da: Informa-azione.
riceviamo anonimamente e inoltriamo:
I puntini sulle i
Alcune riflessioni a proposito ed in risposta alla rivendicazione FAI ed alle susseguenti chiacchiere mediatiche.
Inevitabile, è prendere parola nel
momento in cui si viene così direttamente chiamati in causa e dai
cosiddetti “anarchici informali” e dai media tutti. Probabilmente quanto
diremo susciterà altre polemiche ma, sinceramente, crediamo che queste
avrebbero dovuto esserci di già molto tempo fa.
Insopportabile: l’essere presi tra due fuochi. Da una parte giornalisti, politici e giudici che
speculano su presunti “brodi di coltura”, su fantomatici passaggi che vedrebbero un salto di qualità fra la lotta sociale, di strada – fatta di contestazioni, manifestazioni, azioni, e di tutta la molteplicità di pratiche che la fantasia può mettere a disposizione – e, dall’altra, aspiranti lottarmatisti, ridotti alla parodia di se stessi, che arrivano a sparare per poi dedicare oltre la metà della rivendicazione del gesto a polemiche interne al movimento anarchico, quasi che lo scopo non fosse la sua dimensione politica o sociale (ammettendo che lo possa essere) ma il dimostrare di essere più “puri”di qualcun altro, più anarchici, più duri, più coraggiosi. Insomma da una parte si prepara la forca e dall’altra si continua a rimestare la merda nel proprio stagno.
speculano su presunti “brodi di coltura”, su fantomatici passaggi che vedrebbero un salto di qualità fra la lotta sociale, di strada – fatta di contestazioni, manifestazioni, azioni, e di tutta la molteplicità di pratiche che la fantasia può mettere a disposizione – e, dall’altra, aspiranti lottarmatisti, ridotti alla parodia di se stessi, che arrivano a sparare per poi dedicare oltre la metà della rivendicazione del gesto a polemiche interne al movimento anarchico, quasi che lo scopo non fosse la sua dimensione politica o sociale (ammettendo che lo possa essere) ma il dimostrare di essere più “puri”di qualcun altro, più anarchici, più duri, più coraggiosi. Insomma da una parte si prepara la forca e dall’altra si continua a rimestare la merda nel proprio stagno.
Immorale. E’ farsi fare la morale su come un anarchico dovrebbe agire per essere “degno” di questo nome.
Indagati. Da una parte dalla questura
che, da anni, preme affinché si riesca anche in questa città ad ottenere
l’arresto di diversi anarchici e libertari per la solita “associazione a
delinquere con finalità eversive” e, dall’altra, dalla neo avanguardia
federata che ci spia, evidentemente, pronta a misurare quanto tempo
passiamo in “salotto”, cosa facciamo la sera e quanto sia radicale ciò
che diciamo e facciamo quando scendiamo in strada.
Innanzitutto. Noi a Genova in questi anni
siamo scesi in strada e abbiamo partecipato a diverse lotte sociali,
abbiamo organizzato manifestazioni e contestazioni, abbiamo occupato e
agito, ci siamo “mossi” col sole e con la luna, non perché riteniamo
questo un pezzo di un percorso graduale che, su una presunta linea
retta, porta dal volantinaggio alla “lotta armata”, ma perché pensiamo e
crediamo che questo è il nostro modo, quello che riteniamo più corretto
e coerente con le nostra idee (…e ci dispiace se queste non combaciano
con quelle dei “celoduristi dell’anarchia”).
Insieme. E insieme non significa cercare
consenso, non significa obbligare la gente ad applaudire o fischiare,
non significa dire “o con noi o contro di noi”. Significa essere
complici per un momento, per un pezzo di strada, ognuno apportando il
proprio contributo e le proprie idee. Non è “complicità” quella che
prevede un “pensiero unico”, che non coglie le potenzialità e la
bellezza delle diversità che riescono a dialettizzarsi intorno ad una
medesima istanza. Per gli “anarchici federati informali” complicità
significa sposare acriticamente i loro metodi e le loro (scarse) analisi
sociali, pena l’essere indicati come politicanti, riformisti, anarchici
da salotto, collaborazionisti.
