giovedì 2 febbraio 2012

Estratti da: Xosé Tarrío Gonzáles, Huye hombre huye, Diario di un prigioniero F.I.E.S., Edizioni La Caffettiera, 2000


Huye hombre huye è la storia dell'infinita permanenza in carcere di Xosé Tarrío González, entrato in galera per scontare un breve periodo detentivo e finito ad accumulare condanne su condanne da scontare nelle peggiori carceri spagnole in regime Fies. È anche la storia di un continuo tentativo di evsione, di una continua ribellione e della scelta di non rassegnarsi mai alla prigionia, anche quando il carcere sassume il volto di una vera e propria tomba per vivi.

Si avvertiva un clima prossimo alla violenza, perciò ricevemmo la visita di un ispettore della Direzione Generale delle istituzioni penitenziarie. Da ogni modulo vennero scelti due detenuti per dialogare ed esporre i problemi di tutti gli altri. Io ed un altro compagno andammo come portavoce del modulo 1. Il dialogo si svolse in un ufficio dell'infermeria, il mio compagno entrò per primo mentre io aspettavo scortato da un paio di secondini. Concluso il colloquio con il mio compagno, entrai nell'ufficio.
Vi era un uomo ben vestito e scrupolosamente pettinato che mi sorrideva apertamente con un sorriso di facciata. Pretendeva creare un clima di fiducia tra noi. Mi salutò:
- Salve, come va?
Mi sedetti di fronte a lui e gli risposi, cortese:
- Salve.
- Lei è Xosé Tarrìo, vero? - domandò
consultando una lista di nomi, che aveva annotatati su un foglio.
- Sì, vengo dal modulo uno.
- Bene, bene. Sono venuto per vedere se avete qualcosa da dirmi. Qui è morto uno di voi per una pugnalata e noi vogliamo sradicare questo ed altri aspetti del carcere di Daroca, che è sempre stato molto problematico. Come si vive qui?
- Male, rispondendo all'ultima domanda. Per il resto, la violenza esiste e continuerà sempre ad esistere finché le carceri manterranno atteggiamenti repressivi così selvaggi e insisteranno nel tenere tutti i detenuti in uno stesso luogo, senza prendere in considerazione altri aspetti umani, perlomeno quelli logici.
- Quali aspetti? - mi interruppe.
- I detenuti devono scontare la condanna nelle loro rispettive comunità, per evitare conflitti campanilistici e l'abbrutimento che in tutti noi provoca lo sradicamento familiare. D'altra parte non ci sono laboratori, né altre attività. La gente trascorre tutta l'ora d'aria nel patio, senz'altro intrattenimento che camminare. Trascorriamo ventidue ore su ventiquattro rinchiusi in cella, e così tutti i giorni della settimana, del mese e dell'anno. Ci vengono proibite le visite vis a vis, mentre ci portiamo sulle spalle anni di separazione dalla famiglia o senza avvicinare una donna. Ciò genera violenza, signore, in uomini che per la maggior parte sono condannati a lunghi. anni di carcere.
Feci una pausa per prendere respiro e riordinare i pensieri. Poi continuai:
- Noi detenuti di primo grado siamo già conflittuali, per questo ci rinchiudono qui; cosa si spera di ottenere se poi ci sottopongono ad un regime degradante e se ci opprimono nei bisogni fondamentali? Qui non funziona nemmeno l'infermeria. Vi sono i detenuti malati di AIDS in moduli senza una concreta assistenza medica, quella di questa prigione è pessima. Per ottenere una semplice palestra abbiamo dovuto distruggere il carcere intero, il che dimostra che a volte questa violenza è efficace e, se non lo è, perlomeno è l'unica strada che ci lasciano. Pestano noi detenuti per meschinità e questo, signore, non aiuta. Io non dico che voi fomentate la violenza di proposito, ma non riuscite a vedere la realtà dalle vostre comode sedie ed a causa dell'inesperienza umana. Noi detenuti sì che vediamo tutto questo insieme di cose che ci abbrutiscono giorno per giorno, fino a renderci crudeli e perfino insensibili.
- Diamine! Lei non lascia una via d'uscita. Vede le cose da un'ottica molto negativa, Tarrìo. Qualcosa di buono lo faremo, no? - mi interruppe di nuovo, mentre la sua mano destra giocava con una bic.
Risposi cinicamente:
- Guardi, ignoro il motivo per cui è venuto qui, ma non sarò io a fare l'apologia del terrorismo carcerario che voi utilizzate per punirci. Nel 1980 c'erano ventimila detenuti nelle carceri spagnole, oggi ne avete quarantamila. Sinceramente, credo che siete degli incompetenti per non aver saputo risolvere un problema sociale del quale siete stati incaricati. Da quanti anni vi portate dietro gli stessi problemi? Per un detenuto che riabilitate a metà, create cinque nuovi delinquenti; avete convertito il carcere in un affare, non in una soluzione.
Presi di nuovo respiro e proseguii emozionato:
- Il carcere in sé è violenza, signore. È la scuola del crimine per i delinquenti nati come me. Io e i miei compagni costituiamo il carnaio del quale si alimentano le vostre carceri, i vostri stipendi e i vostri grandi affari. Non ci si può aspettare nulla da chi non ha altro proposito se non quello di curare i propri interessi. Buongiorno! - conclusi, abbandonando l'ufficio.
Ancora un po' e mi sarei gettato su di lui.
No, quelli non avrebbero cambiato niente. Le istituzioni penitenziarie inviavano gli ispettori ogni volta che succedeva qualcosa di grave, o si presumeva che potesse succedere; allora cercavano di placare gli animi con false promesse che mai avrebbero mantenuto. Quei colloqui erano una pura routine, burocrazia per riempire delle scartoffie, giustificazione del lavoro di coloro che dirigevano da Madrid l'istituzione repressiva. Quelle carte erano lavallo con cui l'amministrazione si presentava dinanzi alla società, mostrando la sua preoccupazione per il regime carcerario. No, nulla poteva cambiare quel colloquio, come nulla avevano cambiato le centinaia di denunce che inviavamo ai tribunali di sorveglianza penitenziaria.
La soluzione dei problemi all'interno delle carceri passava irrimediabilmente attraverso l'unificazione delle lotte di tutta la popolazione reclusa: dai sequestri alle sommosse, dalle rivolte alle proteste. Solo con una violenza maggiore si poteva porre fine ai regimi distruttivi. C'era bisogno di una lotta armata all'interno delle strutture carcerarie e di un sollevamento popolare, le cui rivendicazioni avrebbero interessato i mezzi di comunicazione della società, assieme al grido di terrore degli aguzzini convertiti in ostaggi. Bisognava estendere la lotta a tutte le carceri, iniziando da quelle a regime speciale, passando poi per i regimi chiusi e terminando con quelli di secondo grado.

http://www.ecn.org/filiarmonici/huye.html

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