domenica 25 marzo 2012

E NOI SAREMO SEMPRE PRONTI A RIPRENDERCI UN’ALTRA VOLTA IL CIELO - Introduzione - PIERLEONE PORCU


E NOI SAREMO SEMPRE PRONTI A RIPRENDERCI UN’ALTRA VOLTA IL CIELO
CONTRO L’AMNISTIA

Introduzione
Prima che ci pensassero i rivoluzionari lo Stato ha provveduto, con largo anticipo, a gestire il vuoto lasciato dal dissolto movimento, attuando il progetto dissociativo. Vhi reclama a gran voce la restituzione dei propri compagni, con ogni mezzo, non dovra’ poi lamentare di vedersi accanto docili creature, strumenti nelle mani del dominio.
Mai come oggi verita’ e menzogna si sono sovrapposte sulla scena politica italiana fino a diventare spettacolo di posizioni, democraticamente inscenato dal governo e dall’opposizione istituzionale, allo scopo di catturare l’attenzione di alcuni sprovveduti rivoluzionari.
Mi riferisco, ad esempio, al caso Naria, divenuto ormai un ‘’affaire’’ di Stato, emblema di questo periodo post-emergenziale fondato sul recupero e la generica riscoperta dei valori umani. Gli attuali problemi del carcere e del processo di dissociazione in corso, sembrano tutti convergere su questa penosa vicenda umana, che riassume bene l’evidente barbarie della gestione e dell’amministrazione giudiziaria, meccanismi che impedendo la liberazione di un uomo che va spegnendosi lentamente, fanno vedere con chiarezza la volonta’ omicida di chi li manovra.
Cosi’ il ministro Martinazzoli, il capo del sistema carcerario dotto. Amato e, naturalmente, il buon Pertini solo per citare i piu’ noti si dichiarano apertamente contro il parere negativo espresso dai giudici rei di applicare alla lettera la legge votata in parlamento] alla richiesta di liberazione avanzata dagli avvocati di Naria. Al di la’ del significato umano bisogna chiedersi cosa si cela dietro questi falsi appelli e dietro gli accessi dibattiti promossi da ogni lato. Esistono interessi politici che muovono le varie forze scese in campo. Interessi ai quali la vita del detenuto importa poco o nulla.
Sappiamo tutti che lo Stato, col varo della nuova legge sulla carcerazione preventiva, che ne ha ridotto i tempi, e con la graduale disattivazione delle norme restrittive del famigerato art. novanta, si appresta a dare un diverso assetto al controllo interno delle carceri, un assetto piu’ razionale di quello che era stato impostato sulle carceri speciali e sui braccetti della morte. La barbarie potra’ cosi’ viaggiare meglio sui binari di una socialita’ interna differenziata. L’impiego dell’apparato giuridico a scopi esclusivamente politici emerge attraverso le agevolazioni previste per chi si dissocia dal ‘’terrorismo’’. Comprendenti sconti di pena e nuove possibili ‘’aperture’’.
Lo Stato esce progressivamente dal tunnel dell’emergenza e regolarizza la sua nuova posizione di dominio in tutti gli ambiti della societa’. Chiuso il periodo di conquista dei settori sociali che gli erano stati strappati dalla lotta e resi autonomi davanti alla sua ingerenza, adesso si accinge ad un definito controllo. Le caratteristiche di questo controllo non saranno piu’ quelle basate sulla strategia militarista, ma si rivolgeranno essenzialmente alla ideologizzazione del consenso, cosi’ da normalizzare i comportamenti sociali ‘’devianti’’. Lo Stato vuole adesso promuovere ed attivare dal basso nuove figure di operatori e controlli sociali, inserite delle microstrutture del territorio. Tra questi tristi figuri, oltre agli psicologi e ai sociologi, spicca quella del dissocio logo dall’antagonismo.
Da cio’ l’attuale spettacolo di posizioni politiche ruotanti attorno al fenomeno della dissociazione [dal documento dei cinquantuno di Rebibbia a quello dei quaranta firmatari al processo Prima Linea di Torino, fino agli attuali documenti dei tredici sempre a Torino o a quelli usciti dal processo Prima Linea a Milano]. Le ‘’aree omogenee’’ dilagano dappertutto e sono sotenute persino da Amato. Non si tratta piu’ di gruppi ristretti, ma e’ una massa compatta all’interno delle carceri che prende la strada della dissociazione, trovando sostenitori anche fuori del carcere e dando vita ad un labirinto di posizioni in cui non e’ facile districarsi.