Insurrezione. Alzarsi e ribaltare il
tavolo dei vincoli e delle istituzioni sociali. Questo lo si fa con la
condivisione e la partecipazione attiva delle persone, ognuno con i
propri mezzi ed i propri tempi. Sentirsi sfruttati fra gli sfruttati,
oppressi fra gli oppressi, pensare e lavorare affinché tutti insieme si
possa rovesciare le classi dominanti nell’interesse di tutti. Costruire
una società nuova con il contributo e la partecipazione di ogni
individuo. Questo, magari tagliato un po’ con l’accetta, è l’idea che
abbiamo di insurrezione e di rivoluzione. Se la società futura che “gli
sparatori” hanno in mente è quella di chi guarda l’altro dall’alto in
basso, di chi disprezza tutti come potenziali “complici”, beh, allora
non combattiamo dalla stessa parte della barricata.
Imprescindibile è, dunque, per noi il
rivendicare le nostre pratiche ed i nostri contenuti, le lotte che
abbiamo portato avanti in questa città, come una scelta precisa che
nulla ha a che vedere con salti in avanti o indietro. Se volevamo fare
il gruppuscolo armato l’avremmo fatto, e questo probabilmente ci sarebbe
costato meno in termini repressivi e di controllo. Si sa: inviare ogni
tanto mortaretti per posta o fare la bua al polpaccio di un responsabile
del cancro nucleare, col nome sull’elenco telefonico e senza scorta,
può essere decisamente meno rischioso che ostinarsi ad andare avanti,
magari ricominciando cento volte, come individui che si sentono parte
del mondo e non al di sopra di esso. Quindi continueremo sulla nostra
strada, consapevoli che l’obiettivo non è togliere il monopolio della
violenza allo Stato per prenderselo per sé ma far sì che, se necessario,
la violenza divenga diffusamente arma di difesa ed attacco degli
oppressi tutti.
Inconscio, dei neo avanguardisti. Nel
leggere di “piacere ad armare il caricatore”, del “confluire di
sensazioni piacevoli”, di armonia con la natura e nichilismo, più varie
piccole confessioni da rotocalco per ragazzi, ad una prima analisi, a
legger bene e pensar male, appare evidente che più che la fede che
animava i nichilisti russi ci si trovi di fronte ad un disagio che ha
più a che fare con traumi adolescenziali mal risolti che con la volontà
di rovesciare lo zar per aprire la strada al popolo. Il mal celato
feticismo per la scoperta dell’arma da fuoco e l’apologia per il proprio
coraggio (sino alla galera ed alla morte) ci rimandano ad una
dimensione del martirio che con la libertà e l’emancipazione hanno poco a
che fare, anche perché escludiamo categoricamente che nell’aldilà ci
attendano fiumi di miele e, per i maschietti, 99 vergini.
Insensibilità. La violenza rivoluzionaria
può essere una “tragica necessità”, e certamente non siamo qui a
piangere per la gamba di un uomo che, lavorando attivamente nella
diffusione del nucleare, ha gravi responsabilità nella distruzione del
pianeta e nell’assassinio di tantissime persone. Tuttavia, dalla
consapevolezza di una tragica necessità all’esaltazione del piacere per
l’arma, passa la differenza tra quella che storicamente è stata e che
noi chiamiamo giustizia sociale e quella che, nell’attuale situazione
storica, per la rivendicazione che si è data, si è mostrata come pura
espressione di rancore settario.
