragazzi arrivano fino all’Asilo Occupato. L’Asilo ? cinto d’assedio, i rmanifestanti si barricano dentro e salgono sul tetto. Gli sbirri si mantengono a distanza. Radio Black Out dirama immediatamente l’appello, altri giungono in solidariet^, un presidio di circa un centinaio di persone si raduna sotto la casa occupata, vengono fatte barricate con i cassonetti nelle vie adiacenti, per contrastare un eventuale attacco. Dopo qualche ora la tensione cala, lentamente gli sbirri si ritirano. Alcuni giornalisti di Rete 7 arrivano per fare lo scoop. L’emittente ha un accordo commerciale con Mediaset per le riprese di cronaca torinese e il padrone di Arcore vuole qualche immagine degli scontri avvenuti al processo Pelissero da mandare ai suoi TG. I malcapitati giungono sul posto quando tutto ? finito, la polizia se n’? gi^ andata, rimane solo la rabbia per l’ingiustizia subita. Sono subito cacciati via, vola uno schiaffo e - nella confusione - i cronisti perdono la videocamera.
2¡ CORTEO
Intanto nel movimento torinese continua a salire la rabbia per la sconfitta subita e nonostante il corteo dela settimana prima viene decisa una nuova manifestazione contro la repressione e per la liberazione di Silvano. La manifestazione si terr^ il sabato 5 febbraio, partir^ ancora una volta dal Balon e vedr^ ancora una volta un massiccio spiegamento di polizia, il piu’ denso in assoluto, che blinder^ completamente il corteo, 500 persone circa impedendo ogni comunicazione tra i manifestanti e la citt^. Il lavoro lo completano i media raccontando di carrettate di armi al corteo e di ineesistenti liti fra anarchici ed autonomi.
Anche stavolta il manifesto che indice il corteo risulta premonitore “Torino violenta”, come quello che pochi giorni prima chiamava all’ultimo atto del processo “Invito alle danze”.
LA TELECAMERA
Il 28 febbraio, alle 6,30 del mattino, partono le perquisizioni in tre squat: Asilo, Barocchio e Cascina. Gli sbirri -passamontagna calato -, dopo aver forzato le porte, penetrano all’interno, svegliando gli occupanti e rinchiudendoli in una stanza per poter muoversi indisturbati. Solo alla Cascina alcuni ragazzi riescono a salire sul tetto. Alla richiesta di poter assistere alle perquisizioni viene risposto: “Questa non ? una casa normale, non siete residenti”. Alla faccia dell’extraterritorialit^ tanto sbandierata da Tatangelo al processo di Silvano! Naturalmente quando la perquisizione finisce non viene rilasciato alcun verbale. Le leggi esistono solo per i fessi.
Gli sbirri se ne vanno, ma non a mani vuote: un ragazzo dell’Asilo e uno del Barocchio, Andrea e Mauro, sono ammanettati e portati via. Oltre a loro sono arrestati nelle loro abitazioni altri due compagni, Marco e Pep?, quest’ultimo redattore di Radio Black Out; i quattro vengono rinchiusi nel carcere delle Vallette mentre altri due, Cristian e Valerio, sono attivamente ricercati. Tutti sono accusati di rapina. Le riprese, effettuate dalla polizia annidata davanti all’Asilo il giorno della sentenza di Silvano, li inchioderebbero come gli autori del furto della videocamera dei giornalisti di Rete 7. I mandati sono stati firmati dal PM Onelio Dodero, che ha condotto l’inchiesta. La telecamera non viene trovata durante le perquisizioni.
Immediatamente giornali torinesi titolano: “Quattro squatter arrestati per rapina”. Le case occupate rispondono con il manifesto “Rapiti quattro squatter da uomini mascherati”.
Viene organizzato un raduno di protesta contro gli arresti davanti all’universit^, a Palazzo Nuovo, dove si tiene anche un concerto in strada.
In Francia una trentina di persone del gruppo Contre toutes le prisons fa irruzione nella sede parigina dell’ANSA, richiedendo l’immediata liberazione dei quattro squatter detenuti a Torino.
