domenica 11 marzo 2012

Cómplices de la tortura


Las mentiras de los medios de comunicación y de la (in)Justicia española, donde son legión los cómplices y encubridores de esa terrible lacra.

Comisión de la Verdad mediante, tarde o temprano van a quedar al desnudo todas las mentiras de las autoridades españolas respecto a la tortura. Y también las mentiras de los principales medios de comunicación y de la (in)Justicia española, donde son legión los cómplices y encubridores de esa terrible lacra.

Respecto a los media, la mayor responsabilidad recae en ciertos periodistas especializados en difundir noticias filtradas por «fuentes antiterroristas», entre los que sin duda se lleva la palma Jesús María Zuloaga, de «La Razón». No en vano fue el elegido para filtrar las principales mentiras de la Guardia Civil para exculpar a los torturadores de Portu y Sarasola.

Según esos periodistas tan especializados en la intoxicación, las fuerzas policiales españolas consiguen que los militantes vascos detenidos e incomunicados canten hasta «La Traviata» y «delaten abiertamente» a sus compañeros, empleando «técnicas no agresivas». Lo malo para ellos es que, al mismo tiempo, los media han venido subrayando una y otra vez el «mutismo habitual» de ese mismo tipo de militantes cuando son sometidos también a incomunicación en el Estado francés.

Cuando se constituya una Comisión de la Verdad, semejante contraste entre ambos estados les va a dejar muy en evidencia no solo a ellos sino a innumerables medios de comunicación que no podrán alegar ignorancia sobre lo que realmente estaba sucediendo mientras guardaban un silencio cómplice.

Otro tanto se puede decir de la (in)Justicia española que, además de escudarse en la falta de pruebas que provoca la incomunicación para archivar las denuncias de torturas, insiste en que esas denuncias son falsas y obedecen a consignas de «ETA y su entorno».

Esos jueces que hablan de manuales para denunciar torturas inexistentes no pueden pretender que pensemos que se creen esa infame mentira, porque tienen delante de sus narices una prueba flagrante de cómo se arrancan esas confesiones según ellos obtenidas limpiamente: el mismo tipo de militantes que ha guardado siempre un absoluto mutismo en dependencias policiales francesas lo cuentan todo con pelos y señales en las españolas. Y el resto de jueces que nada hacen para terminar con esa lacra y exigen pruebas imposibles a los torturados tampoco podrán alegar en un futuro una ignorancia imposible. En esa complicidad y encubrimiento de la tortura hay también diferentes grados de responsabilidad, y en este caso no voy a mencionar al que se lleva la palma, porque son muchos, entre ellos Garzón, sino a quien ocupa el puesto más relevante en la Justicia del País Vasco: Juan Luís Ibarra Robles, Presidente de su Tribunal Supremo.

Cuando Ibarra era director general en el Ministerio de Justicia e Interior, en 1995, fue el encargado de responder por primera vez al Comité de Prevención de la Tortura, CPT, del Consejo de Europa, que desde 1991 venía solicitado a las autoridades españolas que implementaran varias medidas preventivas en caso de detenciones incomuni- cadas. Unas medidas que más de 20 años después siguen sin ser implementadas. La más sencilla de todas esas medidas es la de que se comunique a un familiar del detenido el lugar de custodia. Y como Ibarra no podía explicar por qué se niegan a decir dónde se encuentra el detenido después de que la detención haya sido conocida públicamente, recurrió a la mentira pura y dura. Aseguró que «es una práctica habitual la de informar a los familiares del hecho de la detención y el lugar donde se halla la persona detenida cuando estos se dirigen a dependencias policiales». Lo cual era radicalmente falso.

También pretendió que «esa medida legal [de no notificar la custodia a los familiares] en gran medida no se utiliza, ya que su propósito queda seriamente afectado por el hecho habitual de que algunos medios de información den a conocer la identidad de las personas detenidas». Es bien cierto que la identidad de los detenidos era y es casi siempre rápidamente conocida, pero no lo era en absoluto que la medida no fuese apenas utilizada. Volvió a mentir con alevosía y premeditación, como lo han seguido haciendo las autoridades españolas hasta nuestros días.

Y también han seguido sus pasos en lo de prometer en falso que esa medida sería aplicada «tan pronto como una detención incomunicada sea públicamente conocida».

Casi 17 años después, siguen sin cumplir ni aquella promesa de Ibarra ni las posteriores. Y mintiendo con el mismo descaro de siempre al CPT, para justificar la increíble negativa a hacer obligatoria una medida preventiva que no supone absolutamente ningún riesgo para las investigaciones policiales.

