domenica 29 gennaio 2012
ottobre 2000 Dall'interno di un carcere dello stato spagnolo (Michele Pontolillo)
L'articolo che segue, è tratto da una registrazione effettuata all'interno di un carcere spagnolo, dove Michele, prigioniero anarchico italiano, "intervista" i prigionieri politici baschi, indipendentisti, libertari e prigionieri "comuni".
Tutti loro denunciano maltrattamenti, abusi, torture e il "mezzo di castigo" usato dallo stato spagnolo detto "dispersion", che consiste nel sequestrare i prigionieri in carceri lontani centinaia di km dalla propria terra e dalla propria famiglia, e le conseguenze provocate non solo ai prigionieri stessi, ma anche alle loro famiglie che si vedono costrette a limitare le proprie visite a causa dei notevoli costi di viaggio, albergo, ecc.
"Solo una filosofia perversa e diabolica, tipica di uno stato fascista, può conseguire simile barbarie e crudeltà" si dice all'inizio di questa registrazione, poi seguono molte testimonianze di lotta, di vita, analisi e commenti su situazioni carcerarie e sui "movimenti libertari", proposte di lotta all'interno e all'esterno del carcere e altro.
In qualche modo, questa registrazione è riuscita a raggiungere "il mondo esterno" e, al principio di settembre, alcune radio di movimento hanno trasmesso questa registrazione. I carcerieri non hanno gradito la cosa, si sono presentati nella cella di Michele e gli hanno sequestrato la radio e le cassette, minacciando sanzioni disciplinari e promettendo rappresaglie varie, promesse che stanno mantenendo.
Chiunque fosse interessato ad avere le due cassette contenenti la registrazione che, ovviamente, è in lingua castigliana, può richiederle al solo costo di spese di spedizione a:
Pagine in rivolta, V. San Francesco da Paola, 12/b c.p. 151- 10123 Torino
o, preferibilmente, all'indirizzo e-mail: lucianuro@hotmail.com
saluti ribelli
Lucia
***
Saluti a tutti e a tutte, da una delle tante fogne di cui lo stato dispone per sequestrare e rinchiudere migliaia di persone, considerate non idonee a vivere in questa società, sempre più schizofrenica, assurda e globalizzata, nella quale le differenze, la sensibilità e le peculiarità individuali non hanno posto; alcuni prigionieri del carcere di Villabona hanno deciso di alzare la propria voce aldilà del muro, delle sbarre e dei fili spinati che vigilano su di noi e ci separano dall'esterno.
Questa è una testimonianza diretta ed esplicita di come sopravviviamo noi prigionieri nei carceri della democratica e tollerante spagna nel secolo XXI, dove in nome dello stato di diritto si tortura fisicamente e psicologicamente i reclusi; ci isolano e ci sterminano nei crudeli ed inumani "MODULI F.I.E.S.", dove la condanna privativa della libertà si converte automaticamente in sentenza di morte per quei prigionieri che soffrono di malattie gravi e incurabili, ci disperdono a migliaia di km dalle nostre terre di origine e dalle nostre famiglie.
Questo è un frammento della vita quotidiana dei prigionieri, ognuno con la sua traiettoria esistenziale, con le sue esperienze, con le sue idee, però tutti abbiamo un denominatore comune, la solidarietà e il mutuo appoggio di fronte alla repressione dello stato; però, vuole anche essere un messaggio per i nostri oppressori: continueremo resistendo, nonostante i vostri programmi d'annientamento della nostra personalità, non riuscirete a conseguirlo!
Con ironia e con coraggio/sopportazione stoica, continueremo burlando e disprezzando la legge e chi la difende.
Vogliamo fare una domanda: chi sono i pericolosi mostri che tormentano e terrorizzano il popolo? Noi che siamo figli del popolo e che abbiamo tentato di sopravvivere alle ingiustizie ed agli abusi di questo sistema o, al contrario, sono i politici, gli impresari, giornalisti del regime, giudici, polizia, esercito che in nome del capitale e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, torturano, incarcerano e assassinano impunemente?
Solo voi avete la risposta.
Siamo certi, nell'affermare, che non c'è un essere umano in questo mondo che ami la libertà più di un prigioniero, al quale è stata strappata violentemente e contro la sua volontà, questo bene tanto prezioso.
Per questo tutti uniti, gridiamo w lanarchia
Un abbraccio ai nostri fratelli e sorelle, compagni e compagne,
con amore e ribellione.
***
La prigione è la vergogna dell'umanità, sempre lo è stata.
Dopo aver rinchiuso, si isola, s'incatena, si bastona, si tortura e si ammazza.
