domenica 11 marzo 2012

Bologna - Azione solidale No Tav a teatro


riceviamo e diffondiamo:

FORZA LUCA! FORZA NO TAV CHIUSI NELLE GABBIE DELLO STATO! NON SARANNO I MANGANELLI, I SERVI IN DIVISA DELLO STATO, I TRIBUNALI E I CONFINI A FERMARE LA LOTTA! NO TAV OVUNQUE!

BOLOGNA - Il giorno 09/03 prima dell’inizio dello spettacolo di Ascanio Celestini "Pro patria. Senza prigioni e senza processi" un gruppo di solidali No TAV ha fatto irruzione nel teatro Arena del Sole, srotolando dal palco uno striscione che recitava “Giù le mani dalla Val Susa – Forza Luca!” tra gli applausi dei presenti e leggendo un testo sulla lotta No TAV.
Ricordiamo il prossimo appuntamento del Presidio Permanente No TAV

ASSEMBLEA NO TAV BOLOGNA – LUNEDI' 12/03/ 2012 ORE 19 – AULA A
FACOLTA' SCIENZE POLITICHE – STRADA MAGGIORE, 45

DI SEGUITO IL VOLANTINO DISTRIBUITO A TEATRO:


A SARÁ DÜRA!
La storia del movimento NO TAV è quella di una lotta che da più di 20 anni si batte per la salvezza del proprio territorio. I valsusini, insieme a complici e solidali che attorno a loro si sono stretti in questi decenni, hanno deciso di ribellarsi all'assurda imposizione da parte dello Stato di un progetto inutile ed infestante. Ci si è mossi contro questa violenza in difesa delle montagne, per la salute dei propri figli, per l'aria che si respira e per una libertà futura di poter decidere autonomamente delle proprie foreste e della propria vita.
La lotta NO TAV passa dai comitati popolari di lotta, dalle polentate, dai blocchi di strade e treni, dalle decine di migliaia di individui che si sono avvicinati a questa valle che resiste e, andando indietro nel tempo di 14 anni, alle prime azioni di sabotaggio contro il treno veloce che si verificarono proprio in valle tra il '96 ed il '98. Per questi ultimi fatti si ebbe una delle prime operazioni repressive conclusa nel marzo del '98 con gli arresti di Silvano Pellissiero, Edoardo Massari (Baleno) e Maria Soledad Rosas (Sole) con l'accusa di aver organizzato e partecipato a quelle azioni di sabotaggio. Nella solitudine del carcere, nell'isolamento, Sole e Baleno vennero suicidati dallo Stato.
Uno Stato che emette la propria condanna di morte attraverso le sue gabbie per castigare chi osa alzare la testa per ribellarsi, per autodeterminarsi, per non sciogliere la propria rabbia solo in un misero rivolo di parole a cui non seguono i fatti.
Ma i fatti in Val Susa non si fanno attendere. Da questi monti possiamo imparare molto, possiamo apprendere il linguaggio della resistenza, una nuova grammatica partigiana utile per riprenderci ciò che ci spetta.
L'8 dicembre 2005 più di 50mila persone non indietreggiarono davanti a cariche e manganellate liberando la piana di Venaus da operai e forze dell'ordine. Sono passati 7 anni da quel lontano giorno e la Val Susa si ritrova ora militarizzata, un vero scenario di guerra in cui un'intera porzione di valle è stata recintata per la costruzione di un fortino dove le forze del disordine si sono asserragliate per difendere un cantiere che non c'è. Si fa tanto un gran parlare di operai all'interno di questo fantomatico cantiere ma il loro lavoro fino ad oggi è stato quello di costruire recinzioni a protezione degli sbirri, reti per sottrarre ai valligiani i propri sentieri, i vigneti, gli alberi, ed impedire che la rabbia di questi ultimi tracimasse i margini imposti al dissenso e si andasse a riconquistare ciò che era stato sottratto con la forza e l'abuso.
Dove ora sorge il cantiere-fortezza, gli abitanti della valle, i solidali, tutto il movimento NO TAV, aveva dato vita nell'estate scorsa ad una delle esperienze più importanti per ciò che riguarda le lotte territoriali e l'autogestione delle stesse. Era stata proclamata una Libera Repubblica della Maddalena in cui gente da tutta Italia e dall'estero si era unita ad anziani, gente di valle, nel viversi la riappropriazione di un territorio liberato dalle logiche mefitiche del profitto che stanno devastando con il TAV ed altri progetti assurdi l'Europa e il mondo intero. Per chi si è vissuto quelle giornate è stato facile riconoscere in quell'esperienza un qualcosa che va al di là di un semplice presidio allestito per impedire la realizzazione di un cantiere, si tratta invece di uno spazio sottratto alla sovranità statale in cui si condividono cibo, discussioni, musica e costruzione delle barricate; dove si esce dalle celle metropolitane in cui la nostra vita frenetica, figlia del progresso, ci rinchiude per farci godere di una non-libertà davanti alla voce starnazzante di un televisore.
Ebbene allo Stato e ai suoi sgherri in divisa, certe esperienze, certi esempi, non piacciono e sono per loro da annichilire prima che dilaghino destrutturando la pretesa dello Stato di imporre ovunque il suo dominio.
Il 3 luglio diversi cortei oceanici invasero la valle, quel giorno si coagulò un insieme di solidarietà, di mutuo appoggio fra i manifestanti, di determinazione. Le diverse pratiche d'azione si sublimarono in un'armonia di attacco che andava dalla resistenza non-violenta allo scontro diretto con le forze dell'ordine; quel giorno si urlava siamo tutti black block.
