venerdì 30 dicembre 2011

Honduras, i panni sporchi delle forze di polizia


Honduras, i panni sporchi delle forze di polizia

di : Maurice Lemoine*

Nel paese più violento dell’America latina (20 omicidi al giorno) la morte di un giovane porta in luce connivenze, corruzione e repressione. Dopo il golpe del 2009 uccisi 55 contadini, 17 giornalisti, decine di oppositori

TEGUCIGALPA. Come molti giovani, per lo più poveri, due studenti vengono assassinati dalla polizia a Tegucigalpa, la notte del 22 ottobre scorso. Ma, questa volta, una delle vittime è il figlio della rispettabilissima rettora dell’Università nazionale autonoma dell’Honduras (Unah), Julieta Castellanos. E alla scena hanno assistito dei testimoni. Di fronte all’impossibilità di affossare l’abuso sotto la valanga dei 20 omicidi quotidiani che fanno dell’Honduras il paese più violento dell’America latina, gli alti gradi della polizia rendono pubblici i nomi dei quattro presunti assassini prima che siano indagati, mettendoli così sull’avviso e consentendogli di far perdere le tracce.

Fino ad allora, a rimetterci la vita erano stati solo degli sconosciuti. Piccoli delinquenti o marginali, vittime della «pulizia sociale». Contadini dell’Aguán, nel nord del paese, bersaglio delle pallottole sparate dalle guardie private dei grandi proprietari terrieri - fra cui il big dell’oligarchia, Miguel Facussé -, ma anche dagli agenti dello stato. «Difficile distinguere chi sia la polizia, chi sia l’esercito e chi siano i sicari - ci aveva detto a febbraio un abitante della comunità La Aurora; agiscono di concerto, si scambiano le uniformi, circolano sugli stessi mezzi» - e hanno giustiziato 55 contadini in due anni.

Bilancio a cui si aggiungono, nell’insieme del paese, decine di membri del Fronte nazionale di resistenza popolare (Fnrp) - movimento nato per reazione al colpo di stato contro il presidente Manuel Zelaya, destituito il 28 giugno 2009 -, intimidazioni, inseguimenti o omicidi commessi dalle armi da fuoco della «criminalità comune» (secondo le autorità) o da quelle degli «squadroni della morte» (secondo la più credibile versione dei dirigenti e dei militanti di opposizione).

La morte del figlio di una personalità funziona come un elettroshock. Riporta in superficie altri avvenimenti, anche molto recenti. Il 1 settembre, il segretario per la sicurezza (ministro dell’interno) Óscar Álvarez aveva denunciato pubblicamente: «Una decina di ufficiali di polizia, mascherata da controllori di volo, ha consentito l’atterraggio di narco-aerei che trasportavano droga dal sud del continente verso il Nordamerica». Álvarez ha però avuto appena il tempo di annunciare una «epurazione profonda» che è stato sollevato dall’incarico dal presidente Lobo. Il mese precedente, si era scoperto che 300 fucili mitragliatori Fal e 300.000 munizioni 5,56 mm erano scomparsi dall’armeria del Commando per le operazioni speciali (Cobra) - la più feroce delle unità di repressione. Secondo «fonti affidabili» del Segretariato alla sicurezza, quelle armi sarebbero state vendute ai gruppi criminali che operano in Guatemala.

Nel popolare quartiere Kennedy di Tegucigalpa, le lingue di qualche ristoratore, venditore di frutta o commerciante di elettrodomestici si sciolgono: sono ricattati dai banditi con la complicità della polizia locale in cui agisce una mafia comandata da un ufficiale ribattezzato «El Diablo». «La famosa ’imposta di guerra’ viene riscossa dai mareros (delinquenti), ma una parte è destinata alla polizia», afferma l’ex direttrice degli affari interni dell’istituzione Maria Luisa Borjas, evocando questa pratica generalizzata. Racconta come, quando era in carica, avesse denunciato quattro ufficiali per omicidio, prove alla mano. E però, dopo accordi tra il potere giudiziario e la gerarchia poliziesca, «sono rimasti in libertà, hanno continuato la loro carriera e sono oggi ufficiali superiori».

Benché appartengano ai gruppi di potere, abbiano appoggiato il colpo di stato e siano proni alle forze dell’ordine quando bastonano i militanti del Fnrp, anche i media moltiplicano le rivelazioni.

