venerdì 21 ottobre 2011

Prove tecniche


Sabato 15 ottobre doveva essere la giornata mondiale dell'indignazione.
In tutto il globo erano previste centinaia di manifestazioni per protestare contro un sistema sociale che non sembra essere più in grado nemmeno di garantire una qualche sopravvivenza in cambio dell'obbedienza. Per questo, a Roma, si erano dati appuntamento tutti gli orfani piagnucolanti di una Democrazia tradita, di una Costituzione calpestata, di un Diritto negato.
Prima volevano puntare pomposamente sui palazzi del Potere per assediarli, poi hanno capitolato al ricatto questurino e accettato di dirigersi verso la periferia pur di autorappresentarsi.
Ma questa manifestazione nata triste non si è svolta come auspicato dai suoi organizzatori. Lungo il percorso ciò che esprimeva il privilegio della ricchezza e l'arroganza dell'autorità ha attirato la rabbia di chi è stanco di marciare e marcire, e si è organizzato per passare dalle parole ai fatti. In frantumi le vetrate delle banche e delle agenzie interinali, in fiamme l'edificio che ospita il tribunale militare del Ministero della Difesa. L'aria si è surriscaldata a tal punto che, al posto del rituale comizio alla fine di una tranquilla passeggiata, in piazza San Giovanni si sono sviluppati violenti scontri con le forze dell'ordine cui hanno preso parte alcune migliaia di manifestanti. Persone comuni, non solo teste calde giunte preparate e determinate allo scontro, ma donne e uomini che si sono battuti con tutto ciò che si sono ritrovati per le mani, anche a volto scoperto, contro una sbirraglia inferocita.
Quei disordini erano previsti da tutti, annunciati da settimane, promessi da diversi, auspicati da tanti. Com'era ovvio, sono scoppiati. Fanno solo ridere i sinistri ammiratori delle sommosse altrui, delle rivolte altrove, lesti ad inchinarsi davanti alla Magna Grecia in fiamme oppure a citare un ex presidente della Camera in pensione secondo cui è finalmente giunta l'ora della rivolta (!?), che oggi deplorano quanto avvenuto nella loro miserabile Itaglietta. Questi poveri di spirito e di passioni non riescono a capacitarsi che di fronte a un mondo in decomposizione, dove Stato e Mercato fanno a gara fra chi strazia più vite umane, ci possa essere chi non intende limitarsi ad una platonica espressione di dissenso. Privati del palcoscenico politico che avevano prenotato, hanno reagito com'è loro consuetudine. Come dieci anni fa a Genova, le forze politiche che mirano a farsi costituenti (interlocutrici di uno Stato che vorrebbero rinnovare) si sono distinte per i loro metodi talmente polizieschi da venir sconfessati persino da loro militanti. E per il futuro già annunciano il ritorno dei katanga (qualcuno ancora li ricorda negli anni 70, quando imperversavano alla Statale di Milano a caccia di incontrollabili non allineati), di robusti servizi d'ordine atti ad impedire che qualcuno possa uscire da percorsi prestabiliti ed imposti. Non volendo usarli contro i tutori dell'ordine infame, useranno i loro bastoni (o i loro caschi?) contro chi vuole metterlo a soqquadro. Una scelta di parte, senza dubbio.
Due giorni dopo è scattata la caccia all'anarchico, al «black bloc», al nerovestito. Polizia e carabinieri hanno effettuato un centinaio di perquisizioni in tutta Italia, in ambienti anarchici ma non solo, alla ricerca di abiti scuri e maschere antigas (il «kit del guerrigliero», lo chiamano). Il ministro Maroni, con il plauso del paladino della sinistra opposizione giustizialista Di Pietro, ha annunciato nuove leggi speciali che ridurranno notevolmente la possibilità di manifestare. Mentre la rete è invasa da immagini messe a disposizione degli inquirenti da parte di "onesti" cittadini al fine di identificare i «violenti».
È delazione di massa, la delazione di una massa talmente critica da ritenere che l'invocata trasformazione sociale radicale avverrà per illuminazione, come risultato di una raccolta firme, di un accampamento, di una consultazione elettorale, di una decisione assembleare, di un accordo politico azzeccato.
Sono prove tecniche di agitazione e di prevenzione. Ma sono prove i cui risultati producono e produrranno effetti da prendere in considerazione, senza crogiolarsi in un ebbro compiacimento. Quali possibilità offrono le manifestazioni oceaniche, dove al controllo della videosorveglianza va aggiunta la presenza dei cittadini-poliziotto? Possono essere accompagnate, precedute o seguite, da qualcosa d'altro che prepari, rafforzi e prolunghi il fermento? Oppure è meglio evitarle per dedicarsi ad altre pratiche? E quali, dove, quando? Come è possibile cercare di far convivere ciò che è inconciliabile, le intenzioni sovversive di chi vorrebbe porre fine a questo mondo con le preoccupazioni riformiste di chi vorrebbe curarlo? Che senso ha giocare di sponda, in un reciproco rapporto strumentale, con chi potrebbe in qualsiasi momento diventare un delatore?
Non sono domande che richiedono una risposta definitiva – impossibile! –, ma solo alcuni degli interrogativi non più rinviabili, che cercano e necessitano di un dibattito.

[20/10/11]

http://www.finimondo.org/node/473

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