La redazione di Tuttosquat convoca una conferenza stampa in una libreria torinese, dove si annuncia che sar^ mostrata ai giornalisti la videocamera mancante.E’ una burla. Ai giornalisti di tutte le testate presenti verra’ consegnato un pacco contenente una videocamera di cartone.
Il 12 marzo le case occupate organizzano un presidio con sound-system davanti al carcere delle Vallette, dove sono rinchiusi gli arrestati.
Il 13 i quattro compaiono davanti al tribunale della libert^, che concede la scarcerazione: saranno liberati dopo quindici giorni di galera.
STRALCIO DELLA SENTENZA
A meta luglio viene depositata la sentenza del giudice Giordana nei confronti di Silvano, in cui si afferma: “Pelissero, con i suoi coindagati noti (deceduti nel corso delle indagini) e altre persone non identificate si ? concretamente attivato non solo per la diffusione nel territorio della Valsusa di messaggi espliciti nell’incitare la popolazione locale alla lotta armata e violenta, in un ottica di eversione dell’ordinamento nazionale, ma anche per attaccare strutture materiali e sedi di rappresentanze istituzionali”.
Ultima ciliegina della repressione ? una denuncia per vilipendio alla magistratura che, a fine luglio, arriva a 14 che assistevano al processo dalla Procura di Milano: sono accusati di aver insultato Giordana Laudi e Tatangelo il giorno della sentenza.
IL PROCESSO D’APPELLO
Il 18 gennaio 2001, presso la seconda sezione della Corte d’Appello del tribunale di Torino, Silvano Pelissero viene processato in secondo grado. Il presidente ? Luigi Acordon, grande amico di Laudi.
Sfidando il ridicolo, il processo si svolgera’ tutto in un solo giorno: l’udienza dura dalle 9 del mattino alle 7 di sera, con appena un quarto d’ora di pausa per il pranzo. Per i giudici, veri stacanovisti della repressione, ? importante non rinviare assolutamente e giungere al pi? presto ad una condanna, in modo da evitare la scadenza dei termini, nel qual caso Silvano verrebbe scarcerato a fine mese. L’imputato, ormai stanco di continuare ad essere oggetto di una farsa assurda che prosegue ormai da quasi tre anni e conscio del fatto che tanto la sentenza ? gi^ stata decisa, non compare in aula.
La difesa presenta due richieste: una, di una perizia approfondita sul luogo del Municipio di Caprie, per determinare con esattezza le cause e l’ora d’inizio dell’incendio e, l’altra, di una nuova perizia sulla pipe-bomb. I giudici della corte d’appello, dopo essersi riuniti in camera di consiglio, respingono entrambe le richieste.
Il PM Bruno Rapetti riconferma la richiesta di pena dei colleghi Laudi e Tatangelo, i difensori spiegano perchŽ secondo loro il processo di primo grado non ? stato equo. La corte, dopo un’ora di raccoglimento, emette la sentenza: 6 anni e 1 mese.
A causa dell’ anticipo della lettura, in aula, nello spazio esiguo riservato al pubblico, gia’ intasato da sbirri in divisa e non, sono presenti poche persone, tra cui alcune gi^ denunciate per oltraggio alla fine del processo di primo grado. Comunque, uno dei presenti non riesce a tacere e protesta ad alta voce: immediatamente viene fermato dalla DIGOS e denunciato.
L’unico riconoscimento alle tesi difensive ? l’assoluzione per fabbricazione d’ordigno esplosivo: viene confermato che la pericolosissima pipe-bomb era soltanto un fuoco d’artificio. La pena ? dunque ridotta di 9 mesi.
Viene quindi a cadere l’unica arma della famigerata banda armata trovata nella Casa Occupata di Collegno, mentre si conferma il castello delle accuse portate avanti dai due PM Laudi e Tatangelo, soprattutto quella di associazione eversiva con finalit^ terroristiche (art. 270 bis c. p.) che fa da collante a tutte le altre incriminazioni, inasprendo la pena. Ma venendo a mancare l’unico mezzo atto ad offendere trovato nelle mani dei tanto propagandati “Lupi Grigi”, non si riesce pi? a capire l’esistenza di questa organizzazione terroristica, composta da solo tre persone (di cui una, Soledad, giunta in Italia dopo gli attentati contro il TAV), che si proponeva di scardinare le fondamenta dello Stato armata solamente di un razzo e alcune bombolette spray antistupro.