Questo non succede solo negli stati totalitari, ma anche nei nostri moderni ed attuali stati democratici. Tutti quei prigionieri che per un motivo o per un altro sono passati per quest'inferno, la cui invenzione è venuta senza dubbio da una mente perversa e diabolica, tutti quelli che si ribellano e che non sono disposti a sottomettersi, soffrono sistematicamente la repressione brutale e incontrollata da parte di chi ci mantiene prigionieri e di tutto il sistema politico e sociale che permette e che consente che le cose vadano in questo modo.
Quello che dobbiamo tenere chiaro è che il carcere è un riflesso della società, e viceversa.
In altre parole, tutto quello che esiste qui, le relazioni umane fra i prigionieri, le relazioni fra i prigionieri e la gerarchia, si riproduce nella stessa forma nella strada.
Per esempio, l'operaio che si sveglia alle cinque della mattina per dirigersi al suo posto di lavoro, per svolgere il suo lavoro durante otto ore al servizio di un padrone che si arricchisce del suo lavoro. E che dopo torna un'altra volta a casa sua con la tensione accumulata tutto il giorno, sapendo che quello che sta facendo ha l'unica finalità di assicurarsi la sopravvivenza in questo sistema, basato sullo sfruttamento e sul consumismo della mercanzia che si produce.
Per questo, anche in questo caso siamo di fronte di una vita prigioniera, di un sistema che obbliga gli esseri umani ad organizzare la loro vita in una forma concreta, senza scappatoie o deviazioni, diretta al lavoro, al garantirsi la sopravvivenza o per lo meno ad una vita con tutte le comodità possibili, però senza deragliare da questa traiettoria già marcata che è quella di svegliarsi per andare a lavorare, ritornare alla famiglia, stare attaccati al televisore per diverse ore e che, in poche parole, conduce una vita monotona, noiosa, soggetta alle norme e le regole di un ordine costituito che solo apparentemente è statico e immutabile.
Pensiamo ad esempio, alle strutture delle città, delle metropoli: in tutte le città esistono un centro e una periferia. Un centro finanziario e commerciale, dove si muove il denaro, il capitale, e una periferia dove si agglomerano i proletari, le industrie e tutto quello che ne deriva: mi riferisco ai quartieri dormitorio con i loro servizi assistenziali, con i loro commissariati, caserme, il cui lavoro è quello di controllare il territorio e di reprimere condotte che escono dalle norme stabilite; e tutto questo entra in una logica predeterminata.
Questa logica, è esattamente quella del centro che comanda, che dirige, che impone e che dispone. Con le sue banche, le sue grandi superfici, i suoi ministeri, le sue attività finanziarie e burocratiche; e una periferia che esegue gli ordini che il centro dispone.
È esattamente come sono strutturate le prigioni, c'è un centro direttivo che ordina, dispone, emana, ed una periferia, che in questo caso, sono i prigionieri, questa massa umana che contro la sua volontà è obbligata a vivere all'interno di questa struttura, che compie e che sta soggetta alla volontà di quello che impone il centro direttivo.
Per tanto, la prigione, non è distaccata o isolata dalla società. Ma è presente e vive all'interno della società.
Il carcere sta dentro di noi. Lo viviamo quotidianamente, giorno per giorno, tanto qui dentro che fuori, non possiamo parlare di prigione come struttura specifica, dove si rinchiude colui che ha infranto una norma imposta, ma la società stessa è una prigione, dove qualsiasi condotta che non si attiene a quello che è disposto, viene automaticamente e sistematicamente repressa, allontanata, criminalizzata e tutto quello che ne consegue.
Senza dubbio, noi siamo quelli che affrontiamo la faccia più dura e letale della repressione nuda e cruda, però anche fuori non c'è nessuno che sia immune alla repressione. Sarà mascherata in altra forma, assumerà altre matrici, però la finalità che si persegue è la stessa, la sottomissione ad un ordine costituito, ad una direttrice che il centro impone e tutto quello che sgarra è represso.
Quindi, non siamo solo noi prigionieri che soffriamo la mancanza di libertà, ma la società in tutta la sua totalità che non è libera di decidere il cammino che vuole prendere, la forma che vuole sviluppare, la sua capacità economica, umana, culturale, sociale.
Tutto il mondo dovrebbe cercare di ottenere realmente una vita libera, senza soggezione alla spada che marca il dominio capitalista.
Questo dominio che crea ingiustizia e disuguaglianza e che permette quello che tutti noi abbiamo sotto il naso, cioè la povertà, l'emarginazione, la mancanza di valori solidali, il disinteresse, l'individualismo egoista ed infine tutto quello che la società, basata sul consumo e sull'arricchimento di una minoranza che si beneficia del lavoro e del sangue di un'immensa maggioranza, produce.
