lunedì 27 giugno 2011
Il me faut vivre ma vie di Bruno Filippi
Io non credo al diritto. La vita, che è tutta una manifestazione di forze incoerenti, inconosciute e inconoscibili, nega l’artificiosità umana del diritto. Il diritto nacque quando ci fu tolto infatti in origine l’umanità non aveva nessun diritto. Viveva, ecco tutto. Oggi invece di diritti ve ne sono migliaia; si può dire senza errare che tutto ciò che ci manca si chiama diritto.
Io so che vivo e che voglio vivere.
È molto difficile mettere in azione questo voglio. Siamo circondati da un’umanità che vuole quello che vogliono gli altri. La mia affermazione isolata è delitto de’ più gravi.
Legge e morale, a gara, m’intimoriscono e persuadono.
Il “biondo rabbi” ha trionfato.
Si prega, s’implora, si bestemmia, ma non si osa.
La vigliaccheria, carezzata dal cristianesimo, crea la morale, e questa giustifica la viltà e genera la rinuncia.
Ma questo desiderio di vivere, questa volontà, vuole pure svolgersi. Il cristiano si guarda bene in giro, osserva se nessuno lo guarda, e tremando compie il peccato. Così la vita è peccato; il desiderio: peccato; l’amore: peccato. Ecco l’inversione.
«Sgualdrina, femmina da tutti, non vergognarti del mondo. Tu sei franca e leale. Offri ciò che è tuo a chi compra, non dai né togli illusioni.
La società, invece, onesta e pulita nel viso, e incancrenita orrendamente nel corpo, m’eccita il vomito, l’orrore, mi fa schifo, m’uccide …».
Io invidio i selvaggi. E potessi gridare loro a gran voce: «Salvatevi, arriva la civiltà!»
Sicuro: la nostra cara civiltà di cui andiamo tanto alteri! Abbiamo abbandonato la libera e felice vita delle selve per questa orrenda schiavitù morale e materiale. E siamo maniaci, nevrastenici e suicidi.
Che m’importa che la civiltà abbia dato le ali all’uomo per bombardare le città, che m’importa di sapere le stelle del cielo e i fiumi della terra?
Ieri non c’erano i codici, è vero, e a quanto pare si faceva giustizia sommaria.
Barbari tempi! Oggi invece si accoppa la gente con la sedia elettrica, a meno che la filantropia di Beccaria non la torturi per tutta la vita entro un ergastolo.
Ma io ve la lascio la vostra sapienza e i vostri 420, vi lascio Sottomarini e Caproni. Ma ridatemi la bella libertà, la mia ignoranza, la mia vigoria. Ieri il cielo era bello da guardare; lo mirava lo sguardo dell’inconscio.
Oggi la volta stellata è un velo plumbeo che ci sforziamo invano di passare, oggi non si ignora più, si dubita.
Tutti questi filosofi, questi scienziati, che fanno?
Che delitti meditano ancora verso l’umanità? Io me ne frego del loro progresso, io voglio vivere e godere!
«Scimmia delle foreste bornesi, Darwin ti ha calunniato!»
Intanto tutto il mio essere mi urla: «Voglio vivere!»
Mi strappo dalla fronte le spine della rinuncia cristiana e bevo il profumo delle rose.
Sto bene ora. Sono lieto di vivere!
Fischiano le sirene e la folla beata va allo scannatoio.
E tu pure o ribelle sali il tuo calvario, tu pure sei bacato!
Come invidio il grande Bonnot!
«Il me faut vivre ma vie!»
È inutile, sono bacato. La società mi ha vinto. E odio. Odio forsennatamente questa umanità bruta che mi ha ucciso, che ha fatto di me una scorza d’uomo.
Vorrei potermi mutare in lupo, per affondare denti e artigli, in un'orgia di distruzione, nel ventre putrido della società.
[da Iconoclasta!, n. 4 del 2 luglio 1919]
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