sabato 29 ottobre 2011

Isolamento e tortura negli USA


Intervista con James Ridgeway Jean Casella di Solitary Watch

Da alcuni mesi a questa parte, si sono moltiplicate le iniziative da parte dei detenuti rinchiusi nelle migliaia di carcere statunitensi. La mobilitazione più significativa si è registrata tra il 9 e il 16 dicembre 2010, all’interno del circuito carcerario dello Stato della Georgia, nelle prigioni di Augusta, Baldwin, Hancock, Hays, Macon, Smith and Telfair e molte altre ancora. Parallelamente, anche altrove i detenuti hanno iniziato a organizzarsi e a far sentire la propria voce. Voce che viene puntualmente repressa dalle violenza delle “squadre di emergenza”, senza tuttavia riuscire a spegnere i fuochi che iniziano a crescere di carcere in carcere. I punti in agenda sono grossomodo i medesimi per tutti quanti: assistenza sanitaria, alimentazione corretta, possibilità di accesso ad attività formative e forme alternative al carcere (attraverso un uso corretto della libertà sulla parola), colloqui facilitati con i propri familiari. E poi l’isolamento. Una forma di tortura scientifica che sempre più trova spazio nella gestione del controllo dietro le sbarre. L’intervista che segue tratta in particolare di questo ultimo aspetto.



Intervista a cura di Angola 3 News

I detenuti reclusi presso la Security Housing Unit (SHU) della prigione di Stato di Pelican Bay in California, hanno annunciato uno sciopero della fame a tempo indeterminate a partire dal 1 luglio 2011, come forma di protesta contro le condizioni di detenzione, ritenute crudeli e disumane. A partire da una comunanza d’intenti trasversali tra le varie comunità detenute, sono cinque i punti indicati dal California Prison Focus (1): 1) eliminazione delle punizioni associative, 2) abolizione della procedura relativa agli interrogatori e modifica dei criteri di definizione relativi alla partecipazione attiva/non attiva ad una organizzazione/gang, 3) rispetto delle indicazioni della US Commission on Safety and Abuse in Prison (2006) riguardante la chiusura dell’isolamento di lungo periodo, 4) vitto adeguato, 5) allargare e fornire programmi propositivi e privilegi per i detenuti rinchiusi a tempo indeterminato nelle SHU.



Pelican Bay “ospita” i due prigionieri che da più lungo tempo sono costretti all’isolamento prolungato, 39 anni, Herman Wallace and Albert Woodfox, i due militanti tuttora in carcere e facenti parte del cosiddetto Angola 3. Nello stesso carcere è recluso, dal 1990, Hugo Pinell (2), il quale ha passato 47 anni della sua vita dietro le sbarre, di cui 40 in isolamento. Pinell ha condiviso con George Jackson la sezione del Black Panther Party istituito nella prigione di San Quintino, simile a quanto organizzato dagli Angola 3 in Louisiana.

Robert King, uno degli Angola 3, rilasciato nel 2001 dopo 29 anni di detenzione in isolamento, ha espresso il suo sostegno nei confronti di Pinell, definendolo “un chiaro esempio di prigioniero politico”. Nel gennaio 2009, gli è stata negata la libertà condizionale per la nona volta, a dispetto di una condotta che gli ha permesso di non subire alcuna segnalazione negli ultimi 25 anni. Ora, nel 2011, con 27 anni di “buona condotta” alle spalle, Pinell avrà modo di accedere nuovamente al giudizio per la libertà condizionale, ma la prevista udienza è stata posticipata di sei mesi ed è attesa per la fine di quest’anno.

Per decenni, attivisti per i diritti umani hanno criticato il carcere di massima sicurezza di Pelican Bay (3). I giornalisti James Ridgeway e Jean Casella, co-fondatori del nuovo sito web Solitary Watch (4), collegano le condizioni di Pelican Bay allo stato del sistema carcerario statunitense nel suo complesso.



Angola 3 News: Come siete entrati in relazione con la questione dell’isolamento e quali sono i motivi che vi hanno spinto a mettere on line Solitary Watch?