Tutti aspettano ulteriori precisazioni da parte dello Stato riguardo il ruolo che intende affidare a questi soggetti riveduti e corretti, e questo argomento e’ oggetto di battaglia politica in parlamento [esiste,ad esempio, un’area di dissociati laici, una di dissociati cattolici, un’altra di cosiddetti ‘’integralisti’’ e cosi’ via].
Se all’interno del carcere la maggior parte dei detenuti politici si e’ trovata invischiata nel progetto di dissociazione che lo Stato vuole realizzare, all’esterno le cose non vanno diversamente. Un’ampia parte degli ambienti rivoluzionari insiste nel dare vasta eco alle iniziative di dissociazione che vengono dal carcere. Persino alcuni ambienti libertari sembrano equivocare e con troppa faciloneria mostrano di appoggiare tale progetto, solidarizzando con posizioni dissoci azioniste assunte da alcuni detenuti che si fregiano del termine ‘’anarchico’’, godendo cosi’ di ‘’cittadinanza’’ nel nostro movimento, sempre piu’ saturo di un conformismo acquiescente che viene spacciato per ‘’tolleranza’’.
La questione va seriamente considerata ed analizzata, soprattutto per le conseguenze negative che si ripercuotono sul nostro agire sovversivo. L’assunzione di simili posizioni porterebbe il movimento anarchico sul terreno del possibilismo politico e delle transizioni col potere, terreno caro ai componenti autoritarie che con esso giustificano la propria esistenza e conversione.
Una parte del movimento anarchico e’ rimasta finora estranea alla questione della repressione e del controllo sociale. L’interesse che ora mostra e’ legato soprattutto alle nuove posizioni assunte da alcuni detenuti libertari dissociatisi dalle pratiche e dalle motivazioni che li rendono una volta soggetti anatagonisti allo Stato e al Capitale.
Tale improvvisa convergenza di interessi, tra questi detenuti e quella parte del movimento anarchico, emerge da un parallelismo di vedute riguardo il valore che ambedue attribuiscono al liberalismo, al socialismo e alla democrazia.
Per rendersi conto di cio’ basta leggere i diversi articoli pubblicati su alcune riviste anarchiche, dove emerge chiaramente la scelta di muoversi solo in un ambito di studio e di intervento culturale.
Partendo da una autocritica del proprio percorso di lotta i dissociati giumgomo ad azzerare qualsiasi rapporto conflittuale con le istituzioni. Si collocano quindi direttamente all’interno del dibattito e della mediazione parlamentare che cercano di recuperare ogni conflittualita’ sociale. E siccome questa autocritica nella sua soggettivita’ cerca di rivalutare lo spazio individuale precedentemente tanto trascurato. Ne consegue che finisce per far propria l’utopia del liberalismo moderno che vorrebbe umanizzare e socializzare le strutture statali, rinchiudendole in una sfera d’azione molto ristretta di quella attuale. Per un’altra strada questi detenuti convergono con quella parte del movimento che pacificamente ed utopisticamente pensa di svuotare lo Stato dalle sue funzioni agendo progressivamente dall’interno con l’impiego di una cultura libertaria di massa in grado di proporre contro strutture societarie autonome. Si tratta di un progetto che vorrebbe realizzare la massima liberale del ‘’minimo intervento dello Stato nella societa’’. Il ‘’seme sotto la neve’’ cui parlava Kropotkin.
Un’altra parte del movimento anarchico, anche se in maniera diversa e molto piu’ contenuta, mantiene nei riguardi della dissociazione un atteggiamento di attendista disponibilita’, frutto di una mancanza di analisi e di una incapacita di proposte autonome. Cosi’ il rimandare sempre la discussione sui contenuti non fa altro che riproporre immutato il problema adeguandosi senza dirlo chiaramente alle posizioni dissoci azioniste.
