sabato 24 marzo 2012

"Cronaca sovversiva",


(Il momento politico, "Cronaca sovversiva", 1916)
Se in apparenza l’odierna battaglia elettorale può sembrare una lotta fra democrazia politica e dispotismo, in verità essa è invece la lotta fra democrazia finanziaria e monopolio. Qui mi fermo un po’ per chiarire e provare questa mia asserzione. Che cosa vuolsi dire per democrazia finanziaria? Intendo così denominare quel ceto intermedio tra il proletariato e la plutocrazia, che secondo la profezia marxista doveva man mano sparire per essere inghiottito dalla esigua ma aggressiva e vorace banda di pirati della banca e dell’industria, ma che si accresce e si allarga sempre più (…)
Più chiaramente: democrazia finanziaria appunto perché per i suoi interessi economici favorisce la democrazia di Stato. E per meglio raggiungere il suo scopo, solletica e stimola anche le classi lavoratrici, spronandole a cointeressarsi al governo della cosa pubblica, a rendere sempre più popolari le forme politiche esistenti; bussa alle porte delle unioni operaie per chiedere aiuto, e renderle fiduciose nelle iniziative dei pubblici poteri; rafforzando così la pratica riformistica, la tendenza quietista delle organizzazioni operaie, soffocandone ogni aspirazione rivoluzionaria, e indirettamente finisce per favorire il capitalismo statale (…).
Certamente noi anarchici vorremmo che di presidenti non se ne eleggessero: di nessuna sorte. Vorremmo che di elezioni non se ne facessero affatto. Ma intanto — siccome ai miracoli non ci crediamo — supponiamo che il giorno delle elezioni la popolaglia non farà la rivoluzione, ma andrà a votare e a consacrare col suo voto la sua servitù.
Ed allora: è del tutto futile augurarsi la vittoria dell’uno piuttosto che dell’altro candidato in lizza? Al primo colpo vien fatto di dire: ma sicuro. (…) Per gli anarchici, infatti, il male non consiste nel modo di governare, ma nel fatto in sé di governare, cioè nello stesso governo, quale esso sia.
Ma se pur rimanendo nel nostro punto di vista anarchico volessimo considerare gli eventi con occhio storico, allora, io dico, non è ozioso fare la scelta fra i due contendenti: cade in acconcio di domandare se per la salute del proletariato siano più efficaci i panni caldi della politica democratica e quietista, oppure le docce fredde d’un imperialismo economico e militare, vorace, aggressivo, impetuoso. (…)
Chi ha a cuore, soprattutto e innanzitutto, gli interessi immediati e diretti del proletariato, è per la politica democratica: ciò è risaputo.
Io guardo all’avvenire e la combatto. Perché l’oppio democratico svirilizza le classi lavoratrici, favorisce l’apatia, la sonnolenza, la morte d’ogni iniziativa dal basso, e l’apatia, la sonnolenza, lo sbadiglio sono dannosi e letali alla causa della rivoluzione. Perché la politica democratica induce il proletariato a fidare nelle iniziative dei pubblici poteri e non nelle proprie forze (…) Perché la democrazia scansa o smorza il conflitto, e soltanto da un conflitto con un capitalismo aggressivo e pugnace può prorompere lo scoppio violento delle ire plebee. Perché sotto la sferza e il pungolo di un imperialismo audace, il popolo lavoratore cesserà di credersi libero, perderà la fiducia nei suoi santi protettori, uscirà dalle ridotte della collaborazione di classe, per affrontare in campo aperto il nemico e colpirlo al cuore.



(La beffa è cominciata, "Cronaca sovversiva", 1913)
Invero, la lotta elettorale non è che una carnevalata. Né più, né meno.
Io non sono mai stato un candidato alla medaglietta, non è quindi un’indagine introspettiva che mi fa parlare. Ma son convinto che la vigilia della lotta elettorale è pel candidato, ciò che le antivigilie della befana sono per un marmocchio dodicenne, o pressappoco. Candidati ambedue. L’uno alla compiacenza dell’elettore, cosciente, l’altro alla compiacenza del buon papà.
Il marmocchio cerca di far dimenticare al babbo qualche scappata, sforzandosi di compiere ciò che in gergo proprio si direbbe una buona azione. Il candidato a deputato cerca di cancellare le partite nere del suo passivo, sciorinando le sue alte doti di mente e di cuore, ricordando i numerosi nonché importanti servigi resi al re, alla patria, al partito, all’ideale, e al popolo sovrano, a seconda se la piattaforma è decorata con i tre colori, o col drappo rosso tutt’un fondo. La lettera d’auguri e di ravvedimento che il marmocchio nasconde sotto il piatto di papà durante la cena tradizionale della vigilia di Natale, è il discorso programma che il candidato presenta ai suoi elettori la vigilia del grande cimento che deciderà delle sue sorti.
In ambedue i casi, viene coniugato con insolita frequenza il verbo proporsi.
C’è un’altra somiglianza. Infatti il popolo sovrano, che al deputato ha largito i suoi suffragi, all’indomani dell’elezione viene a trovarsi nell’identica posizione in cui immancabilmente viene a trovarsi il babbo, che al suo marmocchio ha largito i balocchi. Ambedue rimangono con un palmo di naso. Perché il babbo non tarderà ad accorgersi che i propositi di suo figlio sono rimasti tali, come l’elettore dovrebbe accorgersi che tali sono rimaste le promesse del neo deputato. Passata la festa, gabbato il santo, dice l’antico proverbio. (…)
Noi della politica abbiamo un sacro orrore. Come diceva ai suoi bei tempi la buona anima di Andrea Costa, ci faremmo il segno della croce se l’esorcismo valesse ad allontanare da noi la politica come l’acqua santa dal diavolo.

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