martedì 15 maggio 2012

Br invocano le armi Genova scende in piazza Leggi l'articolo completo: Caso adinolfi - Br invocano le armi Genova scende in piazza| Liguria | Genova| Il SecoloXIX

--da stampa borghese il Secolo XIX di Genova

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Giovani in aula hanno esposto anche magliette con lettere dell’alfabeto, che messe vicine formavano la parola «Solidarietà»
Giovani in aula hanno esposto anche magliette con lettere dell’alfabeto, che messe vicine formavano la parola «Solidarietà»

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Genova - Dopo le minacce arrivate ieri ai magistrati da parte del gruppo anarchico delle Cellule di fuoco, oggi Alfredo Davanzo, uno degli imputati del processo milanese alle Nuove Br, ha detto : «Viva la rivoluzione, avanti la rivoluzione, questo è il momento buono».
Davanzo, che in tribunale sta seguendo l’udienza dalla gabbia situata nell’aula, ha risposto così ad un cronista che gli chiedeva cosa pensasse di quello che sta accadendo in questi giorni, con riferimento anche alla gambizzazione del manager di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi.
Davanzo, ritenuto il presunto ideologo delle Nuove Br del partito Comunista politico-militare, è uno dei dodici imputati nel processo milanese d’appello “bis” (la Cassazione ha infatti recentemente annullato le condanne disponendo un nuovo appello) ed è stato condannato nel precedente giudizio di secondo grado a 11 anni e 4 mesi.
In una pausa in tribunale, alcuni cronisti si sono avvicinati alla gabbia dove stavano seguendo l’udienza cinque dei sette imputati detenuti (tra cui Claudio Latino, condannato a 14 anni e 7 mesi) e hanno chiesto ai presunti appartenenti alle Nuove Br: «Cosa pensate di quello che sta accadendo nel Paese, del ferimento di Adinolfi?».
Davanzo ha risposto: «Viva la rivoluzione, questo è il momento buono per la rivoluzione». Il presunto ideologo delle Nuove Br ha poi aggiunto: «Noi affrontiamo lo Stato, affrontiamo voi (rivolto ai giudici, ndr) solo con la forza di essere proletari». All’inizio dell’udienza dalle gabbie erano stati mostrati anche i pugni chiusi da parte degli imputati, per salutare gli amici e i parenti ed altri giovani che stanno seguendo il processo.
E Vincenzo Sisi, uno degli imputati delle cosiddette Nuove Br, facendo dichiarazioni spontanee in aula, ha detto: «Solo con le armi si sovvertono i poteri, parlo come operaio comunista che ha preso le armi». «Noi rinunciamo alla difesa», ha aggiunto spiegando la revoca del mandato difensivo come “gesto politico”.
«Io parlo come operaio comunista che ha preso le armi - ha affermato - solo con le armi si sovvertono i poteri e noi rinunciamo alla difesa e revochiamo il mandato». Un altro degli imputati, invece, ha spiegato che il Partito comunista politico-militare «si pone dentro questo processo solo con i documenti politici», e proprio uno di questi documenti è stato consegnato dagli imputati, attraverso i difensori, ai giudici.
Claudio Latino, invece, presunto leader della cellula milanese, ha affermato che «noi non amiamo la violenza e non crediamo al mito della violenza, ma diventa inevitabile», perché, come hanno sostenuto gli imputati, «l’unica via è quella rivoluzionaria». Le parole dei presunti brigatisti sono state “salutate” con molti applausi da parte di amici, parenti e altri giovani presenti nella parte dell’aula destinata al pubblico. I giovani hanno esposto anche magliette con su scritto “solidarietà”.
E si sono registrati momenti di tensione nella maxi-aula della Corte d’Assise, dove si svolge il processo milanese d’appello, dopo le dichiarazioni di 3 presunti brigatisti che hanno anche invocato l’uso delle «armi». I giudici ad un certo punto sono stati costretti a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine che hanno fatto uscire giovani e parenti degli arrestati dallo spazio riservato al pubblico. L’aula è stata fatta sgomberare e un presidio di carabinieri è stato disposto davanti all’ingresso.
«L’offensiva deve avere le caratteristiche della propaganda armata»: è una delle frasi, pronunciate dagli imputati nel processo d’appello. Anche nel corso dei precedenti giudizi di primo e secondo grado i presunti appartenenti alle Nuove Br avevano più volte preso la parola parlando di «via rivoluzionaria» e «lotta al capitalismo», facendo depositare agli atti lunghi documenti da loro redatti, ma senza mai fare riferimenti così espliciti alla possibilità di usare le «armi».
Per quanto riguarda il processo, i sette imputati detenuti nel procedimento milanese alle cosiddette Nuove Br devono restare in carcere. Lo hanno deciso i giudici della seconda corte d’assise d’appello di Milano che hanno respinto le istanze di scarcerazione delle difese, le quali hanno invocato la decadenza dei termini di custodia cautelare perché, a loro dire, «la detenzione non ha più senso» dato che la Cassazione ha annullato nelle scorse settimane le condanne.
Restano in carcere dunque sette dei 12 imputati. Si tratta di Claudio Latino e Davide Bortolato, condannati a 14 anni e 7 mesi in appello, Vincenzo Sisi (13 anni e 5 mesi), Alfredo Davanzo (11 anni e 4 mesi) Bruno Ghirardi (10 anni e 10 mesi) Massimilano Toschi (10 anni e 8 mesi) e Massimilano Gaeta (8 anni).
Vennero arrestati nel 2007 in seguito all’operazione “Tramonto” coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che smantellò l’organizzazione che, secondo l’accusa, si sarebbe rifatta alla cosiddetta “seconda posizione” delle Br e che stava preparando attentati.
