domenica 26 giugno 2011

Rifuggire o rifugiarsi


Riempirsi la bocca di cadaveri smette di essere pura espressione metaforica e diventa cruda realtà, quando la bocca in questione è quella maleodorante delle istituzioni. Bisogna riuscire a scavalcare la vergogna per considerarsi Vicino a chi fugge, ogni giorno, in tutto il mondo, quando in realtà essere vicino a questi uomini e queste donne assolve a una sola funzione: quella di gendarmi.
Solo una straordinaria iperbole del significato consente di parlare di accoglienza dei rifugiati a dei rappresentanti istituzionali, che, in quanto anello di una catena governativa, hanno delle enormi responsabilità nel creare e riprodurre costantemente le cause che portano milioni di individui in tutto il mondo a fuggire. Persecuzioni, guerre, carestie, delocalizzazione produttiva, catastrofi ambientali, povertà, mancanza di acqua e cibo sono tutte cause profondamente sociali che hanno la loro radice e la loro genesi nel capitale transnazionale sostenuto e salvaguardato dai governi, primi tra tutti quelli del mondo industrializzato. In una parte del mondo si creano le condizioni che costringono a fuggire e dall’altra quelle che costringono a morire, tramite i pattugliamenti in mare e la blindatura dei confini; da una parte si tortura nelle prigioni e dall’altra nei CIE. Per coloro che si ostinano a non voler crepare, per gli iloti e i diseredati del capitale che, aggrappati alle loro speranze, toccano il sacro suolo occidentale, si apre solo un’altra fase di carcerazione e schiavitù, di cui il meccanismo della “protezione” ai rifugiati è parte integrante. È proprio la classificazione giuridico-statale tra richiedenti asilo e non, infatti, a creare la figura del “clandestino”, dello straniero povero senza i documenti in regola, per cui per ogni “rifugiato” che istituzioni ed associazionisi vantano di aver “protetto”, ci sono migliaia di immigrati che – si omette di dire – sono rinchiusi in campi, in attesa di essere deportati nel luogo, e nelle condizioni, da cui sono fuggiti.
E per coloro che non vengono deportati, i “clandestini”, si aprirà un futuro all’insegna dello sfruttamento e della schiavitù salariale. Costretti, come ogni clandestino, a nascondersi, alimenteranno una enorme massa di forza lavoro a bassissimo prezzo pronta ad essere spremuta sul mercato del lavoro, accettando condizioni di sfruttamento che nessun altro è disposto ad accettare. Il recente caso degli immigrati impiegati nell’installazione di campi fotovoltaici e quello che si ripete ogni anno nelle campagne per la raccolta delle angurie sono esemplari di un passato che si ripete sempre uguale nelle sua diversità. A distanza di due secoli, dall’Alabama al Salento, dai campi di cotone a quelli di fotovoltaico, l’essenza schiavista del capitalismo continua a riprodursi tal quale.
E in mezzo a tutto ciò? In mezzo ci sono gli artisti… Basterà intitolare un disco “CPT – Centro di Permanenza Temporanea” per eliminare questi lager dalla storia dell’umanità, salvo poi collaborare attivamente, anche loro, con le istituzioni che li hanno creati?
Al di fuori, invece, ci siamo noi e coloro che vorranno fare la nostra stessa scelta di campo. Coloro che decidono che è meglio rifuggire iniziative di questo tipo, all’insegna dell’ipocrisia e della carità pelosa, anziché rifugiarsi in esse per sciacquare una coscienza poco pulita.
Alcuni complici di John Brown

http://www.finimondo.org/node/311

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