Solitary Watch: Abbiamo iniziato a lavorare su Solitary Watch perché questo tema ci ha tolto il respiro. L’isolamento di decine di migliaia di prigionieri può essere la più grave violazione dei diritti umani di massa che sta avendo luogo sul suolo americano, ma è stato in gran parte nascosto e ignorato dalle persone e, colpevolmente, sottaciuto dalla stampa. L’isolamento è un mondo nascosto all’interno del mondo nascosto ancora più grande costituito dal sistema carcerario; i detenuti in isolamento sono una minoranza invisibile e disumanizzata inserita all’interno del più vasto insieme composto dalla popolazione carceraria, anch’esso, per altro, a sua volta incredibilmente invisibile, se consideriamo che vi sono circa 2,3 milioni di persone ad oggi dietro le sbarre.

Non vogliamo fare gli ipocriti su questa faccenda, perché fino a due anni ne ignoravamo, come molti altri, persino l’esistenza. Come altre persone, ci siamo sentiti indignati dagli abusi in atto a Guantanamo o Abu Ghraib, mentre avevamo una conoscenza alquanto limitata rispetto alla situazione dentro le carceri statunitensi. Ciò che ha contributo a modificare questo nostro limite è stato il lavoro di informazione di Jim per Mother Jones a proposito del caso Angola 3. Scoprire che ci sono state persone confinate in celle 2 metri per 3 per quasi 40 anni… beh, scoprire tutto questo ha scosso le nostre coscienze.

Ha rappresentato l’inizio della nostra “formazione”. Abbiamo iniziato ad approfondire sempre di più la questione imparando come questa infernale tortura sia presente in ogni Stato dell’Unione. E abbiamo scoperto la presenza di attivisti, avvocati, studiosi, familiari dei prigionieri, e anche una manciata di giornalisti là fuori impegnati a cercare di attirare l’attenzione sul problema.



Che cos’è una SHU?

SHU è solo uno dei tanti eufemismi con cui il sistema carcerario ha tentato di celare il termine “isolamento”. In California, è l’acronimo di Security Housing Unit, nello Stato di New York sta per Special Housing Unit. Altrove possiamo leggere Special Management Units, Behavioral Management Units, Communications Management Units, Administrative Segregation, Disciplinary Segregation e l’elenco potrebbe continuare. Sfumature a parte, per tutti significa 23/24 ore al giorno di isolamento. La maggior parte di questi sistemi, tra cui il Federal Bureau of Prisons, ne negano l’esistenza, anche se hanno decine di migliaia di prigionieri chiusi nelle loro celle solitarie per mesi, anni, anche decenni.



Quando è stato istituito la prima SHU?

L’isolamento è stato inventato qui negli Stati Uniti, a Philadelphia, all’inizio del diciannovesimo secolo, come alternativa presumibilmente “umanizzante” alle fustigazioni e al lavoro duro. I detenuti venivano rinchiusi da soli, con assolutamente nulla da fare se non contemplare i loro crimini, pregare ed essere, si suppone, “penitenti” – da cui il termine “penitenziario”. Ovviamente, nulla di tutto ciò è successo. La Corte Suprema degli Stati Uniti, indagando sulle condizioni connesse alla prigione di Philadelphia nel 1890, ha stabilito come “un numero considerevole di detenuti, anche dopo un breve periodo di isolamento, entra in uno stato di semi-idiozia, dal quale successivamente non si è in grado di tornare indietro, e per altri si arriva a pratiche violente e insensate; altri ancora arrivano a suicidarsi; mentre quelli che in qualche modo riescono a superare pressoché indenni lo stato di confino solitario in genere non vengono poi riabilitati e nella maggior parte dei casi i danni mentali impressi non permettono un recupero e un ritorno effettivo alla comunità.”

Per quasi i cento anni successivi, l’isolamento è stato applicato in rarissimi casi; ad empio il Birdman di Alcatraz, Robert Franklin Stroud, ha trascorso 6 anni in confino solitario ma questo, appunto non era la consuetudine. Le cose hanno iniziato a cambiare nel 1983, quando due guardie della prigione federale di Marion sono state assassinate nello stesso giorno. Quel giorno ha segnato l’inizio del noto Marion Lockdown5, dove i prigionieri venivano confinati permanentemente nelle loro celle, private dell’ora d’aria, dell’accesso al lavoro e di qualsiasi tipo di programma riabilitativo.



