domenica 25 marzo 2012

FUGA IN AVANTI


E’ un vecchio problema. Gli amanti della dialettica, e dei meccanismi di sussunzione e di ripresentazione, hanno spesso parlato di un loro modo di risolverlo. Noi siamo sempre stati scettici non solo nell’uso, am sulla validita’ di giochi di parole che pretendono di rappresentare la realta’, e anche di modificarla.
Il fronte della lotta, certe volte ben individuabile a priori, capace di dotarsi di strumenti di intervento, piu’ o meno adegauti allo scontro che si sta afrontando, di colpo si spezza: un’azione va fuori tempo, rompe l’ ‘’armonia’’ prestabilita del concerto delle iniziative, accellera il passo, alza il tiro, supera livelli di rapportazione e strategie politiche. Colpisce piu’ in alto.
Sulla validita’ di colpire piu’ in alto non ci possono essere dubbi. Noi stiamo parlando di ‘’piu’ in alto’’ nel senso della gerarchia sociale, ma nel senso di un obiettivo, anche periferico e polverizzato, che pero’ costituisca, nell’insieme delle azioni che il movimento nel suo complesso riesce a realizzare, qualitativamente, un qualcosa di diverso e di piu’ ‘’impegnativo’’. E, come accaduto in Germania (ottobre 1987), decidersi di sparare sui poliziotti e’ cosa che va sottoposta a profonda riflessione.
Non sappiamo se chi ha realizzato l’azione abbia portato fino in fondo questa riflessione, e, allos stato attuale delle cose, non sappiamo cosa sia accaduto realmente fra le nebbie dell’aereoporto di Francoforte. Possiamo fare alcune ipotesi. Di gia’ la documentazione, riportata da tutti i giornali, di un avviso dato alla polizia di allontanarsi e di non insistere nella sua opera di pestaggio e di ricerca di singoli compagni nella campagna (opera che, chi l’ha vissuta personalmente, sa quanto possa essere spiacevole) da’ l’indicazione che ci troviamo davanti ad un’azione su cui si e’ riflettuto, un’azione che ha avuto lo scopo di mettere un freno, immediato e brutale, se si vuole, ma sempre un freno al dilagare delle pretese repressive della polizia.. C’e’ da dire che non sappiamo se i realizzatori di questa azione – che, sia detto in tutto tondo, comprendiamo perfettamente – si siano fermati a riflettere sulle conseguenze repressive che essa andra’ a scatenare su tutto il movimento. Ed e’ questo l’argomento della fuga in avanti.
Fermiamoci un attimo a riflettere. Non stiamo dicendo – come il coro unanime dei piagnucolosi recriminatori di cui la sinistra europea sembra dotata in numero inesauribile – che si tratta di un’azione sbaglaita perche’ fara’ aumentare la repressione e contribuira’ alla rottura del movimento. Stiamo dicendo ben altro. Questo genere di azioni serve a scuotere il movimento, per gettare via dal suo interno quel ciarpame numerico che a volte copre, lasciando nascoste, le piaghe di una mancanza di decisione di volere cambiare le cose. Si va avanti in questo modo, con manifestazioni senza significato e con azioni senza sugo, finche’ un bel giorno si scopre che tutto quel gran lavoro (fittizio) non ha avuto altro esito se non quello di portare acqua al mulino del potere. Se guardandosi attorno, si vede che la cosa funziona perche’ siamo in tanti, questo non puo’ mai esimerci da un esame critico del fatto che ci ha portato ad essere insieme e del perche’ si e’ cosi’ tanti insieme. Se questo esame porta alla conclusione che si e’ insieme grazie al fatto che siamo talmente non incisivi e prevedibili da raccogliere la grande maggioranza di coloro che dissentono (platonicamente) dal modo in cui il potere gestisce le sue cose, allora dobbiamo fare in modo che la sitazione cambi, anche se la nostra azione finira’ per sconvolgere l’assetto pacifico di quel gran numero di persone che, pacificatamente e senza sforzo, sta davanti a qualcosa, dimostrando e preparandosi a subire le prossime legnate della polizia.
Quindi, in primissima analisi, siamo d’accordo con l’azione che alzi il tiro, che sospinga in avanti la situazione di conflitto, che colpisca obiettivi ‘’via via’ piu’ significativi, anche al di la’ di quello che la gran massa delle persone, in un dato momento, riesce da sola a trovare come livello dell’intervento possibile.
Cio’ non toglie, pero’ che non siamo d’accordo (nel senso di sottoscrivere o realizzare noi) con un’azione che si presenti del tutto scollegata con una determinata situazione in atto, cioe’ che pretenda di imporre nella generale mediocrita’ di un contesto di lotta, un modello che, da per se stesso puo’ anche essere condivisibile, ma che deve tenere conto della realta’ in cui si va ad inserire. E cio’ non tanto perche’ le conseguenze dell’impiego di quel modello saranno certamente quelle di un aumento della repressione, la quale colpira’ il movimento (e abbiamo visto i motovo per cui questo aspetto della questione ci interessa meno), quanto perche’ non intendiamo lasciare dietro di noi nessuno, non vogliamo realizzare nessuna ‘’fuga in avanti’’, non vogliamo portare a compimento nessuna azione che sia soltanto soddisfazione per i nostri sentimenti feriti o per le nostre menmra doloranti.
In fondo, andare avanti e’, spesso molto piu’ facile di restare nel grupp. Non nel centro del grupp, aspettando di farsi tirare a dritta e a manca da qualcun altro, ma nel gruppo in modo vigile, stimolando all’azione, realizzando quel genere di lotte e di azioni che sono ‘’adeguate’’ alla situazione in cui ci si trova ed anche un qualcosa in piu’. Ma questo qualcosa non puo’ mai essere considerat una ‘’fuga in avanti’’, bensi’ una indicazione precisa, un progetto dettagliato, un approfondimento di metodo, una chiarificazione di obiettivo.
Al di la’, la vigliaccheria di chi si riscopre animato da sentimenti di retroguardi che portiamo tutti nelle braccia della delazione, o la titubanza di chi non sa cosa fare e finisce per restare abbagliato dalla ‘’giustezza’’ di un’azione che pero’ non solo considera come qualcosa di mitico ma che, in fondo, intimamente, non condivide.

(testo apparso la prima volta sulla rivista anarchica ‘’Provocazione’’ n. 9, novembre 1987, p. 4 col titolo ‘’La Fuga in Avanti’’, ri-pubblicato su ‘’Dissonanze III’’ di Alfredo Maria Bonanno
Edizioni Anarchismo- Prima Edizione dicembre 1999.)

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