martedì 5 luglio 2011

Vita sottratta - Il carcere nelle sezioni femminili


Le sezioni femminili delle carceri sono rigidamente regolate secondo uno schema che non lascia spazio ad alcuna deroga. Si è in numero sufficientemente piccolo per poter essere ossessivamente sotto stretta vigilanza. Nulla di ciò che si fa sfugge al controllo e ogni più piccolo movimento dipende dall’accoglimento delle richieste verbali o fatte attraverso le famigerate “domandine”. Le celle sono perennemente chiuse e se ne esce esclusivamente per gli spostamenti rituali quotidiani.

Vita sottratta

Entri in cella, scatta la serratura, la chiave gira con due mandate, il blindo si chiude alle tue spalle e tu, privata della libertà, ti ritrovi da un momento all’altro penosamente dipendente da chi sta oltre le sbarre. Una trasformazione fulminante della tua vita. Non esisti più come individuo che si muove, sceglie, provvede a se stesso in un modo o nell’altro. Come una bambina piccola, inerme, spaesata sei ora in balia della disponibilità delle carceriere a prendere in considerazione le tue richieste, che qui assumono il significativo nome di “domandine”. Non meritano neppure la dignità del sostantivo adulto “domanda”. Il disprezzo verso le detenute è assunto come registro esplicito del “lavoro” svolto da chi tiene appese alla cinta le chiavi della reclusione. A loro fai ribrezzo o, “bene che ti vada”, pietà. Sei uno scarto della società o, “bene che ti vada”, una che ha sbagliato.
Nella “vita” in carcere il passaggio saliente è quello dell’umiliazione. Deve essere questo ciò che intendono quando blaterano della “funzione rieducativa” del carcere. La perdita della libertà rischia di diventare quasi secondaria rispetto alla perdita di autonomia, rispetto all’attacco continuo alla tua dignità.
Da ogni cella provengono continue grida di richiamo «Assistenteeeeh» e, dall’altra parte silenzio. Al secondo o terzo a volte anche ulteriore tentativo, la risposta è «Un momento!», «Cosa vuoi!!», «Non stiamo mica pettinando le bambole!!!». Le bambole, appunto.
I buongiorno e buonasera provocatori o ipocriti delle guardie danno il tormento, evitarli diventa un percorso a ostacoli. La mattina e la sera, quando fanno il giro con i loro manganelli in acciaio per la battitura delle sbarre, sfuggire a questi odiosi “auguri” è praticamente impossibile. Il tentativo di farsi trovare in bagno, pronte a tirare lo sciacquone, è annientato dall’ordine perentorio: «Devi essere presente in cella durante il controllo!!». Punto e basta. Non ha senso chiedere perché lo si dovrebbe fare, la risposta sarà comunque nulla: «Sono le regole!». D’altronde, nessun confronto con loro è l’atteggiamento che meglio preserva. Nulla da spartire, loro da una parte e tu dall’altra.
Ogni momento della giornata è scandito da permessi da elemosinare. Per fare la doccia, lavare la biancheria, asciugarsi i capelli, stendere o stirare. Pronte e vestite perché se è il momento del colloquio, se l’avvocato ti aspetta, se è l’ora d’aria entrano di prepotenza e se vuoi esci così come sei, altrimenti la “sgridata” ti arriva come uno schiaffo in pieno volto. Ancora, appunto.
Così va, attimi susseguenti di sottrazione di dignità. Se non stai allerta vieni colpita ma, se troppo lo fai, entri in un meccanismo perverso in cui per mantenerti in piedi ti perdi in un gioco governato da altri. Gli abusi sono continui, tanto che volendo reagire a tutti la giornata non ti basterebbe. Ogni parola rivolta alle detenute è piena di velenosa insofferenza. Da quelle bocche piene d’aria intossicata dal misero potere escono pallottole di scherno, mortificazione e offesa.
Gli assorbenti per il ciclo devono essere richiesti all’agente (massimo appellativo concesso per rivolgersi alle guardie) urlando dal blindo. L’intimità è bandita, ogni sfumatura di te qui è esposta. Se hai qualcosa da discutere con un’altra detenuta tutte la sentono, se hai confidenze da fare è meglio rimandarle all’ora d’aria o alla socialità. Ma, se il bisogno di comunicare è impellente lo devi spedire dal blindo al corridoio, buttarlo in mezzo e lasciarlo lì, percepibile da chiunque, guardie comprese. Si impara, eccome che si impara a reprimere in gola le parole anche quando avresti un disperato bisogno di consegnarle a un’amica. Questi corridoi sono pieni di urla depositate come uno strato geologico sul pavimento, di confidenze, di liti, di proteste, di racconti di vita.