Come si è sviluppato da allora?

Altre carceri hanno seguito l’esempio di Marion e nel 1989 la California ha costruito la sua prima prigione di massima sicurezza, Pelican Bay. C’è stato una crescita esponenziale del numero di carceri di massima sicurezza negli anni ’90 e, oggi, 40 Stati più il governo federale contano 25 mila detenuti reclusi in prigioni di questo tipo. Altre decine di migliaia di detenuti sono, poi, confinati in celle solitarie all’interno di prigioni “non speciali”. Non esiste un dato ufficiale, ma un conto ufficioso parla di 75/100 mila prigionieri segregati in isolamento negli Stati Uniti.

Il confino solitario è diventato la regola, la norma principale da applicare in prima istanza. Oggi si può essere messi in isolamento non solo per la violenza, ma per qualsiasi forma di “insubordinazione”. Altri vengono messi in confino per azioni di contrabbando (farmaci, ma anche telefoni cellulari o francobolli). Altri ancora, tra cui molti minorenni presenti nelle carceri per adulti, finiscono in isolamento per “protezione”, per evitare di essere soggetti a eventuali stupri. Un sacco di detenuti maschi della SHU di Pelican Bay sono lì perché riconosciuti membri di bande, in genere sulla base di dichiarazioni rilasciate da detenuti-informatori. Le ragioni sono innumerevoli e spesso si arriva all’assurdo. In Virginia, un gruppo di Rastafari ha subito un decennio di isolamento perché gli appartenenti al gruppo si rifiutavano di tagliare i loro dreadlocks, in violazione delle regole della prigione.



Quali sono gli effetti della SHU sulla salute dei prigionieri e il loro stato psico-fisico?

Come ha detto un detenuto del super carcere di Tamms (6), in Illinois, “Chiuditi dentro il tuo bagno per i prossimi dieci anni e poi fammi sapere come sta la tua mente.”

Se non fosse già abbastanza evidente di per sé, le ricerche svolte negli ultimi 30 anni confermano come l’isolamento abbia un effetto estremamente dannoso per la salute mentale. Uno studio ha stabilito come con una sola settimana di confino solitario avvenga un cambiamento di attività EEG per quanto concerne stress e ansia. Ci sono testimonianze che dimostrano come isolamenti continuativi alterino profondamente la chimica del cervello, e come ulteriori estensioni di tempo sviluppino psicopatologie tra cui attacchi di panico, depressione, assenza di concentrazione, perdita di memoria, aggressività autolesionista e varie forme di psicosi. Eppure abbiamo di fronte sistemi carcerari che dichiarano di utilizzare il confino solitario come strumento attraverso il quale i detenuti possano “imparare l’auto-controllo”; ci sono poi molti casi in cui detenuti vengono rilasciati immediatamente dopo un lungo periodo di isolamento: non deve sorprendere, quindi, il tasso di recidività particolarmente alto.

È importante riconoscere, inoltre, che un enorme numero di prigionieri che si trovano in isolamento mostra già precedentemente disturbi mentali. Dopo 40 anni di tagli ai finanziamenti per la salute mentale, le prigioni hanno preso il posto dei vecchi manicomi. I detenuti vengono posti in isolamento per i loro comportamenti quanto questi stessi comportamenti sono il frutto di una problematica non trattata. Un rapporto di Human Rights Watch (7) afferma che nei sistemi carcerari in tutto il Paese, tra un terzo e la metà dei prigionieri reclusi in isolamento presenta questo tipo di problematiche. Altri studi hanno provato come due terzi dei suicidi in carcere avvengono durante il confino solitario.

Sono state fatte meno ricerche per quanto riguarda gli effetti fisici causati l’isolamento prolungato, ma l’evidenza di casi giudiziari recenti suggerisce una stretta relazione con insonnia, dolori articolari, ipertensione e persino danni alla vista.



