lunedì 2 gennaio 2012

LA MORTE DI BERNERI


Da "Il Massacro di barcellona" di Mario Signorino


La sua morte, Berneri se l'era proprio cercata. Due giorni prima, sorpreso in casa dall'inizio dei combattimenti, con altri compagni, non li aveva seguiti quando si erano rifugiati al comitato regionale della CNT-FAI. Era rimasto in casa, con Francesco Berneri, la compagna di questi e una giovane miliziana giunta da poco a Barcellona. La sera stessa, la radio diffondeva la sua commemorazione di Antonio Gramsci, morto a Roma il 26 aprile.
"Noi salutiamo dalla radio CNT-FAI di Barcellona l'intelletuale valoroso, il militare tenace e dignitoso che fu il nostro avversario Antonio Gramsci, convinti che egli ha portato la sua pietra all'edificazione dell'ordine nuovo..."
I quattro si trovavano dunque isolati in uno dei punti più caldi della battaglia, attorno alla Casa CNT-FAI, chiusi in una piazzetta cinta da ogni lato da barricate comuniste. Eppure non se ne preoccupavano: forse convinti che nessun pericolo li minacciava nella Barcellona anarchica.
A Barbieri, per la verità, era sempre andata bene. Aveva una scheda biografica molto movimentata, fughe e persecuzioni in mezzo mondo; ma se l'era cavata sempre. Subito dopo l'avvento del fascismo in Italia era scappato in Argentina e di qui, dopo una condanna a morte era passato in Brasile. Arrestato e deportato in Italia, era finito al confino; ma era fuggito di nuovo riparando in Francia.
Altra condanna, otto mesi di galera, altra espulsione; passato in Svizzera, era stato di nuovo arrestato e rispedito alla frontiera.
Nell'ottobre '35 si trovavano in Spagna, durante il "biennio nero" della destra al potere. Dopo un nuovo arresto era ripassato in Svizzera, per tornare definitivamente in Spagna dopo lo scoppio della rivoluzione. A Barcellona era andato a stare da Berneri.
Berneri, da parte sua era impegnato, in prima fila nel movimento anarchico. E' strano che, iniziata la battaglia, non sentisse il bisogno di parteciparvi direttamente. Non capiva neanche quali pericoli si potevano correre in quei giorni a Barcellona?
Sapeva di essere esposto anche troppo nella lotta politica catalana. Tra i dirigenti anarchici, era stato uno dei pochi a prendere le difese del POUM contro la campagna terroristica dei comunisti. Proprio alla vigilia dei fatti di Barcellona, l'"Adunata dei refrattari" di NeW york aveva pubblicato la prima puntata di un suo articolo in difesa del partito di Nin. E già prima Berneri aveva provocato la rabbia dei comunisti e dei sovietici: tutti ricordavano, ad esempio, che alla fine del dicembre '36 Antonov-Ovseenko, console dell'URSS a Barcellona, aveva protestato presso le autorità catalane per un articolo apparso su "Guerra di classe" in cui Berneri denunciava "l'assedio di Barcellona", chiusa politicamente tra Burgos e Mosca.
L'anarchico italiano era anche sostenitore dell'uscita della CNT dal governo di Valenza. E la sua opinione contava, essendo uno degli elementi più in vista dell'anarchismo catalano. Era difficile immaginare che i comunisti e la KNVD aspettassero solo l'occasione per fargliela pagare?
Forse Berneri era convinto che i comunisti non avrebbero osato toccarlo: per lui, "el muy conocido profesoro Berneri", si sarebbero certamente mossi i proletari anarchici e anche i miliziani al fronte.
Ma più ancora doveva aver giocato l'incomprensione della battaglia appena iniziata: un errore comune a molti dirigenti anarchici, che nasceva dalla fiducia smisurata nella forza del movimento. Non a caso la prima reazione di Berneri, come degli altri dirigenti, era stata di far da paciere.
Dopo la sua morte, infatti, era stato trovato il testo di un appello alla pacificazione, scritto probabilmente nelle giornata del 4.
"Lavoratori di ogni tendenza, gridiamo ora più che mai: viva l'alleanza rivoluzionaria antifascista!... Alcuni militanti delle organizzazioni operaie delle nostre città si sono lanciati in una lotta fratricida determinata, a quanto sembra, da vecchie rivalità sindacali...Niente può giustificare fatti di questo genere... Riflettete, lavoratori di ogni tendenza: il pericolo fascista non è sparito. Compagni, manteniamo fino al definitivo trionfo l'unità d'azione".
In questo errore di valutazione (attribuire ad esempio la battaglia a vecchie rivalità sindacali) sta forse la spiegazione della tranquillità di Berneri. Un atteggiamento sorprendente, che non era cambiato neanche quando si erano verificati alcuni fatti strani. La mattina del 4, infatti, si erano presentati in casa due uomini con bracciali rossi.
-Non sparate, siamo amici.
Sorpreso, Berneri aveva chiesto perchè avrebbero dovuto sparare. I due avevano dato un'occhiata in giro ed erano andati via; dalle finestre li avevano visti entrare nella vicina sede dell'UGT.
E' chiaro che erano venuti in avanscoperta, forse avvertiti dal portiere che "gli anarchici del primo piano" erano rimasti chiusi in casa. Adesso sapevano che Berneri era veramente isolato, con pochi compagni.
Nel pomeriggio, alcuni poliziotti con il bracciale del PSUC erano venuti a fare una perquisizione. Avevano preso tra fucili, lasciati li da miliziani in licenza, ed erano andati via raccomandando di restare in casa. Certi ormai che gli anarchici erano senza armi, avevano potuto preparare con cura l'arresto e l'uccisione di Berneri.


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