Laudi e Tatangelo possono stare tranquilli: anche in Appello i soliti soci promuovono i loro assurdi teoremi. La magistratura torinese, ignorando gli argomenti della difesa dell’unico imputato sopravvissuto, si ? dimostrata solidale con i colleghi. Mentre i padroni del TAV si accingono a creare un altro disastro ambientale in Val di Susa il treno ad alta Velocit^ ha gi^ fatto le prime vittime: due anarchici sotto terra e uno in galera. un buon esempio per chi volesse ribellarsi ai soprusi in valle.
Ad ottobre si tiene il processo, con rito abbreviato, ai sei ragazzi accusati del furto della videocamera: cinque di loro sono condannati ad 1 anno mentre il sesto, accusato anche di aver dato uno schiaffo ad uno degli operatori, ? condannato ad 1 anno e 2 mesi.
MANIFESTAZIONE DELLA VALLE A TORINO
Il 29 gennaio 2001, in occasione dell’incontro di Stato italo-francese sul TAV che si tiene nel capoluogo piemontese, gli squatter torinesi scendono in piazza, assieme agli abitanti della Val Susa che contestano il TAV, con due striscioni: Sole e Baleno suicidi ad alta velocit^ e Silvano Libero, che concludono la manifestazione.
“Non c’? bisogno di aspettare. Le prime vittime del Treno ad Alta Velocit^ (o capacit^) ci sono gi^”, c’e’ scritto sul volantino distribuito nell’occasione.
Ai primi di novembre Silvano ottiene il permesso di uscire (percorrendo il “tragitto pi? breve”) per recarsi al lavoro presso una cooperativa situata sulla collina torinese; a tale scopo chiede e ottiene il trasferimento al SERMIG di Torino.
IL PROCESSO DI CASSAZIONE
Il 21 novembre si terr^ Roma il processo in Cassazione, ultimo atto di questa farsa. La situazione politica ? mutata dal 5 marzo del 1998 quando venne arrestato assieme a Baleno e Sole. Al governo la destra liberticida si ? succeduta alla sinistra liberticida. La prima, a differenza della seconda, non ha nemmeno bisogno di salvare la faccia. L’esecuzione sommaria di Carlo Giuliani durante una sparatoria di carabinieri, a Genova nel corso dei disordini contro il G8, sta a dimostrarlo. Anche lo scenario internazionale, dopo l’attacco alla Twin Towers, ? nuovamente percorso da venti di guerra ma soprattutto d’abbattimento doi ogni liberta’ individuale a favore di grandi profitti. Il fantasma di Osama Bin Laden agita i sonni di tutti gli idioti. Ormai l’attacco all’Occidente attraverso mezzi tecnologici sofisticati e armi batteriologiche ? iniziato. Buste ripiene di antrace (il pericoloso bacillo del carbonchio) arrivano un po’ dappertutto. Anche Laudi ne ? colpito.
Il 20 novembre un gruppo di giovani si presenta al nuovo Palazzo di giustizia (quello con i vetri rotti per intenderci) per consegnare brevi manu all’indefesso servitore dello Stato una mastodontica busta gialla a lui indirizzata da cui fuoriesce copiosamente una strana polvere bianca che segna la scalinata del palazzo di giustizia. Il mittente ? oscuro e misterioso: Antrax Squatter.
Il giorno dopo, a Roma, la corte di cassazione esamina il caso di Silvano, difeso dall’avvocato Simonetta Crisci. All’esterno del tribunale vi ? un presidio di solidariet^ degli anarchici romani. Anche a Firenze c’e’ un presidio partecipato.
I giudici romani non avvallano le porcate dei loro colleghi torinesi; persino il procuratore generale si dimostra favorevole agli argomenti della difesa, lo stesso apparato repressivo si contraddice pesantemente. Le tesi che sostengono i processi della banda Laudi-Tatangelo-Pironti-Giordana-Acordon sono invalidate. I teoremi escogitati dai due PM si sciolgono in nulla.