Incoerenza. Forse i nostri “nuovi
anarchici” non se ne sono accorti ma, mentre loro scrivono di voler
“radicalizzare il conflitto”, nelle strade d’Italia e d’Europa il
conflitto si sta già radicalizzando da sé, senza bisogno di presunti
illuminati a dare l’esempio. In tutti i casi, quello che ci chiediamo è:
che cosa ha a che vedere questa visione “azzoppata” del nichilismo con
il conflitto sociale (fenomeno allargato per definizione)? L’idea del
conflitto sociale e della rivoluzione come fenomeno prettamente ed
esclusivamente militare è cosa superata da oltre un secolo. E’ chiaro,
crediamo per (quasi) tutti che sul piano meramente militare chi detiene
il potere ha già vinto. Se fosse semplicemente il possesso delle armi a
stabilire le possibilità di cambiamento allora potremmo di già darci per
spacciati. L’equazione pistola=radicalità non sta in piedi da nessun
punto di vista, è soltanto una visione auto celebrativa utile a
confermare le tesi della polizia. Nelle lotte
sociali e partigiane non vi è alcuna gerarchia di mezzi, in alcuni casi possono essere utili le armi, in altre gli scritti e le parole, a volte entrambe, a volte altro ancora. Ciò che conta è la coerenza fra mezzi e fini. Solo l’alzare la testa di tutti gli oppressi può spazzare via l’attuale sistema sociale, e non è implicito né esclusivo che questo debba avvenire “militarmente”.
sociali e partigiane non vi è alcuna gerarchia di mezzi, in alcuni casi possono essere utili le armi, in altre gli scritti e le parole, a volte entrambe, a volte altro ancora. Ciò che conta è la coerenza fra mezzi e fini. Solo l’alzare la testa di tutti gli oppressi può spazzare via l’attuale sistema sociale, e non è implicito né esclusivo che questo debba avvenire “militarmente”.
Il bue… che dice cornuto all’asino. Visto che gli autori del “noto gesto” hanno la pretesa di
giudicare la nostra e l’altrui coerenza, facciamo notare che il sottointeso del suddetto gesto
assomiglia ad un “colpirne uno per educarne cento”, pratica intimidatoria che forse sarà stata inglobata da quella che i “federati” chiamano “nuova anarchia”, ma che di certo non fa parte della tradizione anarchica a cui noi, irriducibili romanticoni, piace rimanere fedeli: vale a dire che si spara per fermare concretamente un’ingiustizia e non per avvertire e/o storpiare qualcuno.
giudicare la nostra e l’altrui coerenza, facciamo notare che il sottointeso del suddetto gesto
assomiglia ad un “colpirne uno per educarne cento”, pratica intimidatoria che forse sarà stata inglobata da quella che i “federati” chiamano “nuova anarchia”, ma che di certo non fa parte della tradizione anarchica a cui noi, irriducibili romanticoni, piace rimanere fedeli: vale a dire che si spara per fermare concretamente un’ingiustizia e non per avvertire e/o storpiare qualcuno.
Individuo, cioè la persona nella sua
complessità, interezza, diversità e nelle sue relazioni. Vale per noi e
vale per il nostro nemico. Non si spara mai “sulle divise” ma sempre
sulle persone. Nel ridurre la persona ad un mero simbolo si compie
un’operazione totalitaria, si trasfigura l’umano in una responsabilità
e, così facendo, la responsabilità di cui l’individuo si prende carico
diviene la sua interezza, vale a dire il mostro da abbattere, il nemico
da punire. Qui non si tratta di sparare o non sparare ma di smetterla di
ragionare in termini di simboli. Colpire dove più nuoce non dovrebbe
significare colpire nel modo più simbolico o spettacolare, più semplice o
meno rischioso, ma dove concretamente è possibile fermare
l’ingiustizia, inceppare gli ingranaggi della morte. Nel colpire le
responsabilità che le persone si assumono nel proprio ruolo noi vediamo
il superamento di un ostacolo, la fine di una nocività, e non – come si
evince dalla rivendicazione degli “anarchici informali” – il punire una
persona. Non siamo giudici, siamo rivoluzionari.
Irredentismo. Di una certa retorica e
simbologia “dannunziana” ne faremmo volentieri a meno: l’apologia del
“bel gesto”, i movimenti interiori dell’anarchico nuovo, un certo
sentimentalismo protoromantico e l’autocompiacimento estetizzante li
lasceremmo volentieri ad un passato che, oltretutto, non ci appartiene.
Del resto, cari “compagni”, non avete preso Fiume ma, se non ve ne siete
accorti, c’è solo un ingegnere con la stampella per il prossimo mese.
