sabato 30 luglio 2011
Il 19 luglio a Barcellona Tranquillo (Giuseppe Ruozzi)
Da tempo gli alti ufficiali dell'esercito macchinavano un vasto complotto contro la repubblica per instaurare una dittatura fascista e monarchica. Non si comprende perché il governo si sia lasciato sorprendere da questo colpo che poco mancò non lo polverizzasse. Certo è che il governo sapeva di questi maneggi più o meno segreti, ma o non volle o non seppe prendere i provvedimenti necessari. Faceva arrestare una quantità di fascisti di terza o di quarta categoria, ma non toccava i dirigenti.
La morte di Sotelo, deputato monarchico e fascista, fu la scintilla da cui i cospiratori presero pretesto a lanciare il colpo lungamente preparato.
Il governo aveva bensì operato qualche trasferimento negli alti quadri dell'esercito, ma da un lato non metteva i "sospetti" in grado di non nuocere, dall'altro li sostituiva con altri personaggi della medesima specie. Così gli uni e gli altri poterono continuare indisturbati il proprio lavoro di preparazione. A rivolta scoppiata, il governo non seppe far altro che consegnare qualche arma al fronte antifascista costituitosi all'ultimo momento. E tra quelle armi ve n'erano di antiquate.
Il sollevamento militare incominciò nel Marocco, ma anche nella Spagna propria da parecchi giorni si sentiva nell'aria, e i partiti sovversivi da varie notti vegliavano armati nelle sedi delle rispettive organizzazioni.
Così il risveglio della mattina del 19 luglio a colpi di cannone, allo strepitare delle mitragliatrici e al crepitio dei fucili, non sorprese veramente nessuno, sebbene producesse una certa emozione nel popolo non combattente e, chissà, forse, anche un po' d'allegria nella classe borghese che credette intravedere la prossima fine dell'agitazione operaia che si faceva ogni giorno più intransigente.
Le sirene delle officine chiamavano le forze proletarie alle armi. Barcellona aveva preso la fisionomia di una città in guerra. Non tram, non veicoli in circolazione. Tutti i negozi chiusi. Per le strade, soltanto gente armata. Dalle finestre e dai balconi, i curiosi, numerosissimi, seguivano dalle volute del fumo dei cannoni, dalle evoluzioni degli aeroplani che gettavano bombe sulle caserme in rivolta, le fasi della lotta. Sulle porte i capannelli si formavano per sparire al primo sparo di fascisti imboscati dietro le finestre. I più audaci si agglomeravano intorno ai piccoli gruppi di rivoluzionari armati di vecchi fucili e pistole. Appena arrivava un camioncino carico di armi, uomini, donne, ragazzi, gli davan l'assalto e si contendevano le armi. Le guardie d'assalto erano mescolate ai compagni della confederazione e della federazione anarchica.
I primi soldati agli ordini dei fascisti, che uscirono sulla strada, furono quelli della caserma Pedralba, che arrivarono quasi senza ostacoli fino alla Piazza Catalogna, il posto più eccentrico della città, dove sono raccolte tutte le ricchezze della borghesia. Lì si trova la centrale telefonica, e vicino le questure, la grande via Layetana che conduce al mare, alla caserma della Capitaneria, al nuovo distretto militare, alla grande caserma e arsenale di Atarazana, che invano gli anarchici e i sindacalisti avevano tentato di espugnare la sera dell'8 gennaio 1933.
Questa truppa doveva ricongiungersi con l'altra proveniente dalla caserma di artiglieria nel Parco. Ma la congiunzione non potette verificarsi per la pronta reazione popolare. Tuttavia, la soldataglia giunta in Piazza Catalogna aveva installato le mitragliatrici e i cannoni, e i primi prigionieri che fece, fucilò immediatamente, in gruppo, sulla piazza, a mo' d'esempio.
Contro questi soldati stavano schierati gruppi rivoluzionari d'ogni tendenza, mischiati alla guardia civile, guardie d'assalto, guardie di finanza, mozzi di squadra (polizia catalana) e guardie urbane in armi. I soldati, ch'erano stati ubriacati da tre giorni di vino e di liquori e di discorsi patriottici con cui si era fatto loro credere che dovevano combattere contro la marmaglia, insorta per abbattere la repubblica, quando si videro di fronte le forze regolari della repubblica lottanti insieme al popolo, compresero d'essere stati ingannati; la resistenza cominciò ad affievolirsi e le truppe finirono per non ubbidire più agli ordini dei capi, i quali dovettero scappare all'interno dell'Hotel Colombo, dove, dopo un tentativo di barricamento, furon fatti prigionieri.
Nello stesso tempo si assaltarono varie caserme, la caserma Aterazana, ove trovò morte gloriosa il compagno Francesco Ascaso, quella di Barcellonetta, del Parco e di S. Agostino. A Barcellonetta furono presi cinque cannoni.
In queste azioni tutti combatterono con valore, da quei dell'Esquerra ai socialisti, dai comunisti agli anarchici, dalle guardie d'assalto alle guardie civili. Certo è quasi sbalorditivo vedere al fuoco di battaglia combattere insieme poliziotti e anarchici, e circolare insieme su automobili recanti bandiere rosse e iscrizioni con le sei iniziali: C.N.T. e F.A.I., che ogni automobile doveva recare. E sentire le guardie d'assalto gridare «Evviva la CNT e la FAI» sembra una cosa dell'altro mondo. Ma le rivoluzioni sono così fatte. Un popolo in armi ritrova tutti i suoi figli.