Non associazione terroristica con finalit^ eversive ma solamente un gruppo di persone che per la propria sopravvivenza praticava furti in cantieri e supermercati, come ha sempre sostenuto Silvano. Per questi reati Silvano ha diritto ad una revisione della sentenza da parte della corte d’appello che questa volta dovra’ essere emessa non piu’ nei confronti di un temibile ecoterrorista ma solamente per giudicare un “delinquente comune”. Una sentenza che, anche se sar^ riconosciuto colpevole dell’incendio di Caprie, - cadute le aggravanti per fini terroristici - dovrebbe risolversi in una condanna che qualche giudice acrobata fara’ combaciare con i piu’ di tre anni e mezzo gi^ scontati. Nell’attesa del nuovo giudizio potr^ essere finalmente liberato da ogni privazione della libert^ personale.
Lentamente la verit^ comincia a farsi strada, anche se, questa volta, i giornali non occupano pi? le prime pagine per dare la notizia. Sembrano molto piu’ intenzionati a censurarla dissimulandola. La Stampa pubblicher^ un articoletto in ottava pagina della cronaca cittadina, La Repubblica un trafiletto di sedici righe. Il Messaggero di Roma dove si e’ svolto il processo di cassazione, tacera’ la notizia.
Del resto, a chi pu~ interessare il fatto che a Silvano Pelissero hanno rovinato l’esistenza, rubato quasi quattro anni di vita, demolito la sua immagine, distrutto tutto ci~ che possedeva, minato i rapporti con i familiari, privato per sempre dell’affetto degli amici pi? cari con cui viveva nella Casa occupata, solamente per far fare un passo in avanti alla carriera dei due PM Laudi e Tatangelo e ad un pugno di sbirri sfaccendati?
E Sole e Baleno? Se non erano colpevoli di quanto li si accusava, perchŽ sono morti?
PerchŽ sono finiti in galera con accuse cos” pesanti? PerchŽ, se avevano solamente rubacchiato in cantieri e supermercati, come dovevano ben sapere i loro accusatori e giudici, si ? negato loro ogni beneficio, ogni istanza di scarcerazione? Fino all’irreparabile?
Ai padroni del TAV che con il loro progetto di treno veloce, carico di miliardi, hanno stritolato la vita dei nostri amici; ai politici di destra e di sinistra che hanno permesso tutto ci~, ai giudici che li hanno fatti incarcerare; agli sbirri che li hanno controllati, ripresi, intercettati, pedinati, ammanettati, perquisiti, vessati; a tutti i giornalisti e opinionisti, filosofi, romanzieri, politologi, sociologi, finti anarchici, criminologi,pentiti,ex militonti, giuristi, registi, psicologi, preti, giullari, tuttologi di ogni genere che hanno vomitato parole, dotti pareri, lucide analisi per giustificare l’operato del Potere, ribadiamo ancora e per sempre, come dal primo giorno dopo la morte di Edo: ASSASSINI!
PERLE DI PORCI
MAURIZIO LAUDI (Pubblico Ministero): ‘Abbiamo prove granitiche’
MARCELLO TATANGELO (Pubblico Ministero): ‘Mi dispiace tantissimo per quel ragazzo’.
GIOVANI DI AN IN CORTEO: ‘Soledad dalle marchette alle Vallette’.
GIANNI VATTIMO (Filosofo): ‘Non ci si uccide dopo 30 giorni di carcere’.
REMO URANI (Direttore di carcere): ‘...l’istituto presta sempre una grande attenzione ai detenuti’.
GIANNI VATTIMO: ‘Non c’e’ niente da capire’.
ANGELO BOLAFFI (Filosofo della Politica): ‘Si’, e questa e’ naturalmente una tragedia. Pero’ e’ stato un suicidio, non un omicidio. E se certo ha avuto un peso anche il disagio del carcere, non si puo’ dire che il carcere sia stato l’unica causa. Vi sono fragilita’, o depressioni, che non hanno neppure bisogno del carcere per scatenarsi ... In una parola: cio’ che gli squatter hanno costruito sulla morte del loro compagno, non e’ la verita’, ma una sorta di affabulazione da ragazzi della via Paal’.