E non è certo un caso che tutta la popolazione in lotta esalti questa figura simbolo di azione diretta contro la violenza istituzionale, in molteplici occasioni utile per i padroni all'ormai storica differenziazione tra buoni e cattivi.
Non è un caso che le diverse modalità di agire nella valle si compenetrano sfuggendo alla strategia del divide et impera che si vorrebbe applicare dall'alto.
C'è un motivo ben preciso perché tutto ciò accade; lo Stato ha dimostrato infatti quanto non sia solo prepotente ma anche e soprattutto nemico dei valligiani e di tutti i NO TAV; lo ha fatto con la violenza cieca e brutale dei suoi cani rabbiosi, con l'arroganza propria di un colonizzatore che invade senza il minimo rispetto territori che non gli appartengono, con la volontà imperitura di continuare il progetto del traforo pur sapendo che nelle montagne sono presenti in gran quantità amianto ed uranio e dunque, in poche parole palesando la propria disponibilità a farsi carico della distruzione di un ecosistema, delle malattie e dei morti che ne deriveranno.
Il 25 febbraio di quest'anno, circa 75mila persone sono tornate in Valle per ribadire la loro volontà di resistere. Forza di volontà che non è stata scalfita dalle cariche nella stazione di Porta Nuova, né dallo sgombero della Baita Clarea che è quasi costato la vita a Luca Abbà, arrampicatosi su un traliccio e fatto cadere da un rocciatore.
Ma la valle non ha paura e lo dimostra reagendo con tutti i metodi possibili, lanciando appelli ai solidali presenti nelle varie città italiane. Nelle discussioni non ci si divide più su quale forma di protesta adottare, perché si e' radicata la convinzione e la consapevolezza del fatto che l'unica violenza è quella utilizzata dalle forze di polizia nelle cariche, nelle torture, nelle cacce all'uomo. Per questo si difende a fronte unito un ragazzo messo in croce dai giornali per il solo fatto di aver urlato in faccia a un celerino “pecorella”.
La sproporzione e' evidente, così come la sfacciataggine di utilizzare due pesi e due misure. Ma la totale mancanza di vergogna è un sentimento comune ai nostri tempi, spesso proporzionale alla funzione di potere che chi la esibisce, occupa. Pensiamo ad esempio, al procuratore Caselli, campione della magistratura democratica e sinistrosa, padre dell'inchiesta che ha colpito 54 nostri compagni di viaggio portandone molti in carcere, confinandone altri ai domiciliari o all'obbligo di dimora. Si evidenzia nella scelta delle persone da arrestare (tra i valligiani il barbiere di Bussoleno e un consigliere comunale armato di pericolosissime stampelle; tra i solidali gli incarceramenti sponsor di ex militanti, vicini alla lotta armata negli anni '70).
Questa stessa mancanza di vergogna emerge nelle dichiarazioni rese alla stampa l'indomani degli arresti in cui il procuratore descrive una fantasiosa costruzione secondo cui la valle è infestata da violenti forestieri che nulla hanno a che fare con il movimento NO TAV. Rasenta il disgusto quando perdendo l'ennesima occasione per stare zitto si esibisce in un patetico paragone tra i solidali con gli arrestati che lo contestano e i familiari dei camorristi.
Caselli sta in questi giorni girando - non indisturbato - per la promozione del suo libro intitolato “Attacco alla giustizia”. Caselli ha ragione. C'è un attacco alla giustizia in questo paese e in tutti gli altri Paesi dotati di apparato statale. C'è un attacco storico, continuo e ripetuto alla giustizia sociale portato avanti da chi appunto pretende di amministrarla chiamando violenza la resistenza di una popolazione ad un abuso, e definendo giustizia quella che emana da sé. Caselli e tutti i suoi colleghi, i loro accoliti, i governanti, le istituzioni, attaccano ogni giorno da secoli la giustizia perché attaccano la libertà individuale e collettiva di ognuno.
Ci chiamano cittadini e ci hanno già ingabbiati in un recinto di diritti, doveri e punizioni. In Val Susa molti stanno prendendo coscienza di ciò ed è per questo che l'attacco è stato sferrato in questo modo. Quello che il potere vuole fermare non è la Valle in quanto tale ma il modello di lotta che generalizzandosi creerebbe davvero gran problemi ai governanti.
Per questo i compagni arrestati vanno sostenuti in ogni modo possibile, perché sono dei capri espiatori di una situazione non etichettabile dal punto di vista giudiziario. Solo falsificando la realtà e mettendo in atto rappresaglie contro i singoli, lo Stato può tentare di depotenziare e delegittimare la resistenza. E se di questo si sta parlando allora, noi ci sentiamo onorati di questa accusa che rimanda alle nostre memorie, al sangue partigiano versato dai nostri nonni che nonostante le intimidazioni e le violenze, non arretrarono di un passo su quegli scoscesi sentieri di montagna.
Urliamo la nostra solidarietà ai compagni e fratelli che si trovano nelle mani dello Stato e, dalla Val Susa in lotta, che il vento la possa portare oltre le mura di quelle carceri che tanto odiamo.



http://www.informa-azione.info/bologna_azione_solidale_no_tav_a_teatro

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