Già la prosa futuristaindividualista era imbarazzante per i suoi tempi,
diciamo che riproporla oggi, in peggio, non è certamente un’urgenza.
Informalità. Non è obbligatorio usare i
termini solo perché abusati nel milieu anarchico. Se l’informalità
veniva posta (anche) in antitesi al lottarmatismo in un periodo in cui
le BR tenevano la scena, allora non è che basta non essere come le BR
per “essere informali” o determinare un’organizzazione informale. Quando
i “nostri attentatori” ci piazzano una rivendicazione oggi, e ieri
altri “federati” si addentravano in uno sproloquio, ambientato a
Paperopoli, scritto con tanto di descrizione di metodi, linea da
seguire, simbolo e sigle da interporre e post-porre, non basta chiamarne
il risultato “spontaneismo armato” per esorcizzare l’ideologia
lottarmatista. Tutt’al più quello che si ottiene è un peggiorativo
dell’ideologia genitrice in un surrogato che mantiene in sé la logica
dell’avanguardia ma gli aggiunge l’aspetto di una irrazionalità
apparentemente romantica ma, nei fatti, semplicisticamente manichea.
Spontaneamente, d’impulso, senza calcolo o razionalità si possono fare
molte cose, ma non è detto che queste cose siano sempre la risposta
giusta o migliore.
L’equazione spontaneità (nell’agire) =
libera espressione dell’individuo = rivoluzione è, come direbbe un
illustre comico genovese, “una cagata pazzesca”. L’azione rivoluzionaria
è, e dovrebbe essere, a nostro avviso, il risultato elaborato di
ragione e sentimento dell’individuo nelle sue relazioni con altri
individui e col mondo circostante.
Incomunicabilità. E in effetti chiunque
legga il comunicato di rivendicazione non potrà fare a meno di porsi una
domanda: ma per gli attentatori chi sono i veri nemici, i tecnocrati a
cui vogliono sparare o gli altri anarchici? Nella logica dualistica
sopra citata non esiste spazio per dialogare con gli sfruttati, con gli
esclusi – se non quello dell’indicare questi ultimi come complici
rassegnati. La rivendicazione è per i media di regime e per lo Stato; le
critiche sono per gli specialisti della militanza e per gli anarchici.
Non sappiamo quanto le vittime del nucleare, vale a dire gli individui
morti “piazzati” qua e la nel testo di rivendicazione, avrebbero mai
potuto capire delle polemiche interne ai movimenti. Ma forse è colpa
loro… o sono “solo” degli indignati o sono, appunto, morti… vero?
Idiozia, o provocazione? Sinceramente non
lo sappiamo ma, sta di fatto, che troviamo alquanto grave che
all’interno di una rivendicazione di questo genere vi siano contenuti
concetti e frasi (estrapolate e incollate in modo raffazzonato) di testi
altrui, scritti con altri obiettivi, con diverse progettualità e
soprattutto pubblici… con tutto ciò che può comportare a livello
repressivo (e scusate se “ragioniamo col codice penale alla mano”).
Dunque la proposta è semplice: cari “anarchici informali”, se – come
avete annunciato – dovete proseguire con la strada intrapresa, sareste
pregati di spremere un po’ di più le meningi ed esprimere concetti
vostri anziché inserire quelli altrui fuori (se non contro) il loro
contesto originario.
Incredibile. Comunque dopo tante critiche alla Federazione Anarchica Informale una cosa
dobbiamo riconoscergliela: per due ore la produzione di Finmeccanica si fermerà… i lavoratori sciopereranno in difesa ed in solidarietà al “manager azzoppato”. Insomma un grande risultato, di quelli che si ottengono solo quando i muti parlano con i sordi.
dobbiamo riconoscergliela: per due ore la produzione di Finmeccanica si fermerà… i lavoratori sciopereranno in difesa ed in solidarietà al “manager azzoppato”. Insomma un grande risultato, di quelli che si ottengono solo quando i muti parlano con i sordi.