Lo sciopero della fame a Pelican Bay partirà il primo luglio e i detenuti hanno avanzato 5 richieste. Ritenete che i punti sollevati dai prigionieri corrispondano a una violazione dei diritti umani secondo gli standard internazionali? O una violazione delle leggi statunitensi?

In primo luogo, vogliamo sottolineare l’importanza straordinaria di questo documento, ricordando che è stato redatto da un gruppo di individui sottoposti a gravi impedimenti in termini di comunicazione e relazione col mondo esterno e che hanno difficoltà ad accedere a materiali di ricerca. È un tributo alla loro perseveranza e dedizione portare avanti la loro causa, certamente una grande prova di coraggio.

In secondo luogo, si tratta di un documento misurato e ragionevole. Si basa sostanzialmente sui risultati del Commission on Safety and Abuse in America’s Prisons (8), soggetto bipartisan, riconosciuto per serietà e qualità, che ha fatto un lavoro di ricerca e approfondimento sullo stato delle carceri negli Stati Uniti. In uno dei tre nodi principali sulle condizioni carcerarie, la Commissione ha avuto modo di dichiarare come l’uso crescente della “segregazione di alta sicurezza” si sia rivelata controproducente e spesso crudele. I detenuti in sciopero della fame di Pelican Bay hanno in pratica adottato le raccomandazioni della Commissione per la riforma e l’uso limitato dell’isolamento. Al di là di questo, stanno semplicemente chiedendo di porre fine alle pene per reati associativi, che vengono quotidianamente utilizzate per confinare i prigionieri nelle SHU a tempo indeterminato. E, infine, chiedono cibo decente e nutriente. Questo non è certo un programma radicale.

Non c’è dubbio che l’isolamento, come praticato negli Stati Uniti, nel carcere di Pelican Bay e altrove, viola gli standard internazionali sui diritti umani, inclusa l’UN Convention Against Torture and Other Cruel, Inhuman, or Degrading Treatment or Punishment (9), e l’UN’s Basic Principles for the Treatment of Prisoners (10). Recentemente, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha ritardato l’estradizione verso gli Stati Uniti di alcuni sospetti terroristi britannici, proprio a causa di una possibile condanna all’ergastolo in un carcere di massima sicurezza, perché in contrasto con la Carta dei Diritti della Convenzione Europea (11).

Sfortunatamente, i tribunali americani sono stati più riluttanti a prendere posizione contro l’isolamento. Noi non siamo studiosi dell’ambito costituzionale e neanche avvocati, ma appare ovvio che il confino solitario continuativo sia quantomeno una violazione della Costituzione in tema di punizioni crudeli e “fuori norma”. Tuttavia, i tribunali, con poche eccezioni, non hanno mai trovato nulla di strano nella conduzione di questa pratica. Le eccezioni, nella maggior parte dei casi, hanno a che fare con detenuti a cui sono già state riscontrate problematiche a livello di salute mentale. In specifici contesti, alcuni corti hanno fatto riferimento alla violazione del diritto costituzionale al giusto processo, considerato che i detenuti vengono messi in isolamento a partire da un atto arbitrario di un ufficiale del carcere che riveste contemporaneamente il ruolo di pubblico ministero, giudice e giuria. I prigionieri non hanno alcuna reale possibilità di difendersi e non c’è modo di uscire dal confino solitario in base alla buona condotta. È certamente il caso di Pelican Bay ed è una dei punti sollevati dalla protesta dei prigionieri.

Al momento, vi sono due importanti casi pendenti a livello di corte federale. Il primo riguarda il caso Angola 3, giunti ad oggi al loro quarantesimo anno di isolamento in Louisiana; il secondo concerne il caso di Thomas Silverstein (12), il quale è al 28 anno di confino solitario con l’aggravante dell’”isolamento da qualsiasi contatto umano”.



Al di là di queste specifiche richieste, quali sono le altre caratteristiche della SHU di Pelican Bay?

