mercoledì 18 maggio 2011

Bologna - Stefi dal carcere della Dozza


Bologna, maggio 2011. Dalla Dozza un racconto sulla "vita" in carcere, da Stefania

Mi rendo conto che la mia attenzione è prepotentemente richiamata verso la “vita” all’interno del carcere. L’interesse per ciò che accade fuori queste mura è vivo e vigile ma la mia tensione spinge verso l’osservazione partecipata di quanto si muove in questo mondo perverso in cui sono stata buttata. Le analisi, le considerazioni sull’operazione repressiva che ci ha colpiti emergono da quanto vi scrivo (sempre che vi arrivi) e una più articolata definizione la lascio a voi fuori e ai miei coimputati in carcere. Martino e Robert, con i loro differenti orizzonti, lo hanno già fatto egregiamente. Cosa aggiungere? Che reprimono, reprimono, reprimono e non sanno far altro?

Viviamo in un’epoca in cui chi determina le regole del gioco si è appropriato di tutto non lasciando margine alcuno da offrire ai propri sudditi in cambio della sottomissione. Arraffano, con ansiosa ingordigia, quel che resta di un pianeta spolpato e tentano con ogni mezzo di soffocare, nel sangue o nelle galere, la spaventosa minaccia di veder attaccati i loro forzieri da parte di “orde barbariche”. Il nemico interno va stroncato e spazzato via nella pattumiera della storia. Forse mai come in questo caso, intendo di Bologna a cui ha fatto seguito Firenze, l’intenzione di colpire per eliminare un pensiero e una pratica che inquietano i tenutari del sistema capitalistico, si è palesata. È stata chiusa, messa sotto sequestro una sede. Questo è un passo oltre gli arresti e i provvedimenti restrittivi. Grave, talmente grave da dover perlomeno produrre un allarmato e generalizzato sussulto. Ma, da quanto ho letto nelle vostre lettere, ciò non è propriamente avvenuto. La solidarietà è forte ma proviene dallo stesso ambito di compagni e compagne da tempo vicini. E nemmeno di solidarietà si dovrebbe parlare quanto piuttosto di diretto coinvolgimento in un attacco che toglie spazio al Fuoriluogo ora ma che manifesta un minaccioso segnale per chiunque abbia ancora intenzione di dare battaglia, in modo più o meno adeguato, all’ordine costituito. E, infatti, dopo meno di un mese è toccato ai compagni e alle compagne di Firenze il secondo tempo dell’operazione repressiva.

Dentro il carcere si vedono applicate in forme specifiche ed estreme le stesse misure adottate per piegare e sottomettere chi, fuori, deve prestarsi a obbedire lavorando senza “pretese” o morendo di stenti in ossequioso silenzio.

Qui vige un rigido regolamento carcerario, fuori un regime (che si dilata e muta ogni giorno a seconda dei venti) che norma i comportamenti socialmente consentiti.

Qui c’è il sadismo umiliante delle guardie, fuori la spietatezza dei padroni e dei servi a protezione del mercato dei profitti.

Qui sei minacciato dalle squadrette punitive, fuori le città militarizzate soffocano chi le abita.

Qui la libertà è imprigionata con sbarre materiali, fuori è incarcerata a cielo aperto.

Qui i ricchi non entrano, fuori comandano loro.

Qui i “colpevoli” proletari, diseredati sono sequestrati dallo stato, fuori gli stati bombardano, occupano, colonizzano i territori da predare e conformare.



Solidarietà ai compagni e alle compagne colpite dalla repressione a Firenze



La sezione femminile del carcere “Dozza” di Bologna è rigidamente regolata secondo uno schema che non lascia spazio ad alcuna deroga. Siamo in un numero sufficientemente piccolo (69) per poter essere ossessivamente sotto stretta vigilanza. Nulla di ciò che facciamo sfugge al controllo e ogni più piccolo movimento dipende dall’accoglimento delle nostre richieste perennemente chiuse e se ne esce esclusivamente per gli spostamenti rutuali quotidiani. Le co-detenute mi dicono che non funziona così in tutte le carceri e che la “Dozza” come destinazione è tenuta e considerata punitiva.

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