E’ questo il caso di alcune proposte che sembrano un po’ meglio di tante altre e che spingono compagni anche generosi a sostenerle, come ad esempio la proposta dell’amnistia lanciata dagli scalzoniani e ripresa da alcuni anarchici sulle pagine di giornali di movimento. Costoro accarezzano soluzioni politiche ma con un minimo di dignita’ e di atteggiamento ostile nei confronti dello Stato. Insomma, vorrebbero rimanere antagonisti ma, nello stesso tempo, trattare la liberazione dei compagni secondo tempi e modalita’ dettati da loro, pur non possedendo la forza rivoluzionaria adatta ad imporli. Che dire di una simile posizione? Vorrebbero avere contemporaneamente ‘’la botte piena e la moglie ubriaca’’.
Occorre capire che tutte le proposte, da quelle piu’ disponibili ad un dialogo con lo Stato a quelle piu’ dignitose, nella realta’ si differenziano solo per gradi diversi e per una maggiore o minore riluttanza morale, pur essendo tutte costrette a misurarsi sul terreno interno alle istituzioni e a fare i conti con gli stessi problemi. Le prime, anzi, mostrano di possedere piu’ realismo politico, maggiore senso pratico e un piu’ disinvolto cinismo nel barattare senza riserve quanto posseggono, consapevoli del prezzo stabilito dallo Stato per ottenere qualche beneficio.
L’opuscolo che pubblichiamo si inserisce nel corso vivo degli avvenimenti finora accennati, divenendo materiale per un dibattito interno-esterno al movimento anarchico, possibilmente allargato a quella parte del movimento rivoluzionario che vaga alla disperata ricerca di una strada diversa da quella tracciata dal potere. La sua indubbia attualita’ – nonostante sia gia’ apparso nel marzo di quest’anno nella rivista ‘’Anarchismo’’ – la si constata nei giudizi e negli elementi di analisi che presenta, oggi non piu’ felici intuizioni di quanto allora andava profilandosi nel dibattito sul problema del carcere, ma realta’ palpabile costituita da fatti e decisioni che ci investono tutti molto da vicino.
Il compagno autore dell’opuscolo si preoccupa soprattutto di ripercorrere, fuori dai santuari ideologici e dei luoghi comuni, tutte le tappe dei percorsi che determinano le forme aggregative espresse dal movimento rivoluzionario negli ultimi anni, il relativo dibattito teorico, gli strumenti impiegati e le azioni realizzate. Egli ne coglie pregi e difetti, limiti e contraddizioni, cercando, nel contempo, di ricucire un filo logico capace di farci uscire da questo ‘’laisser faire’’ che apre le porte all’azione repressiva e al controllo dello Stato.
Inquadrare i problemi con precisione e’ oggi molto importante, soprattutto per non cadere nel ripiego di prospettive e in compromessi che fatalmente ci trascinerebbero all’interno del labirinto dissociativo negandoci ogni possibile azione diretta a trasformare la realta’.
Molti compagni troveranno argomenti e concetti a loro assai noti. E anche altri nuovi, espressi attraverso un linguaggio che parla per immagini e richiama momenti di esaltanti speranze e momenti di difficolta’ e sconforto. Si tratta di un invito a riconsiderare criticamente tutta l’esperienza passata allo scopo di cogliere i significati e le cose positive o negative di questa nostra recente, e pure cosi’ lontana, esperienza di lotte. E cio’, non per spiegare il passato, ma per fornire strumenti all’azione futura, rimuovendo cause ed effetti degli errori commessi, allo scopo di potere ripartire da basi concrete, piu’ adeguate alla realta’ in cui viviamo.
Davanti all’urgenza dei problemi che ci aspettano e dei compiti che vogliamo assumerci come anarchici e rivoluzionari, dobbiamo travalicare i limiti dei luoghi comuni e del gia’ dato, facendo in modo che l’aggregarsi non sia piu’ adesione formale alle idee libertarie, ma intima ricerca di una pratica coerente da espletarsi qui e subito attraverso un’azione sociale.
E se in questa impresa non ci mancheranno la passione, l’intelligenza e la sufficiente determinazione, qualche raggio di luce comincera’ a squarciare le tenebre che avvolgono la realta’ attuale.

PIERLEONE PORCU
Ottobre ‘84

(estratto da ‘’E NOI SAREMO SEMPRE PRONTI A IMPADRONIRCI UN’ALTRA VOLTA DEL CIELO’’
Contra L’amnistia.
Alfredo M. Bonanno – Edizioni Anarchismo – ottobre 1984.)

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