Non solo nelle prigioni spagnole si praticano torture, abusi, maltrattamenti, ma questa è una peculiarità intrinseca alla repressione in quanto tale, quindi che sia Spagna, Italia, Germania o U.S.A., la repressione si muove e commette le stesse atrocità che in qualsiasi altro posto.
La repressione è brutalità, è sterminio, e non ci sono mezzi termini, non c'è legalità che si può applicare. Lo sterminio di quelli che in un dato momento e/o per circostanze della vita o per decisioni ideologiche, si sono messi di fronte direttamente o indirettamente, al sistema.
Un sistema che ci opprime, ci vigila, ci sottomette e che non siamo stati noi ad eleggere, bensì, c'è stato imposto dagli illuminati o presunti tali e dai potenti, che, con l'illusione di portare la verità assoluta nel borsellino, hanno imposto e hanno organizzato la vita come le loro menti ritorte hanno voluto che fosse.
Detto questo, mi piacerebbe dire qualcosa sulla solidarietà.
La solidarietà è un atto volontario e spontaneo, non è un obbligo, nessuno può obbligare un altro ad essere solidale, né con i prigionieri, né con i popoli oppressi, né con la povertà, né con tutti questi settori sociali umili che soffrono lo sterminio lento, portato a capo per l'imperialismo, gli interessi economici e tutto il resto.
La solidarietà è un gesto istintivo che nasce da dentro, e che parte dalla sensibilità di ognuno di noi. Molti la tengono "addormentata" per l'anestesia sociale che gli è stata praticata dal sistema, dallo stato, dai mezzi di comunicazione, che creano opinione di massa, affinché ci sia un parere specifico e concreto, mirato ad una logica di conservazione dell'ordine costituito.
La solidarietà ha due vertenze, una è quella che viene dalla compassione, dalla pietà e l'unica cosa che fa è quella di chiedere, in una forma istituzionale, il rispetto dei diritti fondamentali dei prigionieri; l'altra, la possiamo definire solidarietà rivoluzionaria, che ha come base un progetto di trasformazione sociale nel quale non solo si esige il rispetto dei prigionieri, ma va più in la di questo, quello che cerca è che la società venga trasformata in tale maniera che le carceri non siano necessarie e diventino totalmente obsolete.
In questo senso si muovono gli anarchici e molte organizzazioni, gruppi, movimenti, rivoluzionari il cui obiettivo è di emancipare il popolo sfruttato, oppresso dal sistema capitalista. Quindi, in questo senso, noi prigionieri non siamo le vittime da difendere e appoggiare, per non far scagliare ulteriormente la repressione contro di noi, ma siamo parte attiva di questo progetto che cerca la libertà di tutti e per ogni membro della società.
Una società libera non ha bisogno delle prigioni, non ha bisogno della repressione; in questo contesto, noi siamo i diretti interessati in questo progetto fino a che, non solo vada avanti, ma che si arrivi al termine. Quindi, quando parliamo di solidarietà, non si tratta di appoggiare il prigioniero nelle sue necessità quotidiane che sono, senza dubbio, elementi importanti; quello che c'è da fomentare è l'azione diretta contro il sistema: tutto quello che è fatto per la libertà degli individui che sono parte della società, è vantaggioso per noi prigionieri.
Pertanto noi ci sentiamo e siamo parte attiva di questo processo di liberazione, siamo i più interessati a che si pratichi e che si spinga l'azione diretta contro lo stato unico responsabile e realizzatore di un sistema sociale e politico che, naturalmente, non ci interessa, giacché del modello d'organizzazione della vita pubblica e privata che ci propone beneficia solo una piccola minoranza, detentrice della ricchezza che dovrebbe essere a disposizione di tutti, lasciando l'immensa maggioranza al margine di un sistema fatto e conseguito per i privilegi di pochi, senza darci la possibilità di emanciparci dalla nostra condizione umile e di sfruttati cosicché le masse proletarie utilizzino l'unico mezzo che hanno a disposizione per cambiare le cose di una forma radicale, che non è altro la via rivoluzionaria.
Dunque, non si tratta di essere solidale con i prigionieri, ma di creare una rete di solidarietà fra tutti gli individui ribelli e che coltivano intimamente il desiderio di cambiare e trasformare la società in un senso libertario dove tutte le sensibilità e diversità umane abbiano spazio, dove chiunque può esprimere la sua forma d'essere, il suo punto di vista, le sue idee, le sue opinioni, in maniera libera. Che siamo prigionieri o "liberi", tutti uniti potremo costruire questo mondo che tutti sogniamo e che mai abbiamo avuto.
Michele Pontolillo
C.P. De Villabona
Apdo. 33271 Gijon
Asturias (Spagna)
Fonte: scritto diffuso il 13 Ottobre 2000 da: lucianuro@hotmail.com
http://www.ecn.org/filiarmonici/pontolillo.html
Nessun commento:
Posta un commento