La fraternizzazione fu completa. Sui fucili era la coccarda rossa e nera. La parola d'ordine era: CNT. I lasciapassare dovevano recare il suo bollo. Negli intervalli di tregua, tutti i combattenti fraternizzavano nei ristoranti comuni della Confederazione e del fronte popolare, giacché lo sciopero fu completo sino al venerdì seguente. Poliziotti e carabinieri tributavano i più caldi elogi ai combattenti anarchici, per il grande valore spiegato al fuoco, e brindavano assieme.
La soffocazione del movimento fascista a Barcellona è costata molto sangue proletario, ma il fascismo non è passato.
Lo scontro più arduo è stato quello di domenica e lunedì. Si combatteva dappertutto. I fascisti imboscati nei conventi, sui campanili delle chiese, mitragliavano chiunque giungesse a tiro, combattenti e non combattenti, e persino la croce rossa, per cui fu necessario ai rivoluzionari di sloggiarli a colpi di bombe. Le vittime furono numerose. Un ferito grave dovette restare lunghe ore a terra senza soccorso, perché le infermiere del vicino ospedale venivano prese di mira dalle finestre di un convento, e dovettero desistere dalla loro opera di soccorso.
Perduta la pazienza, il popolo diede fuoco a tutti i conventi e a tutte le chiese. Si è salvata la cattedrale, ma il palazzo vescovile fu dato alle fiamme. Il fuoco di purificazione è durato parecchi giorni e continua, con gioia del popolo. I nove decimi almeno delle chiese e dei conventi di Barcellona non sono più che rovine.
Si calcola che i morti nostri siano circa cinquecento, i feriti qualche migliaio. Sono molti, ma sarebbero certo stati di più se i soldati stessi non si fossero in molti quartieri ribellati agli ordini dei loro ufficiali. In altri, combatterono di malavoglia e non s'impegnarono a fondo. Con tutto questo c'è voluto un grandissimo concentramento di forze antifascista per sloggiare il fascismo dai suoi focolari.
E ancora non è battuto dappertutto. Saragozza, Toledo, Siviglia e molti altri centri della Spagna ne sono ancora infestati. Da Barcellona partono migliaia di volontari contro i fascisti di Saragozza, e da Madrid pure, contro altri centri.
Alla vittoria dell'antifascismo a Barcellona ha contribuito enormemente il bombardamento aereo. Alla lotta della strada hanno contribuito eminentemente, e per numero e per valore, i seguaci della CNT e della FAI. L'iniziativa fu sempre di queste organizzazioni.
Molti ufficiali superiori e subalterni pagarono il fio del loro tradimento. Gli anarchici non volevano che questa cambiale restasse oltre in bianco. Troppi morti già avevano lasciato sul terreno, e nella rappresaglia i nemici erano stati atroci. E pietà non incontrarono neppure i preti e i frati, che dai loro conventi e dalle chiese mitragliavano il popolo. All'estero dicano quel che vogliono, ma furono proprio i monarchici, i fascisti e i preti, i primi ad attaccare ed è giusto che il popolo li abbia colpiti della sua vendetta.
Peccato che le caserme non abbiano subita la stessa sorte delle chiese, delle chiesuole e dei conventi, dei quali non resta molto più che le mura esterne pericolanti.
Ora la battaglia si concentra intorno a Saragozza, dove circa diecimila fascisti organizzati militarmente, colla popolazione chiamata alle armi si difendono accanitamente. Egualmente pericolosi sono gli altri centri di concentrazione fascista, ma il popolo sta reagendo dappertutto. Nuovi gruppi di difesa sorgono dappertutto, tutti sono concordi nella determinazione di non lasciarsi più disarmare.
Si saprà esigere questo? Certo il governo incomincia a mostrare il disagio in cui si trova di fronte ad un popolo in armi. A Madrid ha decretato il divieto di circolare armati su automobili, e l'obbligo pei cittadini armati di restare nelle caserme. Speriamo che quei lavoratori sappiano imporsi.
A Barcellona qualche cosa di simile accenna a spuntare. Io stesso ho visto le autorità disarmare due compagni che non avevano altro titolo che la tessera della CNT. Prima questo bastava per essere armati, adesso non basta più. Anche i compagni devono denunziare le proprie armi al sindacato. La volontà di non lasciarsi togliere le armi esiste ed è un buon segno. Si nota però che coloro che hanno il potere insistono perché la fraternizzazione delle forze di polizia con i rivoluzionari, specialmente anarchici e sindacalisti, abbia fine. Adesso i corpi che rappresentano l'autorità costituita viaggian separatamente. Si saluta ancora alla comunista col pugno in aria, ma è diventato estremamente raro che i membri dei corpi di polizia gridino: «Viva la FAI e la CNT». I colori rosso e nero sono scomparsi, e così anche le iniziali delle due organizzazioni prevalenti. La CNT ha reagito. Venerdì, nei posti di controllo, ho veduto dei gruppi di compagni verniciare di nuovo le ormai famose sei iniziali tanto in voga nei giorni del pericolo. Si nota pure che anche gli agenti di polizia incominciano a mal tollerare il controllo e i bolli della Confederazione. Però i confederalisti vi insistono.
Nel popolo l'ardore non è scemato. Speriamo che non si accontenti del nuovo programma del fronte popolare, che è poi su per giù quello approvato dal Congresso di Saragozza. Il fascismo resta sempre da sconfiggere, ma la sconfitta del fascismo non deve essere che l'inizio di un'era luminosta di libertà e di benessere.
Barcellona, 26 luglio 1936
[Adunata dei refrattari, anno XV, n. 33 del 22 agosto 1936]
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