MAURIZIO LAUDI: ‘Domani, cioŽ lunedi’, io saro’ dietro alla mia scrivania, nel mio ufficio, al lavoro come sempre’.
GIORGIO BOCCA (Giornalista): ‘Disgraziati, sventurati, anomali’.
VITTORIO FELTRI (Giornalista): ‘Oddio, qualche disagio in questi tipetti c’e’ di sicuro: di giovanile poco o niente. Massari aveva 35 anni, il suo socio ancora detenuto 36 e il portavoce del gruppo viaggia intorno ai 40, eta’ nella quale molti connazionali hanno pagato meta’ del mutuo della casa, iscrivono i figli all’universita’...’.
MAURIZIO LAUDI: ‘Marcello mi ha detto che sembrava una ragazza solida’.
GIANNI VATTIMO: ‘Noi siamo convinti che molti di loro, se trovassero scuole migliori e piu’ numerose possibilita’ di inserimento nel mondo del lavoro sarebbero piu’ contenti... Anche le tentazioni autodistruttive, e le stesse scelte utopiche di una vita totalmente alternativa finirebbero per interessarli di meno. Di fronte al suicidio di Maria Soledad Rosas ci sentiamo certamente colpevoli come di fronte ad ogni suicidio; non abbiamo saputo rendere il mondo e la vita sufficientemente significativi da far desiderare di rimanervi, anche a costo delle difficolta’ che comporta ogni adattamento all’esistenza sociale’.
GIORGIO BOCCA: ‘Meglio stare alla verita’ lapalissiana che per fare del terrorismo occorrono comunque dei terroristi piu’ o meno teleguidati... Ma quello che, credo, semina piu’ incertezze fra giovani di modesta cultura e di modeste esperienze culturali e’ la mancanza di un nemico definibile, riconoscibile, da combattere come si e’ sempre fatto con associazioni umane’.
ANTONIO MARINI (Giudice): ‘Si tratta di gruppi costituiti da 2-3 persone, spesso marito e moglie, chepreparano azioni dirette a disarticolare le strutture dello Stato. Secondo me, sono la nuova frontiera del terrorismo’.
CARLO FRUTTERO (Opinionista): ‘Finche’ la degenerazione costringera’ a mandare un Bava Beccaris? Non e’ la soluzione ma si arrivera’ li’. (...) Squatters, albanesi, spacciatori sanno con perfezione di non rischiare praticamente nulla. E’ una pacchia: il limite non esiste’.
INDRO MONTANELLI (Giornalista): ‘Ho seguito con un certo interesse (...) quanto si e’ scritto in questi ultimi giorni sugli squatter e sui loro pacchi bomba. (...) La politica del ‘dialogo’ non ha mai condotto a nulla. Possiamo praticarla con lo squatterismo finche’ non e’ criminalita’. Ma quando ricorre al pacco bomba lo diventa, e come criminalita’ va trattato. Con quali mezzi? Chiedera’ qualcuno. Con quelli che non abbiamo, sono costretto a rispondere’.
FRANCO BERARDI detto BIFO (liderino dell’autonomia annata '77): “Sono come i talebani”
ROBERTO SANDALO (pentito dell’organizzazione combattente comunista Prima Linea):"Gli squatter a Torino inalberano striscioni con scritte che richiamano al secessionismo come Val di Susa libera, Padania libera”.
DARIO FO (giullare di Stato, profeta della Padania e premio Nobel): “beceri anarcoidi, avete rovinato tutto”.
FRANCA RAME (giullara di Stato): “Ma che anarchici sono solo ignoranti e sbandati”
MAURIZIO LAUDI: “Non siamo riusciti a capire il perchŽ di gesti tanto tragici. Siamo rimasti dolorosamente colpiti da quelle due morti inspiegabili”.
CARABINIERI della Valsusa: “Le nostre tesi devono reggere sino in Cassazione”.
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