Se per la somministrazione della cosiddetta “terapia” fatta di metadone e potenti psicofarmaci non ci sono limiti, per i disturbi più comuni la questione si fa complicata. Ci si può trovare a dover dimostrare che fatichi ad andare di corpo o che hai dolori mestruali. E come? Facendo una puzzetta in faccia all’infermiere (magari anche maschio) o mostrandogli un assorbente? Quando delle richieste così evidentemente offensive e intrusive arrivano a farti irritare e a reagire, sarà un “rapporto disciplinare”che tra capo e collo ti arriverà in risposta all’abuso subito.
Il senso di impotenza ti soffoca, qualunque reazione porta con sé la certezza del fallimento e la conseguenza della “punizione”. Nel braccio delle detenute con condanne definitive il ricatto si alimenta della normativa premiale. La preoccupazione di ottenere lo sconto semestrale di 45 giorni di pena reprime con successo ogni afflato di protesta. Se prendi rapporto disciplinare non ti verranno scontati. A seguire, i permessi premio, il “diritto” al lavoro in carcere, la partecipazione ai corsi, la socialità fino a tornare al sistema meramente punitivo dell’isolamento. Premi e punizioni si alternano come nell’addestramento dei cani, come nell’“educazione” dei figli. Qui dentro l’attività umana è ridotta allo schema “stimolo-risposta”. Sanno sempre con precisione dove colpire, come tenerti sotto minaccia. Sembra che tu per loro sia inesistente ma, quando è il caso, si ricordano tutto, le tue preferenze, le tue preoccupazioni per usarle contro di te. La posta, sanno quanto sia importante qui ricevere queste boccate di ossigeno dall’esterno e allora manovrano gli arrivi e le partenze delle lettere come un congegno a ritorsione. Se hai qualche attrito con le guardie il gioco è semplice, le lettere si smarriscono nel percorso verso la tua cella, a volte direttamente nei cestini dei rifiuti.
Il rapporto di forza è totalmente sbilanciato. Solo una grande unione tra le detenute potrebbe riequilibrare un minimo. Ma le conseguenze di queste mortificazioni continue e ripetute agiscono sulle donne recluse compromettendo la capacità di assumere atteggiamenti di contrapposizione collettiva. Avviene come una sorta di spremitura delle differenti personalità e il succo che ne esce ha il sapore di elementi basici. Paura, fragilità, impotenza. Mescolati insieme producono discordia, chiusura, ritiro a protezione del proprio piccolo spazio di sopravvivenza. Non sempre e non solo. La spremitura porta anche alla secrezione dell’ottimo. Ribellione, determinazione alimentate da un coraggio che non si lascia spezzare, da un desiderio di libertà e autonomia che continua a bruciare, dall’insofferenza verso i soprusi patiti su di sé e sulle altre. Allora accade che le priorità cambino nel giro di pochi attimi, che i recinti della paura saltino. Ci si scorda quello che si ha da perdere e parte una battitura, un lancio di oggetti, urla. Il difficile verrà dopo, mantenere le posizioni, non ritirarsi una ad una, non tradirsi. Ma questa è una storia conosciuta. Dentro come fuori.
L’umiliazione quotidiana viene agita dal sistema attraverso i regolamenti carcerari applicati dalle guardie che vi aggiungono i loro piccoli piaceri sadici. Non c’è soluzione di continuità tra sottrazione di libertà e sottrazione di dignità. Rinchiudere gli individui dietro le sbarre porta con sé il resto. Una guardia che è arrivata a scegliere un “lavoro” come questo non può che essere fanatica e perfida. Nella ripetitività dei rapporti con le detenute non farà altro che lasciare emergere e agire le sue meschine convinzioni. Non c’è privazione di libertà che possa essere accompagnata dal rispetto verso chi è rinchiuso, che possa evitare abusi e sopraffazioni. Sono compresi nel prezzo, fanno parte della galera.

http://informa-azione.info/vita_sottratta_il_carcere_nelle_sezioni_femminili

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