Juan Luis Ibarra Robles es un buen ejemplo de cómplice y encubridor de la tortura situado en altas instancias del Estado, pero no deja de ser uno más en un estado completamente carcomido por esa lacra. Por eso es tan necesaria una Comisión de la Verdad que ponga en su lugar a todos ellos y ofrezca por fin a los miles de víctimas de la tortura el reconocimiento que se merecen. En nuestras manos está el conseguir que se constituya cuanto antes.

http://www.lahaine.org/index.php?p=60115


Complici della tortura

da Fear to sleep



La Commissione della Verità metterà, prima o poi, a nudo tutte le menzogne delle autorità spagnole inerenti alla tortura. E le bugie dei media mainstream e dell'ingiustizia spagnola, sono una legione che aumenta questo terribile flagello.
Per quanto riguarda i media, la responsabilità maggiore ricade su alcuni giornalisti che diffondono notizie filtrate con la nomea di "fonti anti-terroristiche", e tra queste fonti vi è Jesus Maria Zuloaga, di "La Razon". Non per niente è stata scelto come elemento per filtrare le bugie principali della Guardia Civil per discolpare i torturatori de Portu e Sarasola.

Secondo questi giornalisti specializzati nell'intossicare l'etere [con le loro cazzate], la polizia spagnola arriva a far cantare ai militanti baschi detenuti in isolamento "La Traviata" e "tradiscono apertamente" i loro compagni, il tutto con "tecniche non-aggressive" da parte della Guardia Civil. Il rovescio della medaglia per loro è che, i media stanno a sottolineare più e più volte il "silenzio abituale" degli stessi militanti baschi, quando sono anche soggetti al confino nello stato francese.
Dopo l'istituzione di una Commissione di Verità, è sorto un contrasto tra i due Stati sul rendersi conto come molti mezzi di comunicazione non ignorano volutamente quello che sta accadendo, mantenendo un silenzio complice.
Lo stesso può essere detto a proposito della (in)giustizia spagnola, che oltre a nascondersi dietro la mancanza di prove che conduce al confino i militanti baschi, afferma che le presentazioni delle denunce di tortura ai danni dei militanti baschi siano false e anzi, obbediscono alle istruzioni dell' "ETA e dei suoi sostenitori '.

Quei giudici che parlano di manuali per denunciare le torture inesistenti non possono pretendere di pensare che si tratti di una infame menzogna, perché hanno davanti agli occhi la prova lampante di come quelle confessioni si sono avute: lo stesso tipo di militanti che sono sempre stati in un silenzio assoluto, quando sono stati catturati dalle forze di polizia francesi, hanno parlato quando invece sono stati catturati dalla polizia spagnola. E gli altri giudici che non fanno nulla per porre fine a questo flagello e richiedono prove impossibili su chi siano questi torturatori, invocano un futuro di ignoranza insostenibile. A questa complicità della tortura ci sono anche diversi gradi di responsabilità, e in questo caso mi riferisco a molti, ma tra questi vi è Juan Luis Ibarra Robles, presidente della Corte Suprema e personaggio di spicco quando si è trattato dei casi dei militanti baschi.

Quando Ibarra è stato direttore generale presso il Ministero della Giustizia e dell'Interno, nel 1995, gli è stato chiesto di rispondere per la prima volta al Comitato per la prevenzione della tortura, CPT, del Consiglio d'Europa, che dal 1991 aveva chiesto alle autorità spagnole di risolvere i vari casi di misure preventive applicate e soprattutto detenzione segrete. Ma tali misure non sono state corrette, e sono passati più di 20 anni. La più semplice di tutte queste misure è di contattare un parente del detenuto nel luogo di custodia. E Ibarra, da bravo faccia di bronzo, ha spiegato il perché si rifiutano di dire dove la persona è detenuta, con tutto che la detenzione è diventata di dominio pubblico, facenso ricorso alla menzogna pura e semplice. Ha detto che "è pratica comune informare i parenti del fatto di arresto e l'ubicazione del detenuto, quando sono lo decide la polizia." Che è fondamentalmente falso e sbagliato.

Egli ha anche affermato che "questo atto giuridico [di non notificare la custodia ai parenti, è] in gran parte poco utilizzato, poiché il suo scopo è seriamente compromesso dal fatto che alcuni mezzi di comunicazione comuni rivelano l'identità degli arrestati". E' vero che l'identità degli arrestati si viene a sapere rapidamente, ma non è vero che questa misura sia poco utilizzata. Mentono con malizia e premeditazione, come hanno continuato le autorità spagnole fino a oggi.

E [i mezzi di comunicazione] hanno seguito le sue orme, come falsamente promesso che questa misura sarebbe stata attuata "non appena si pubblica la detenzione"

Quasi 17 anni dopo, continuano a fallire, come la promessa di Ibarra o dei suoi "eredi". E giace negli uffici del CPT, il fornire una giustificare per il rifiuto incredibile nel rendere obbligatoria una misura preventiva, che non è assolutamente rischioso per le indagini della polizia.
Juan Luis Robles Ibarra è un buon esempio di complice e mantenitore dei più alti livelli di tortura e dei torturatori situati nello Stato. Ecco perché è necessario una Commissione per la verità: bisogna mettere sotto la luce del sole quello che è successo alle vittime della tortura e denunciare tali abusi. E' nelle nostre mani la creazione di tale Commissione. (tradotto da NexusCo)

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