Le difese, e in particolare l’avvocato Giuseppe Pelazza, avevano sostenuto che gli imputati dovevano essere scarcerati perché con l’annullamento delle condanne da parte della Cassazione dello scorso febbraio «la sentenza di grado d’appello non esiste più e men che meno le motivazioni giuridiche della detenzione», che per gli avvocati, tra l’altro, «ha così superato i 3 anni di custodia massima prevista, arrivando a 5 anni».
I termini di custodia cautelare scadranno per alcuni degli imputati a partire dal 13 giugno, ma per quella data sarà con tutta probabilità già arrivata la sentenza della seconda Corte d’Assise d’appello.
Il direttore della Dia in procura a Genova
Il direttore della Direzione investigativa antimafia Alfonso d’Alfonso ha incontrato lunedì il personale del Centro operativo della Dia genovese retto dal colonnello Luigi Marra. D’Alfonso ha presieduto una riunione operativa. Nel pomeriggio, D’Alfonso ha incontrato il procuratore generale Vito Monetti, il procuratore capo Michele Di Lecce e il prefetto di Genova Francesco Musolino. Nel tardo pomeriggio ha reso visita al presidente della Cei e Arcivescovo di Genova cardinal Angelo Bagnasco.
La manifestazione di giovedì
I sindacati si ritroveranno prima delle 17 in largo XII Ottobre, davanti al monumento dedicato a Guido Rossa. Poi tutti in piazza De Ferrari per la manifestazione contro il terrorismo prevista per le 17. Il tam tam per richiamare i giovani, le realtà che li coinvolgono nella politica viaggia in rete, Facebook in testa.
«Per reagire con forza e coesione contro ogni forma di nuovo terrorismo e per esprimere solidarietà a Roberto Adinolfi », spiegano il presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando, il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, e il commissario straordinario della provincia Piero Fossati. L’invito-appello è «a tutti i rappresentanti delle istituzioni, delle categorie, delle associazioni, le forze sociali, imprenditoriali e politiche».
Piazza non “casuale” De Ferrari per il no al fascismo del 1960. Per gli appuntamenti dei momenti difficili. «Ritrovarsi tutti in piazza giovedì pomeriggio - dicono Burlando, la Vincenzi e Fossati - darà voce a un sentimento di forza e di fiducia: la ragione, la democrazia, il rispetto della vita sapranno certamente prevalere sui pochi che esaltano e praticano la violenza».
Una “forza” necessaria da recuperare dopo le difficoltà e lo spiazzamento delle ore seguenti l’attentato di lunedì scorso. Perché «Il ferimento di Adinolfi, anche per la storia tragica che evoca nella nostra memoria, chiede una risposta alta e chiara. Non è solo rivolta contro chi ha sparato. È l’affetto e la solidarietà per Adinolfi, la sua famiglia, i suoi colleghi di lavoro». Industriali, commercio, associazioni diverse, tutti dicono che ci saranno.
La “piazza” non sarà solo un simbolo, ma anche sostanza. Esserci in tanti sarà un segnale. Vedersi, ascoltare, discutere perché «è il dialogo che dobbiamo aprire con noi stessi e con l’intero paese investito da una crisi globale che sta mettendo a dura prova la nostra capacità di reagire». Il no di ieri al terrorismo non può essere solo un orgoglioso fiore all’occhiello. «In questi giorni - aggiungono Burlando, Vincenzi e Fossati - è stato ricordato come Genova abbia saputo rispondere con generosità e rigore democratico alle emergenze più gravi».
Tappe importanti: la mobilitazione contro i rischi di involuzione antidemocratica negli anni ‘60, la lotta vittoriosa contro il terrorismo negli anni ‘70 e ‘80. Ma le stesse «lunghe battaglie per la difesa, il rilancio e la reinvenzione del patrimonio produttivo, culturale, ambientale della città. Genova è laboriosa e paziente, ma non sopporta l’arroganza e la violenza». Un salto indietro nel tempo? «Non siamo di fronte al ripetersi di situazioni che abbiamo già vissuto.
Dobbiamo però saper raccogliere anche tutta l’intelligenza necessaria per comprendere le novità dei giorni attuali. La crisi produce quotidianamente drammi sociali e personali. Le istituzioni e la politica devono lasciarsi rapidamente alle spalle i ritardi, le inefficienze, le distorsioni clamorosamente emerse negli ultimi tempi, derivanti da vizi antichi».
Il malessere grave della politica, il recupero della sua credibilità. Come fare a superarli? «Devono saper vedere e perseguire le occasioni e le ricette giuste che la stessa inedita dimensione della crisi suggerisce. La manifestazione di giovedì si svolgerà mentre la città e il paese sono impegnati in una cruciale consultazione elettorale. E in tutta Europa è aperta - non senza interrogativi drammatici - la discussione sulla strada da imboccare per vincere la recessione. La sfida è molto alta».
Genova come e cosa può fare? Burlando, Vincenzi e Fossati osservano: «Genova saprà dimostrare che è possibile riconoscere e rilanciare gli elementi di unità e coesione democratica proprio nel momento in cui il confronto chiaro tra posizioni diverse, rappresenta lo strumento insostituibile per ridare fiducia ai cittadini, valorizzarne l’impegno, migliorare ogni giorno le capacità di ascolto e di intervento da parte di tutti coloro che hanno e avranno responsabilità di governo».
Una piazza, una città. Diversa nel clima degli anni Settanta, ma che non può essere lontana da cosa ha saputo fare quarant’anni fa. I tempi del “né con lo Stato nè con le br” dovrebbero essere lontani. La scelta di campo invece sempre attuale contro la violenza.


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