In marcia. E così giovedì a Genova si
terrà una manifestazione “contro il terrorismo”. La canea mediatica, le
istituzioni e gli immancabili sindacati sono riusciti a mettere insieme
ciò che per natura è contrapposto: le azioni contro Equitalia e la
gambizzazione di un amministratore delegato, l’insorgere – ognuno a suo
modo – contro i soprusi e l’avanguardia (mal) armata . Peggio: gli
sfruttati e gli sfruttatori. Tanto per essere chiari noi non riteniamo
che né la gambizzazione, né le molotov, né gli assalti “di massa” ad
Equitalia, siano pratiche terroristiche. Terrorismo è il seminare
violenza e panico alla cieca al fine di preservare o conquistare il
potere. E questo appartiene allo Stato ed ai “fascisti (nazionalisti e/o
religiosi) di varie bandiere”. Detto questo riteniamo la gambizzazione
un atto intimidatorio e crudele che eticamente non ci appartiene, mentre
riteniamo i vari attacchi ad Equitalia, compiuti dagli sfruttati in
questi giorni, una battaglia molto più che
condivisibile, fondamentale.
condivisibile, fondamentale.
Inquisire e raggruppare tutte le pratiche
di dissenso, dalla lotta contro Equitalia a quella contro il TAV, dalle
pratiche resistenziali contro la crisi finanziaria alla solidarietà
verso gli immigrati perseguitati, in un unico calderone assieme al
lottarmatismo è una vecchia modalità che gli Stati hanno tutto
l’interesse a mettere in atto. Indicare il movimento anarchico ed i
movimenti antagonisti come “brodo di coltura”, dipingere i rivoluzionari
come doppiogiochisti (in pubblico tutti insieme alla pari, e di
nascosto setta separata e sprezzante), dipingere ogni ostilità come
terrorismo, è quello che serve al governo per continuare a far passare
le sue “misure anticrisi” riuscendo a mantenerci divisi. Hanno già
annunciato il rafforzamento delle misure investigative e repressive,
hanno già proposto di voler schierare l’esercito a difesa degli
“obiettivi sensibili”. Se gli sfruttati cascheranno in questa trappola
vi è il concreto rischio che tutte le lotte iniziate implodano in loro
stesse.
In cammino. Che non ci si faccia turlupinare da politicanti e sindacalisti, che si lascino le
avanguardie separate alla loro alienazione. Abbiamo bisogno di guardare il mondo con realismo, sapendo coniugare le difficoltà e la tragicità della situazione con le dovute risposte, coerenti coi nostri sogni e i nostri desideri. Non facciamoci prendere dalla paura, soprattutto non facciamoci divorare dall’odio e dal rancore (genitori di ogni forma di alienazione). Il mutuo soccorso ed il mutuo appoggio, la capacità di comprendere, la solidarietà ed il coraggio della coerenza (per cui mai il fine giustifica i mezzi) sono l’arsenale che da sempre gli oppressi hanno nella cantina del loro cuore. E queste armi, queste nostre armi, non le consegneremo facilmente alla polizia.
avanguardie separate alla loro alienazione. Abbiamo bisogno di guardare il mondo con realismo, sapendo coniugare le difficoltà e la tragicità della situazione con le dovute risposte, coerenti coi nostri sogni e i nostri desideri. Non facciamoci prendere dalla paura, soprattutto non facciamoci divorare dall’odio e dal rancore (genitori di ogni forma di alienazione). Il mutuo soccorso ed il mutuo appoggio, la capacità di comprendere, la solidarietà ed il coraggio della coerenza (per cui mai il fine giustifica i mezzi) sono l’arsenale che da sempre gli oppressi hanno nella cantina del loro cuore. E queste armi, queste nostre armi, non le consegneremo facilmente alla polizia.
PS:
Incantesimo. Visto che saremo accusati di
pratiche magiche, ovvero di riuscire a “dissociarci” da qualcosa a cui
non ci siamo mai “associati”, sottolineiamo che questo testo è figlio di
alcune individualità e che non a priori rispecchia le posizioni dei
vari anarchici e libertari presenti a Genova. Ovvio, ma meglio
precisarlo vista l’ottusità dilagante.
Indignati? Noi parecchio, anzi – ve lo concediamo – meglio dire Incazzati.
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