domenica 27 novembre 2011
Antimilitarismo: l’importanza della lotta
da Umanità Nova
La crisi economica e sociale che l’Italia, e mezzo mondo, stanno attraversando sta vedendo un generale taglio della spesa pubblica, sopratutto nell’ambito del così detto welfare state (servizi alla persona, sanità, scuola, ecc). Un ambito che, invece, non sta venendo toccato, se non in minima parte, è quello militare. E non è un caso. Innanzi tutto gli investimenti nel campo militare sono una delle maggiori entrate di gruppi finanziari e industriali (qui in Italia Finmeccanica, e la cordata di banche che la possiede insieme allo stato italiano) e in certi paesi, quali gli USA, l’investimento militare è stato il volano dell’economia dal secondo dopoguerra in poi (errore che le potenze emergenti stanno evitando di ripetere). Ovviamente usare l’investimento militare come traino per lo sviluppo economico implica il dovere continuamente scatenare guerre. Guerre che hanno diversi scopi: stimolare la produzione di nuovi materiali bellici, distruggere quelli obsoleti, pungolare la ricerca tecnologica, aumentare la coesione sociale interna al paese creando il famoso nemico esterno, acquisire il controllo di aree ricche di risorse o comunque strategicamente importanti nel confronto tra gli stati.
Lo stato e il capitale non possono assolutamente fare a meno della guerra, anzi, devono continuamente riprodurla, per aumentare i profitti e trovare uno sfogo utile all’accumularsi di tensioni sociali. E l’esercito, d’altra parte, con la sua organizzazione rigidamente gerarchica e strutturalmente immutabile, è la quintessenza delle forme gerarchiche di potere e di dominio. Non è un caso che per anni sia stato usato come mezzo di disciplinamento delle popolazioni tramite la leva obbligatoria anche in tempo di pace, che aveva lo scopo di formare un cittadino incline all’obbedienza e pieno di amor di patria. Ovviamente questo aveva anche degli svantaggi: un esercito di coscritti è incline alla ribellione e non è detto che in caso di sollevazioni popolari non spari sui propri ufficiali.
Un esercito di volontari, con una forte formazione tecnica, intriso di spirito di corpo, è molto più utile per affrontare tempi di acuimento delle tensioni sociali (e non dimentichiamoci che il disciplinamento delle popolazioni negli ultimi decenni si può servire di mezzi più soft), dovute all’erosione dei diritti dei lavoratori e alla diminuzione del potere d’acquisto.
Quindi non stupiamoci di vedere i militari presenti nella sorveglianza di punti sensibili, come il non-cantiere della TAV in Val Susa, o nelle discariche di veleni che stanno avvelenando il meridione o a nei CIE. O a coadiuvare i pattugliamenti della polizia nelle città. Certo quest’ultima è stata più una mossa propagandistica che altro, ma non bisognerebbe stupirsi di vedere i militari sempre più spesso nelle nostre città. D’altra parte su richiesta del prefetto l’esercito può assumere compiti di ordine pubblico ed ha molti meno vincoli di polizia e carabinieri.
Insomma, l’esistenza dell’esercito è fondamentale per l’esistenza dello stato e dell’economia di mercato, e in generale di qualsiasi struttura gerarchica, dato che garantisce il monopolio della violenza e la forza per imporre il potere e al contempo permette l’espandersi dell’economia. E di conseguenza noi come anarchici non possiamo che essere antimilitaristi e volere non solo l’abolizione di tutti gli eserciti e degli stati ma anche trovare delle forme di organizzazione sociale che non presuppongano l’esistenza di stabili strutture militari e di conseguenti accentramenti di potere. Perché è oramai risaputa la fine che hanno fatto le rivoluzioni che si sono basate sulla creazioni di eserciti popolari: sono terminate con lo sterminio dei rivoluzionari radicali da parte del nuovo estabilishment.
http://ienaridensnexus.blogspot.com/
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