lunedì 21 novembre 2011

Spazi e autogestione - Una questione di decenza


riceviamo e diffondiamo:

Se a qualcuno la seguente polemica sembrerà banale e superflua, non dimentichi che da almeno 25 anni si tengono concerti punk hardcore negli spazi anarchici, e molti compagni generosamente attivi, fanno parte di bands di questo genere. Numerose delle iniziative benefit a sostegno dei prigionieri e altro, consistono o comprendono l' immancabile scaletta dei gruppi. Genere più quotato? Punk hardcore naturalmente.

Che il punk come movimento di rottura con la società sia morto, non è un mistero. Che svariati abiuri ne abbiano svenduto l' epopea spettacolarizzata neppure. Ma che a fare scempio della sua carcassa si prestino delle bands che puntualmente suonano anche negli spazi anarchici, questo è quantomeno antipatico.
Emblematico è il caso dell' iniziativa PUNK4YES, tenutasi l'11 giugno in un CSOA, che mostrava in scaletta alcune di queste bands.
"PUNK FOR YES ", " PUNK PER IL SI' ",il "SI" al referendum contro il nucleare.
Punk, un termine che fuori dal circuto commerciale , ancora incarna un "NO" viscerale all' esistente e quindi alle istituzioni nella loro totalità. Associare la parola punk a un' urna sarebbe sensato solo immaginando quest' ultima in fiamme. Ma qualcuno deve aver dedotto che se il punk è stato un ottimo veicolo per l' idea anarchica, potrebbe esserlo anche per qualsivoglia arnese istituzionale.
Nessun punk sì è mai considerato un cittadino, nè ha mai visto nello Stato un interlocutore da influenzare, tantomeno barrando speranzoso una casella. Chi lo ha fatto semplicemente non è mai stato un punk.
La locandina che promuove l' imperdibile evento si presta ad una duplice interpretazione: l' operaio di una centrale disperato tra scorie da lui stesso prodotte e bombardamenti atomici; un rivoltoso che vuol fare piazza pulita del nucleare con una mazza. Se questo è il senso del flyer, tutti converranno che la mazza è cosa ben diversa da una cartella referendaria.
Punk4yes: una castroneria certo, ma la responsabilità di tale paradosso non va tanto ricercata negli organizzatori, che sicuramente non hanno mai compreso nè approfondito l' etica del punk, quanto in quelli che hanno offerto la propria disponibilità al compiersi di questa sciocchezza. E' costume e ottima prassi di chi si appresta a suonare, il dire due parole al microfono in merito all' iniziativa che si sta supportando. Come si saranno espressi i nostri punk hardcorers incazzati con questo mondo? " Per farla finita con il nucleare, tutti in fila,documento in mano, votiamo SI al referendum"? Non si sà se ridere o piangere.
Il punk hardcore non è sicuramente monopolio di nessuno, visto che nel panorama italiano si contano anche parecchie bands di moderati, talentuosi musicisti e persino fascisti. Ma se gli ultimi hanno come unico palcoscenico le fogne, gli altri non sempre se ne stanno al loro posto, ossia locali (occupati o meno), circoli arci e sale comunali. Ma fanno rapide esibizioni, seguite da altrettanto rapide sparizioni, qua e là negli squats.
Il permettere a chi da anni calca palchi a dir poco eterogenei, di suonare alle "nostre" iniziative, rafforza la sensazione, soprattutto nei più giovani, di essere fruitori di un servizio pittosto che parte, seppur momentaneamente, di una realtà combattiva che ha come punti di riferimento anche gli squats. Pogare sotto un lindo tendone riscaldato dell' assessorato alle politiche giovanili o tra i muri di una casa occupata, alla musica delle stessa persone, non crea un po' di confusione?

A chi si sente chiamato in causa da queste righe : schiaritevi le idee e scegliete da che parte stare. Se non è la popolarità che vi interessa, e le vostre urla di rabbia sono sincere sarete i benvenuti, ma non fate mai in modo che diventino un' esca per il recupero della ribellione, una merce per rivendite di socialità alternativa nè un prodotto da supermercato musicale.


I soliti

http://www.informa-azione.info/spazi_e_autogestione_una_questione_di_decenza

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