La situazione in California è particolarmente dura per chi si viene a trovare in isolamento continuativo, generalmente sulla base di reati associativi alquanto discutibili, che come abbiamo detto in precedenza, di norma si attuano sulla base dalle dichiarazione degli informatori interni (13) in cambio di ricompense e altro. A parte questo, le condizioni di Pelican Bay non sono dissimili da quelle della maggior parte delle carcere di massima sicurezza e SHU.

Queste prigioni hanno reso scientifico l’isolamento. Le celle misurano tra i 18 e i 24 metri quadrati e rappresentano l’intero mondo per i detenuti che vi sono rinchiusi dentro. La relazione avviene (cibo, richieste, comunicazioni) attraverso le fessure delle porte in acciaio. I più fortunati hanno la possibilità di fare esercizio per un’ora al giorno, da soli, all’interno di una zona murata o comunque recintata; possono lasciare le loro celle un paio di volte alla settimana per fare una doccia, legati ad una catene. In alcune celle, le luci sono accese 24 ore al giorno e sistemi di videosorveglianza sono operativi giorno e notte. C’è arbitrarietà sui colloqui, c’è arbitrarietà su qualsiasi attività di passatempo (leggere, scrivere, dipingere ecc.), sull’avere o meno la televisione (seguendo, qualora concessa, comunque la programmazione fornita dal carcere). Al ADX, il carcere di massima sicurezza di Florence, Colorado, i detenuti hanno appositamente tv in bianco e nero perché la versione a colori sarebbe stata ritenuta un privilegio. C’è un gran lavoro da parte delle amministrazioni per cercare di “disturbare” i prigionieri. In questo modo, spesso le celle non dispongono di aria condizionata in estate o riscaldamento in inverno e l’alimentazione è appena sufficiente. In alcuni Stati è ancora in uso “la pagnotta” (un minestrone di cattivo gusto che mescola differenti cibi) come punizione.



Per oltre 40 anni, Hugo Pinell è stato rinchiuso in isolamento, nell’ultimo periodo proprio a Pelican Bay. Considerato il contesto politico del caso di Pinell, esattamente come per Angola 3, come valutate l’utilizzo (politico) dell’isolamento come mezzo per contrastare militante e attivisti? È una pratica diffusa?

Non c’è dubbio che il confino solitario sia perlopiù utilizzato nei confronti di chiunque venga ritenuto “fuori controllo” da parte delle autorità carcerarie. Questo vale anche per quei detenuti che si stanno organizzando per cercare di cambiare la situazione, indipendentemente dal fatto che si stiano muovendo in termini non violenti.

Nel caso di Herman Wallace e Albert Woodfox, due dei tre tuttora detenuti appartenenti ad Angola 3, così come per Hugo Pinell a Pelican Bay, stiamo parlando di uomini che per decenni hanno avuto un’ottima condotta e che hanno raggiunto, ormai, i sessant’anni d’età. Il fatto che siano tuttora sottoposti all’isolamento ha chiaramente a che fare con la loro attività di militanti all’interno delle carceri.

Il direttore della prigione di Angola, Burl Cain,ha dichiarato durante una deposizione che Wallace e Woodfox devono rimanere in isolamento perché stanno ancora “praticando la militanza Black Panther”; lasciarli liberi con gli altri detenuti significherebbe “lasciarli liberi di organizzare i giovani” permettendo a questi giovani “di seguirli”. C’è un detenuto in California che è stato spedito alla SHU semplicemente perché aveva con sé materiali scritti da George Jackson e un contatto per Hugo Pinell. Ma non devi appartenere alle Black Panthers, o a qualsiasi altro gruppo oppure organizzazione politica, per essere punito per il tuo attivismo in carcere. In Massachusetts, un prigioniero di nome Timothy Muise è stato mandato in isolamento per aver parlato di un giro di informatori gestito dalle guardie: costoro hanno affermato che la sua colpa è di “aver coinvolto e incitato un gruppo di dimostranti esterni”. Un giornalista detenuto nel Maine, Deane Brown, è stato messo in confino solitario e trasferito per aver inviato una registrazione audio chiamata “Live from the Hole” a una radio locale.