Il 21 novembre, è il quotidiano di destra El Heraldo a pubblicare un estratto del rapporto della Direzione della lotta contro il narcotraffico (Dlcn) che chiama in causa «un membro della direzione della polizia». L’inchiesta che lo riguarda è stata aperta nel 2003 (8 anni fa!), l’uomo - si legge - «presenta dei conti bancari atipici e ha mantenuto legami con un capo catturato in Colombia»; a febbraio 2004, in carica nel Dipartimento di Copán, «era il capo del cartello d’Occidente, che trasporta grandi quantità di droga a Colón e Olancho».

Forse sprovvista di telefono per chiamare la Dlcn, la viceministra della sicurezza Coralia Rivera annuncia che, per ritrovare il corrotto, ha ordinato ai servizi per le risorse umane della polizia di effettuare un inventario di tutte le denunce contro gli ufficiali presentate in passato. Manifestando uno spiccato senso delle priorità, il pubblico ministero, dal canto suo, apre un’inchiesta per sapere chi ha comunicato il dossier della Dlcn a El Heraldo.

Il 30 ottobre, il nuovo segretario alla sicurezza Pompeyo Bonilla annuncia la destituzione di tutta la direzione della polizia. Dopo, si scoprono come per miracolo delle pecore nere fino ad allora sconosciute. Il 27 novembre, 9 ufficiali e 29 graduati vengono sospesi per «colpa amministrativa» e «arricchimento sospetto» in attesa di giudizio. Per sbiancare in extremis la propria immagine, 50 capi e direttori dell’istituzione poliziesca si sottomettono «spontaneamente» a un esame delle urine e del sangue per escludere tracce di marijuana, di cocaina o di eroina, e alla macchina della verità (che, però, quel giorno, non funziona). L’intera professione dovrà essere sottoposta allo stesso trattamento, però su base... volontaria.

Fino ad allora, i corrotti della polizia si sentivano i padroni del mondo. L’improvvisa esposizione della biancheria sporca li disturba profondamente. E così anche i media conservatori pagano i costi della loro arrabbiatura: le minacce e le intimidazioni si moltiplicano. Il 6 dicembre, la giornalista Luz Marina Paz Villalobos cade sotto le pallottole di sicari in moto - portando a 17 il numero dei membri della professione assassinati in venti mesi. L’indomani, Alfredo Landaverde, ex-consigliere del Segretariato alla sicurezza, muore nelle stesse condizioni. Negli ultimi mesi, aveva denunciato la presenza di ufficiali di polizia nelle fila del crimine organizzato.

«Una parte dell’oligarchia honduregna è direttamente legata al narcotraffico - afferma Gilberto Ríos, coordinatore della Commissione internazionale del Fnrp, cercando di dare un senso a questo caos - C’è uno scontro tra la fazione emergente e il settore tradizionale, i partiti politici e le istituzioni dello stato. A questa rottura in seno alla classe dominante corrisponde la corruzione dei corpi repressivi e la loro divisione». Complice, incapace o impotente, il presidente Lobo ha comunque scelto la soluzione peggiore. Il 29 novembre, il Congresso ha concesso all’esercito le prerogative della polizia nazionale - pattugliamento, arresti, incursioni, perquisizioni - per tutto il tempo necessario al suo risanamento.

Negli anni ’80, mentre sanguinosi conflitti scuotevano il Salvador, il Nicaragua e il Guatemala, «le forze armate hanno partecipato, qui, ai crimini politici, ai sequestri, alle sparizioni e agli assassinii di oppositori», dice, indignato, Juan Barahona, vicecoordinatore del Fnrp. Ci sono volute, nel corso del decennio 1990, lunghe lotte per creare una polizia civile e demilitarizzare la società. E oggi.. la peste sostituirà il colera? Lo si può dire anche così. Nel 2009, a partire dal 29 giugno, è la polizia che ha brutalmente represso la popolazione che si opponeva al colpo di stato. Ma, alla vigilia, era stato l’esercito a destituire e a mandare in esilio il presidente Zelaya.

*Le Monde diplomatique
(Traduzione di Ge. Co.)

http://bellaciao.org/it/spip.php?article30441

Nessun commento:

Posta un commento