venerdì 16 marzo 2012
L’ATTENTATO
Alle 13,55 del sabato 23 luglio 1892, un anarchico ventunenne di nome Alexander Berkman, entra, armato di pistola e pugnale negli uffici del capitano d’industria Henry Clay Frick per commettere quello che riteneva essere il primo Attentato della storia americana.
L’occasione venne da uno sciopero degli operai della Homestead Steel Company di Pittsburgh, contro il quale Frick aveva fatto intervenire 300 mercenari di Pinkerton armati di fucile.
Berkman riesce soltanto a ferire il suo avversario ed arrestato viene condannato a 22 anni di prigione, dei quali ne sconta quattordici nel famigerato Western Penitentiary.
La porta dell’ufficio privato di Frick, alla sinistra della sala d’attesa, si apre quando si affaccia il servitore di colore, e ho una visione fugace di una robusta figura dalla barba nera, seduta ad un tavolo in fondo alla stanza
‘’Mistah Frick e’ occupato. Non e’ possibile vedervi adesso , signore’’, dice il negro, restituendomi il biglietto da visita.
Prendo il biglietto lo ripongo nel mio portafoglio e mi allontao lentamente dalla sala d’attesa. Ma di scatto ripercorro il mio cammino, supero il cancellato che separa gli impiegati dai visitatori, e, scostando l’attonito servitore, entro nell’ufficio sulla sinistra e mi trovo a faccia a faccia con Frick. Per un attimo la luce del sole, che penetra attraverso le finestre, mi abbaglia. Distinguo due persone all’altro capo del lungo tavolo.
‘’Fr…’’, comincio. Il suo viso terrorizzato mi lascia ammutolito. E’ lo spavento della chiara presenza della morte. ‘’Lui capisce’’, mi balena nella mente. Con una mossa rapida estraggo il revolver. Appena alzo l’arma, vedo alzarsi. Miro alla testa. ‘’Forse indossa un giobbotto protettivo’’, rifletto. Con un’espressione di orrore velocemente gira la testa, mentre io tiro il grilletto. C’e’ un lampo, e la stanza dall’alto soffitto rimbomba come per un colpo di cannone. Odo un acuto, penetrante grido e vedo Frick sulle ginicchia, la testa contro i braccioli della poltrona. Mi sento calmo e cosciente, attento ad ogni movimento dell’uomo. Ricade con la testa e le spalle sotto l’ampia poltrona, senza un suono o un movimento. ‘’Morto?’’ mi chiedo. Devo essere sicuro. Circa venticinque piedi ci separano. Faccio qualche passo verso di lui quando all’improvviso l’altro uomo, della cui presenza mi ero completamente dimenticato, si getta contro di me. Lotto per liberarmi dalla sua presa. Sembra piccolo e magro. Non voglio fargli nulla. Non ce l’ho con lui. All’improvviso sento il grido, ‘’Assassino, Aiuto’’. Il mio cuore si ferma poiche’ capisco che e’ Frick a gridare. ‘’Vivo?’’ mi meraviglio. Scaglio lo sconosciuto a lato e sparo alla figura distesa di Frick. L’uomo colpisce la mia mano,…l’ho mancato. Lotta con me e combattiamo per la stanza. Cerco di liberarmene ma notando un’apertura tra il suo braccio e il corpo, infilo il revolver vicino al suo fianco e miro a Frcik, acquattato dietro la poltrona. Premo il grilletto. Si sente un click, ma nessuna esplosione. Afferro alla gola lo sconosciuto, ancora aggrappato a me, quando all’improvviso qualcosa di pesante mi colpisce dietro la testa. Un acuto dolor mi arriva agli occhi. Mi abbato sul pavimento, vagamente conscio che l’arma mi scivola dalle mani.
‘’Dov’e’ il martello?. Colpiscilo falegname’’ Voci confuse mi risuonano alle orecchie. Mi sforzo penosamente di alzarmi. Il peso di molto corpi su di me. Adesso…e’ la voce di Frick. Noe e’ morto?...Striscio in direzione di quel suono, portandomi dietro quelli che mi sono addosso. Devo tirare fuori il pugnale dalla tasca, c’e’ lho|Ripetutamente colpisco con quello le gambe dell’uomo vicino alla finestra. Sento Frick gridare dal dolore – c’e’ un gran chiasso e un gran battere – le mie braccia sono afferrate e tprte e vengo sollevato dal pavimento.
Polizia, impiegati, lavoratori in tuta, mi circondano. Un poliziotto mi solleva la testa per i capelli ed i miei occhi incontrano quelli di Frick. E’ in piedi di fronte a me, sostenuto da parecchie persone. La sua faccia e’ color cenere; la nera barba e’ rigata di rosso sangue ed il sangue cola lentamente dal suo collo. Per un momento una stana sensazione, come di vergogna, s’impadronisce di me; ma poi provo rabbia per quella sensazione, cosi’ indegna per un rivoluzionario. Con sfida rabbiosa lo guardo dritto in faccia.
‘’Mr. Frick, riconoscete quest’uomo come il vostro aggressore?’’
Frick annuisce debolmente.
La strada e’ brulicante di una folla densa, eccitata. Un giovane in abiti borghesi, che accompagna la polizia, chiede, non sgarbatamente: ‘’Siete ferito? Perdete sangue’’.
Passo la mano sul vis. Non provo dolore, ma c’e’ qualcosa di strano nei miei occhi.
‘’Ho perduto i miei occhiali’’, rilevo, involontariamente.
‘’Sarete maledettamente fortunato se non perderete la testa’’, ribatte un poliziotto.
Alexander Berkman – Un anarchico in prigione.
Edizioni della Rivista ‘’Anarcismo’’
Prima edizione italiana ottobre 1978.
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