L’isolamento è una pratica quotidiana per sopprimere qualsivoglia forma di dissenso.



Come pensi che i media, mainstream e progressisti, abbiano coperto la questione del confino solitario?

In realtà, qualche segnalazione è stata fatta da parte delle grandi corporazioni dell’informazione. E, naturalmente, ci sono cose orribili come le serie tv “Lockup” e “Lockdown”. Per quanto riguarda la carta stampata, ci sono stati contributi positivi da parte di alcuni giornalisti. Per esempio, George Pawlaczyk (14) con il suo lavoro sul carcere di massima sicurezza di Tamms; Lance Tapley (15), a proposito della Prigione di Stato del Maine; Mary Beth Pfeiffer (16), sui suicidi nelle SHU dello stato di New York. Eccellente è stato l’articolo del 2009 di Atul Gawande (17), “Hellhole”, pubblicato sul The New Yorker.

Per quanto concerne la stampa progressista, materiali significativi sono stati scritti da Anne-Marie Cusac (18) su The Progressive, da Jeanne Theoharis (19) su The Nation e Glenn Greenwald (20) su Salon. E, ovviamente, Mother Jones che ha dato sostegno e visibilità ai report di Jim sul caso di Angola 3 e sulle condizioni dietro le sbarre in generale.

La nostra impressione è che i media, tra cui, in misura minore anche quelli progressisti, riflettano sostanzialmente l’invisibilità che avvolge i detenuti e il sistema carcerario nella nostra società.



Oggi, nella cosiddetta “Guerra al Terrore” del dopo 11 settembre, ritenete che gli Stati Uniti sostengano pubblicamente l’uso della tortura contro i prigionieri?

Pensiamo che l’opinione pubblica tolleri la tortura sui detenuti, in alcuni casi perché non conoscono assolutamente la situazione, in altri casi perché non sono interessati alla questione, semplicemente. Ma ci piacerebbe girare la vostra domanda direttamente alle persone perché crediamo che questa tolleranza alla tortura dei prigionieri statunitensi abbia contribuito a produrre una tolleranza alla tortura nei riguardi di sospetti terroristi stranieri, e non viceversa. La “Guerra al Crimine” precede la “Guerra al Terrore” e sono luoghi come Pelican Bay e ADX Florence che hanno reso molto più facile il lavoro a Guantanamo o Abu Ghraib o, ancora, a Bagram.

Per ragionare su cosa esattamente produca questa tolleranza alla tortura, in primo luogo, abbiamo bisogno di tornare al punto che abbiamo fissato all’inizio di questa intervista: i detenuti sono oggi di gran lunga i membri più disumanizzati della nostra società. Certo, c’è una costante storica in questo senso, tuttavia possiamo individuare delle tappe sulla sua crescita intensiva. Prima di tutto, dovremmo tornare agli anni ’60 e, in particolare, agli anni ’80 e ’90. Negli ultimi 30 anni, entrambi i partiti hanno agitato lo spettro della paura del crimine per vincere le elezioni; la popolazione carceraria è cresciuta enormemente col conseguente tacito consenso della gente.

Il razzismo, chiaramente, gioca in tutto questo un ruolo tutt’altro che secondario. Un numero altamente sproporzionato di detenuti è costituito da afro-americani, e la maggioranza delle persone di oggi accetta l’incarcerazione di massa e l’abuso sui prigionieri Neri esattamente come una volta la maggioranza delle persone tollerava la schiavitù e la segregazione razziale. Si tratta, oggi come allora, di privare un certo numero di individui della loro stessa esistenza. Una volta fatto questo, diventa facile in seguito privare questi stessi individui dei loro diritti umani fondamentali, per non parlare poi dei diritti civili.



Da un punto di vista strategico, come dovrebbero muoversi i media-attivisti per sfidare al meglio tutti i poteri che attualmente stanno lavorando per convincere la popolazione statunitense che la tortura è una buona politica? Quali potrebbero essere i punti chiave da mettere in agenda?

Rispetto all’isolamento, dobbiamo probabilmente muoverci in modo articolato, a seconda dei livelli di relazione. Per le persone che già hanno maturato una sensibilità e hanno una ferma opposizione alla tortura, si tratta di condividere informazioni sulla natura e sulla diffusione del confino solitario, facendo il possibile per far emergere dall’ombra questa questione. L’American Friends Service Committee (21) ha svolto e sta svolgendo un gran lavoro proprio in quest’ottica. Di recente, l’ACLU e la National Religious Campaign Against Torture hanno cercato di attirare l’attenzione sulla faccenda. Dobbiamo incoraggiare la gente a vedere la tortura contro i prigionieri negli Usa come una questione di diritti umani, la tortura contro Bradley Manning o contro i detenuti a Guantanamo o Abu Grahib, perché la tortura è tortura, e se prendi per buona questa affermazione, dovrebbe prescindere dal crimine eventualmente compiuto.

A quelli che ritengono che i detenuti siano criminali e che si meritino quello che subiscono, dobbiamo dire che l’isolamento non solo è crudele ma altresì costoso e controproducente. Mantenere un prigioniero all’interno di un carcere di massima sicurezza costa il triplo rispetto ai costi per un detenuto che si trova in un carcere “normale”. E, ancora più semplicemente, non funziona, visti i numeri riguardanti i recidivi.

Avete da poco messo in diffusione la prima edizione stampata di Solitary Watch. Che piani avete per questo specifico progetto? Cos’altro potremmo attenderci?

Abbiamo lanciato l’edizione cartacea (22), anche se comprende solo una piccola selezione dei nostri materiali, perché abbiamo iniziato a ricevere lettere dai prigionieri quasi tutti i giorni, lettere nelle quali ci raccontano della loro situazione e chiedendo informazioni. I prigionieri, ovviamente, non hanno accesso a internet, quindi abbiamo la necessità di andare oltre al solo sito web. In più, abbiamo cominciato a pubblicare un bollettino su differenti aspetti connessi all’isolamento; siamo solo alla prima uscita, ma ne seguiranno sicuramente molte altre. Da poco abbiamo iniziato a girare un documentario con la collaborazione di ex detenuti che sono stati sottoposti a isolamento prolungato.

(Fonte: Alternet – http://www.alternet.org)

Note



1) http://www.prisons.org

2) http://www.hugopinell.org

3) Del carcere di Pelican Bay di parla anche nell’articolo “USA: complesso industriale carcerario e dintorni”, Senza Censura n. 3/2000

4) http://www.solitarywatch.com

5) http://www-unix.oit.umass.edu/~kastor/ceml_articles/cu_in_us.html

6) http://www.yearten.org

7) http://www.hrw.org/reports/2003/usa1003/18.htm#_Toc51489492

8) http://www.prisoncommission.org

9) http://www.hrweb.org/legal/cat.html

10) http://www2.ohchr.org/english/law/basicprinciples.htm

11) “War, Prisons, and Torture in the US & UK - An interview with Richard Haley” pubblicata su http://www.angola3news.blogspot.com/2011/03/war-prisons-and-torture-in-us-uk.html

12) http://www.solitarywatch.com/2011/05/05/americas-most-isolatd-federal-prisoner-describes-10220-days-in-extreme-solitary-confinement/

13) http://www.escholarship.org/uc/item/04w6556f

14) http://www.bnd.com/2009/08/02/865377/trapped-in-tamms-in-illinois-only.html

15) http://www.portlandphoenix.com/features/top/ts_multi/documents/05081722.asp

16) http://solitarywatch.com/2010/10/18/suicide-and-solitary-confinement-in-new-york-state-prisons/

17) http://www.newyorker.com/reporting/2009/03/30/090330fa_fact_gawande

18) http://www.progressive.org/mag_amcabu

19) www.thenation.com/article/157896/guantánamos-here-home

20) http://www.salon.com/news/opinion/glenn_greenwald/2010/12/14/manning

21) http://www.afsc.org/campaign/stopmax

22) http://www.solitarywatch.com/print-edition


http://www.senzacensura.org/

SENZA CENSURA N.35

luglio 2011

http://www.senzacensura.org/public/rivista/sc11_3509.htm

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